Thailandia – Templi folli dal Paese dei sorrisi

In by Simone

Chiamateli come volete – eccentrici, trash, fuori di testa, geniali – ma alcuni monasteri buddhisti in Thailandia non possono che stupire il visitatore occidentale: da quello costruito con bottiglie di birra ai rifugi dei bonzi ascetici nelle giungle più pericolose e selvagge del Paese.
Il tempio dell’Heineken
Uno dei più suggestivi è senz’altro il Wat Pa Maha Chedi Kaew, nella provincia di Sisaket, anche conosciuto con il nome di Tempio del Milione di Bottiglie. Come il nome suggerisce, questo complesso monastico, che brilla verdissimo sotto il sole dei Tropici, è costruito interamente con bottiglie. Ma non bottigliette di acqua santa: bottiglie di birra. Un milione e mezzo, per la precisione.

Prima che qualcuno accusi i monaci di promuovere la vendita della Heineken, tuttavia, le cui bottiglie sono facilmente riconoscibili nei muri del monastero, o di incoraggiare i fedeli a infrangere il precetto buddista di non intossicarsi con sostanze alcoliche, è forse bene puntualizzare che l’utilizzo di bottiglie di birra come materiale edilizio è legato a motivazioni ambientali.

I monaci del tempio raccontano che l’iniziativa ebbe origine quando, nel lontano 1987, avevano iniziato a raccogliere così tante bottiglie che la trovata era la risposta più facile al problema dello smaltimento. Oggi il complesso monastico è costituito da una ventina di edifici, e il cantiere è in continua espansione.

Tigri al guinzaglio
La protezione della fauna sembra invece essere stato il motore che ha trasformato il Wat Pha Luang Ta Bua di Kanchanaburi, in un vero e proprio tempio delle tigri. Qui, i bonzi, sfoggiando poteri degni di Kwai Chang Caine, si vedono aggirarsi per l’area del monastero con tigri di due metri di lunghezza al guinzaglio, piuttosto che giocarci insieme, accarezzare loro la pancia o fare loro i grattolini sotto il mento.

Iniziato per caso nel 1999 con la donazione di un tigrotto da parte un gruppo di contadini che non sapevano che farsene, il monastero si è trasformato in un rifugio per tutte quelle tigri che, minacciate dall’urbanizzazione della regione piuttosto che dai cacciatori di pellicce, sopravvivono a fatica nelle foreste.

Ma il tempio, oggi parte del circuito turistico della regione con tanto di biglietti d’ingresso venduti a 15 euro l’uno, non è immune alle critiche di alcuni gruppi animalisti che lo accusano di traffico illegale di specie protette nonché di maltrattamento di animali a fini di lucro.

Coccodrilli di peluche contro le scimmie
Alcuni monasteri, invece, degli animali selvatici non sanno proprio come disfarsene. Il tempio di Hunsang, nella provincia di Ayutthaya, è salito alle cronache negli ultimi giorni per l’istallazione di coccodrilli pupazzo per tenere le duecento distruttive scimmie dell’area lontane dai suoi edifici. Il guaio è che la stoffa è poco resistente alle intemperie, indi i monaci sono adesso impegnati a chiedere nuovi coccodrilli spaventapasseri in offerta dai fedeli.

Forse bisognerebbe suggerire loro una soluzione tipo quella del Prang Sam Yod, un antico tempio khmer nella città di Lopburi, che è la casa di ben duemila macachi. Le scimmie non solo sono libere di andare a zonzo per le sue strutture, ma la città organizza pure ogni anno un mega banchetto in loro onore, sperando che l’opera buona valga un numero di meriti così elevato da garantire prosperità a tutti.

Il tempio dell’orrore
Ma talvolta è proprio la dottrina buddhista a fare di un monastero un luogo del tutto particolare. Il Wat Phai Rong Wua di Suphanburi è uno dei pochi templi in cui una famigliola thailandese difficilmente porterebbe i propri figli a pregare. I monaci del monastero hanno pensato di ricordare ai fedeli le conseguenze karmiche delle proprie cattive azioni con delle enormi statue che ne trasformano i cortili in una specie di museo dell’orrido.

Ecco allora masse di gente seviziata, donne con la lingua sanguinante che tocca terra – forse delle chiacchierone – uomini con i genitali neri – senza dubbio degli adulteri – tutti ugualmente colpiti da quella legge del contrappasso orientale che è la ruota del karma.

Cristo accanto a Buddha
Tra tutti i templi un po’ sopra le righe, una menzione di tutto rispetto spetta senz’altro al tempio di Buddhadasa, il monaco forse più influente e innovativo del buddhismo thailandese moderno. Buddhadasa, convinto che il cuore di tutte le religioni è lo stesso, era solito leggere pezzi dalla Bibbia piuttosto che dal Corano per spiegare la dottrina del Buddha.

Nel suo monastero di Suan Mokkh, sull’isola di Samui, di conseguenza è possibile vedere icone delle maggiori religioni mondiali, forse per dimostrare che è davvero possibile che un Cristo e un Buddha, per esempio, stiano l’uno accanto all’altro senza litigare.

Il tempio è una foresta
E in una lista che sia davvero comprensiva, non possono neanche mancare quei monasteri senza nome, senza tetto, senza affreschi, senza guglie e senza nemmeno confini che sono sempre stati il cuore della pratica buddista in Thailandia.

La tradizione dei monaci Thudong, che si ritiravano nelle foreste per meditare sfidando la paura delle bestie feroci, delle malattie e dei fantasmi è stata messa duramente alle prova dall’istituzionalizzazione del buddhismo thailandese avvenuto a partire dal XIX secolo e poi durante gli anni sessanta e settanta, in cui la pratica era scoraggiata e i bonzi bollati come comunisti o ribelli, ma ci sono tutt’oggi un numero di monaci che passano settimane, mesi o anni in reclusione in una foresta.

Il buddhismo è, a differenza di altre, una religione pratica, per cui l’esercizio meditativo assume un ruolo molto più importante della dottrina piuttosto che della liturgia. Questi bizzarri monasteri thailandesi sembrano dunque riflettere una ricerca che non ha paura di sfuggire ai canoni di ciò che è ordinario o accettabile, e sono inoltre la testimonianza dell’ingegno di un Paese in cui spesso le uniche soluzioni ai piccoli e ai grandi problemi dell’esistenza sono quelle che vengono da se stessi.

[Foto credit: panoramio.com, studiochan.com, aimforawesome.com, buddhasociety.com] [Scritto per Lettera43]

* Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.