Tokyo lancia l’alternativa indo-pacifica alla Via della seta cinese

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Abe e Trump immaginano una maxiregione affacciata sui due oceani unita da nuove infrastrutture (anche politiche) e dalla libertà di navigazione. Un’alternativa al progetto cinese, che sia anche un’alleanza militare. Ma Delhi e Canberra per ora non si sbilanciano.


Kentaro Sonoura ha un’espressione tranquilla, pacata. Il suo sorriso sembra provocatorio, quasi strafottente. La sua retorica è diretta, priva di fronzoli e per certi versi poco diplomatica. Ad appena quarantacinque anni è consigliere per la politica estera del governo e una delle punte di diamante della diplomazia nipponica. Laureato alla prestigiosa facoltà di legge dell’Università di Tokyo, dal 2013 ricopre diversi incarichi da viceministro e sottosegretario, tutti al ministero degli Esteri.

Lo scorso 22 febbraio, durante una conferenza organizzata dall’Atlantic Council, un think tank americano, ha presentato la “strategia indo-pacifica aperta e libera” (Foip) di Tokyo, che, sulla carta, pare offrire un’alternativa alla nuova Via della seta a guida cinese. Questa strategia diplomatica punta a promuovere la stabilità e la prosperità della comunità internazionale sfruttando l’energia vitale di due continenti — l’Asia e l’Africa — e due oceani — il Pacifico e l’Indiano.

Qui, dove vive il 15% della popolazione globale, Tokyo punta a migliorare o sviluppare — soprattutto in termini di aiuti allo sviluppo e sostegno agli investimenti — infrastrutture di trasporto, migliorare l’ambiente business e promuovere lo sviluppo di risorse umane. Come specifica un documento riassuntivo disponibile sul sito dell’ambasciata giapponese in Australia, il piano include progetti strutturali di nation building soprattutto in Africa e Asia meridionale, dove l’enorme potenziale, in termini di risorse, fa il paio con problemi complessi come povertà e terrorismo.

Oltre a puntare sulle infrastrutture come strade e porti, la punta sullo sviluppo di un sistema giuridico basato sullo Stato di diritto a garanzia del libero mercato e sulla costruzione della resilienza attraverso una serie di misure a sostegno della prevenzione dei disastri naturali. È questo lo sviluppo di qualità su cui Tokyo insiste da tempo, in celata opposizione a Pechino.

A ciò si aggiunge un punto fondamentale: la libertà d’accesso all’oceano. «Per prima cosa, noi parliamo di libertà dei mari, ovvero del fatto che tutti possono avere accesso al mare», ha spiegato Sonoura in un’intervista con il quotidiano bangladese The Star, parlando dei benefici che il Paese del subcontinente trarrà dall’adesione al Foip — e che, al tempo stesso, anche il Giappone ricaverà rafforzando la sua partnership con Dhaka per lo sviluppo dello hub di Matarbari, nel Bangladesh orientale, vicino a una grande centrale elettrica a carbone e al confine con il Myanmar, altro Paese strategico tra Sud e Sudest asiatico.

Parole che riecheggiano quelle pronunciate dieci anni fa dal primo ministro giapponese Shinzo Abe che, durante una sua visita di Stato in India al suo primo incarico, aveva ricordato di fronte al Parlamento indiano la responsabilità del suo Paese e dell’India, in quanto nazioni affacciate sui lati opposti di due mari, «di assicurare pace e prosperità nel pieno rispetto dei principi democratici».

Secondo Yuki Tatsumi, direttrice del Japan Program dello Stimson Center, un think tank indipendente di analisi strategica, gli ultimi sviluppi del Foip sono anche frutto della spinta dell’amministrazione Trump. Washington avrebbe avuto infatti un ruolo cruciale nell’avviare un nuovo round di colloqui esplorativi con Giappone, Australia e India — il cosiddetto “Quad”.

Al termine del suo ultimo viaggio in Asia, Donald Trump ha sottolineato l’importanza delle alleanze tra Usa e Paesi dell’area indo-pacifica, «nazioni in crescita, indipendenti, rispettose di altri Paesi e dei suoi stessi cittadini, libere da dominazioni straniere e dalla servitù economica». L’inquilino della Casa bianca ha poi espresso il suo apprezzamento per il ruolo del Comando del Pacifico — l’organo cui fanno capo le forze Usa distaccate nell’area — vero «guardiano della sicurezza e della libertà» nella regione.

Oltre a un progetto di libero scambio, il Foip si configura quindi anche come un’alleanza militare.

A parte l’attivismo giapponese e statunitense, però, gli altri grandi partner come Australia e India non si sbilanciano. Soprattutto Canberra. Nel suo recente viaggio negli Stati Uniti, mentre Trump consegnava alla stampa affermazioni circa le sue speranze sul ritorno dell’Australia da protagonista nella difesa della libertà di navigazione nel Pacifico — e in particolare nel Mar cinese meridionale in funzione di argine all’assertività cinese — il premier australiano Malcolm Turnbull ha sottolineato le opportunità economiche dell’ascesa cinese.

Pechino, sotto la presidenza di Xi Jinping, ha già investito l’equivalente di 124 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali sulla nuova Via della Seta, che ora ha il suo posto nella Costituzione della repubblica popolare.

A confronto, il progetto dei “Quad” è ancora in fase embrionale. E, a detta di alcune fonti vicine all’affare all’interno della diplomazia australiana sentite da Reuters, “non andrà mai a contrastare” il progetto cinese.

di Marco Zappa

[Pubblicato su Eastwest]