The Leftover of the Day – CIPANGO: ODI ET AMO

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
14 novembre 2009, 02:25
CIPANGO: ODI ET AMO

Una discussione nata da parole che ha carpito per strada. C’è un gruppo di ragazzi, studenti immagino, dato che siamo nei pressi dell’Università. Qualcuno parla di qualcun altro e usa, in senso chiaramente spregiativo, con il significato di ‘idiota’, la parola mongoloide. Lui la sente e si dibatte – ma io mi tengo in disparte il più possibile, so che l’argomento è periglioso – per ore di razzismo. Giustamente, lui dice, ragazzi come questi non hanno la minima idea del fatto che usano un termine razziale per indicare una sindrome, a sua volte usata come metafora per dire ‘cretino’. Ha ragione, stavolta non posso dargli torto.

Mi stupisce tuttavia la foga con cui ogni volta parla di questi argomenti. Della rabbia verso gli europei nella Storia. Legittima. Comprensibile. Condivisibile. Mi chiedo due cose: la prima è se oggi un giapponese può essere e sentirsi discriminato. Mi viene da dire no. Subito dopo mi rendo conto che, in Italia, più che discriminati sono spesso derisi. E mi sale con un groppo di ansia la seconda domanda: anche io sto facendo lo stesso?

Poi capita di trovarsi a cena, con altri italiani, mai visti e conosciuti. Alla domanda che mi viene rivolta: "Che lavoro fai?", segue quasi sempre un piccolo dibattito in cui ognuno fa outing sulle proprie conoscenze e/o esperienze con il Giappone e i giapponesi. A volte con esiti devastanti – tipo quelli che ti dicono: "Non so molto di Giappone, però ho visto quel bel film, credo si chiamasse Lanterne rosse, lo conosci?", o quelli che ti dicono: "Io non ho niente contro di loro (classica premessa, nda), certo però ci stanno levando tutto il lavoro, vedi per esempio Prato", o quelli che ti elencano tutti i memorabili episodi di Mai dire banzai che hanno visto nella loro vita.

C’è chi ne sa di più, chi c’è stato, chi li adora, chi li considera solo dei marziani.

E’ in queste occasioni che mi accorgo che, alla fine, mi sono diventati cari come parenti alla lontana, ma non di quelli che uno non vuole vedere. Anzi, di quelli che ogni volta incontri con piacere. Magari se li vedi troppo spesso riemergono sopite faide familiari o rancori mai sepolti, ma in generale ci sei affezionato. Mi capita così: se me li esaltano troppo, non farò altro che spingere sul tasto della critica. Ma se me li toccano! Per un attimo mi ergo a paladina dei giapponesi e non accetto nessuna opinione anche vagamente offensiva.

Al dunque è quel che mi succede anche per l’Italia.

 


*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)