Thailandia – Il rischio concreto della guerra civile

In by Gabriele Battaglia

La rimozione della premier Yingluck Shinawatra da parte della Corte Costituzionale è solo l’ultima di una serie di golpe – giudiziari e militari – iniziata ben nove anni fa. L’ennesimo ribaltamento della volontà popolare potrebbe, questa volta, sfociare in una guerra civile. Un’analisi e ripasso storico di Edoardo Siani.
Circa nove anni fa, quando la crisi politica thailandese era appena iniziata, qualche osservatore evidenziò la possibilità che questa sarebbe sfociata in una guerra civile. Allora, la reazione di tanti thailandesi a tali osservazioni era quella che ci si potrebbe aspettare da un paese che vantava l’unità sociale più solida di tutto il sudest asiatico, e che di questa unità aveva fatto la sua ideologia: incredulità e resistenza.

Oggi, l’ipotesi guerra civile sembra essere invece nella testa di tutti, e, a sollevare l’argomento in Thailandia, la risposta più usuale, colorata di quella norma culturale che suggerisce di evitare argomenti caldi in pubblico, è un rassegnato yang, “Non ancora”.

Della possibilità di guerra civile in Thailandia si parla almeno da quando, lo scorso novembre, proteste antigovernative capitanate da un politico dell’opposizione hanno intasato il centro di Bangkok, chiedendo la rimozione del governo Yingluck Shinawatra perché questo venga sostituito da un consiglio di persone ad hoc scelte da loro stessi.

Lo scorso 7 maggio, il desiderio dei manifestanti è stato accolto almeno in parte dalla Corte Costituzionale, che ha ordinato la rimozione della premier e di parte del suo gabinetto. Il crimine di cui il governo Yingluck è stato giudicato colpevole è lo spostamento – secondo la sentenza, indebito – del capo della segreteria del consiglio per la sicurezza, che era stato nominato dal precedente governo di opposizione.

La rimozione di Yingluck è l’ultimo di una serie di episodi che hanno visto organi del governo rimuovere premier di maggioranza a favore di un’opposizione che è percepita come conservativa e vicina alle elite tradizionali. Nel 2006 l’esercito, dichiarando di agire nell’interesse della monarchia, aveva ribaltato con un golpe il governo di Thaksin Shinawatra, fratello di Yingluck e campione di voti dall’inizio del nuovo millennio in favore di oltre un anno di legge marziale.

Quindi, a seguito di una nuova vittoria elettorale del partito degli Shinawatra nel 2007, i premier della maggioranza furono rimossi uno ad uno – tramite processi che ricordano quello che si è appena svolto – in favore di un premier dell’opposizione.

Le camicie rosse – i membri del movimento sociale che sostiene gli Shinawatra – hanno gridato dunque al “golpe giudiziario”, e hanno lamentato che la battaglia politica in Thailandia non è più combattibile per vie elettorali, dopo che anche Yingluck, salita al potere con una massiccia vittoria elettorale nel 2011, è stata rimossa. Sono proprio alcune fazioni all’interno del movimento che hanno invocato la guerra civile come l’unica soluzione per riportare la democrazia nel paese.

L’opposizione ha risposto spiegando le vittorie elettorali degli Shinawatra in termini di pratiche di compravendita di voti, secondo loro diffuse specie nelle zone rurali, e ha sostenuto che la sospensione della democrazia è necessaria proprio per garantire il ritorno alla stessa, una volta che il “regime” degli Shinawatra sarà debellato – cioè, sembrerebbe, finché questi non sono più un’opzione alle urne.

Abhisit Wejjajiwa, il leader dell’opposizione, ha recentemente portato proprio il caso italiano come esempio e modello di una democrazia in cui il premier è stato scelto senza bisogno di andare alle urne.

Numerose ricerche antropologiche e sociologiche tuttavia hanno dimostrato che, nonostante lo scambio di doni continui a far parte delle politiche elettorali thailandesi, le accuse di compravendita di voti mosse dall’opposizione non sono fondate al giorno d’oggi, e che viceversa dimostrano una grave mancanza di familiarità tra questa e la realtà dell’elettorato di campagna.

Il rischio di una guerra civile rimane estremamente concreto in Thailandia, con l’aristocrazia apparentemente frammentata alla vigilia di un’incerta successione al trono, e corrispondenti spaccature all’interno delle forze armate. L’inaspettata popolarità di Thaksin Shinawatra sembra rappresentare un’importante minaccia proprio per alcune di queste fazioni.

[Scritto per Lettera43; foto credit: antiguaobserver.com]

*Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.