The Leftover of the Day – Nomina sunt consequentia rerum

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
30 aprile 2010, 11:41
Nomina sunt consequentia rerum

Tempo fa siamo stati a Firenze a Palazzo Pitti, per la Madonna del Granduca di Raffaello. La vicenda del quadro è la seguente: la Madonna del Granduca – che si chiama così perché era una tela molto amata dal Granduca Ferdinando III di Toscana – è l’unica Madonna di Raffaello con fondo nero. Recenti analisi dimostrano che quel fondo nero è stato applicato in epoca successiva al pittore, e che c’è uno strato sottostante in cui è raffigurato il paesaggio, lo sfondo originale disegnato da Raffaello.
Questa è la scoperta da raccontare, dunque.

Il momento di pubblicare l’articolo si avvicina. La tensione e l’aspettativa dal lato giapponese si sono trasformate in delusione e irritazione nei confronti degli italiani: delusione perché, nella loro ottica, questa storia del fondo nero non è poi così eccitante; irritazione perché l’Opificio avrebbe dovuto mandare un report che non è mai arrivato.
La controparte nipponica è da giorni con gli occhi piantati sul quadrante dell’orologio e sulle caselle dei giorni del calendario; di qua, in territorio italiano, si dorme e ci si prende il sole.

Noi dobbiamo intervistare Paolucci, ex sovrintendente a Firenze, oggi direttore dei Musei Vaticani. In qualità di esperto. È un vecchietto tra il mite e l’insolente e il dritto: risponde senza pathos alle domande, sembra che da sotto il tavolo dia dei colpi in aria con il piede come a spazzarci via, svicola abilmente tra le parole.

Il mio capo giapponese si è fissato con una domanda che a me pare demenziale e a lui centrale. Già prima di uscire dall’ufficio me lo aveva detto: dobbiamo chiedere essenzialmente due cose, questo e questo. Il secondo questo lo aveva già posto ai tecnici dell’Opificio e anche lì era sceso un perplesso silenzio. Eccolo dunque:

“La Madonna del Granduca è così chiamato per via dell’attaccamento del Granduca all’opera. Se togliamo il fondo nero, diventa un quadro diverso da quello che il Granduca conobbe: potremo ancora chiamarlo Madonna del Granduca?”
Il direttore tace per un attimo, i suoi occhi laschi traballano sul tavolo, sorride e, chissà perché, dice: “Good idea”, ma sembra compatirlo. Lui è visibilmente insoddisfatto. Io vorrei appendere un cartello al mio collo e dire: “Non c’entro nulla!”.

Quando finiamo l’intervista, mi ripete sta storia del nome. L’impressione è che per lui costituisca una sorta di punto di snodo narrativo, come il passaggio di un romanzo giallo che determina nuovi sviluppi e nuovi percorsi ermeneutici. E spesso ho ritrovato in lui questa insistenza sul valore dei nomi, come quando mi chiede il significato dei nomi propri, visto che in giapponese c’è sempre e mai è trascurato: tanto che si dilettò persino a darmi la spiegazione del suo, che diventava, tradotto alla buona: Pino Marittimo (e poi uno ancora si domanda perché non riesco a prenderlo sul serio…).

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)