Sun Tzu, l’arte del vincere senza combattere

In by Simone

E’ il manuale di guerra più letto del pianeta. L’apologia della nonguerra che termina in un’apoteosi bellicista. Il Sun Tzu (Einaudi, 2013) ha per destinatario il Sovrano, ma mira risvegliare quell’hybris sopita che alberga in ogni grande figura di questo mondo, e, probabilmente, in tutti gli uomini. Un commento alla recente riedizione Einaudi.
Il Maestro Sun, al secolo Sun Wu, per lunghi decenni meglio conosciuto come Sun Tzu secondo la trascrizione Wade-Giles, è stato oppure no contemporaneo di Confucio? È nato nello Stato di Wu o in quello di Qi (differenza, ahinoi, sostanziale)? Fu o no artefice della conquista dello Stato di Chu? Fu o no evirato e mandato in esilio fino al sopraggiungere della morte per la presunta partecipazione a un complotto? È credibile, storicamente ineccepibile, il racconto di Sima Qian quando nello Shi Ji il Maestro Sun dimostra la sua dotta abilità nel saper ordinare le truppe, disciplinando a suon di decapitazioni un esercito di concubine?

È plausibile che Mao abbia fatto riferimento al manuale di Sun Wu per il suo lungo e vittorioso assedio del Guomindang? Napoleone ha davvero letto e praticato il Sunzi Bingfa? Voci, approssimazioni inevitabili per uno dei tanti personaggi più o meno mitici che affollano la storia cinese precedente l’avvento di Qin Shi Huang, Primo Imperatore, convinto piromane della storiografia scritta prima della ciclopica invenzione della Cina condotta di suo pugno, monarca che fagocitò le testimonianze – e per questo le vite stesse – di quanti ne avevano preceduto il corso, compresa forse quella del Maestro Sun.

Improvvida e spericolata una simile connessione tra Sunzi e Qin Shi Huang, la stessa che qualsiasi sinologo assennato boccerebbe senza troppe remore, né fatica. Quel “vincere senza combattere” suggello sintetico dell’opera di Sunzi, l’invito a conoscere il nemico unito alla conoscenza di se stessi quale strumento infallibile di vittoria, parlano oppure no anche della parabola del Primo Augusto Imperatore della Cina unita, della sua conquista con il ferro e il fuoco dello Stato di Han, di Wei, di Chu, di Zhao e Yan, e infine di Qi?

Costruttore della Grande Muraglia, inventore dell’esercito di terracotta – espressione emblematica di quella forma arcaica e puntuale di totalitarismo che Jean Lévi ha così ben definito nel suo imprescindibile Il Grande Imperatore e i suoi automi – nemico irriducibile degli intellettuali e di coloro che si ostinavano a conservare i libri – e per questo prefiguratore di un altro rogo librario più recente, quello della Rivoluzione Culturale Proletaria – Qin Shi Huang è uno spettro millenario che si aggira ancora tra i grattacieli della nuova Cina.

Scriveva Borges in Altre inquisizioni: «Bruciare libri ed erigere fortificazioni è compito comune dei principi; la sola cosa singolare in Shih Huang Ti fu la scala sulla quale operò». Una “scala”, appunto, che parla di tempi remoti, eppure ortogonali al presente. Una misura che richiama la stessa degli insegnamenti di Sunzi, oggi in auge più che mai, forse per la loro flessibilità, per la loro naturale funzionalità in ambiti che riecheggiano l’agone bellico, pur essendo all’apparenza incruenti, come il business, le strategie di mercato, fino a raggiungere le soglie della moderna Teoria dei giochi.

Gli insegnamenti del manuale di guerra più celebre della storia mondiale ha infiltrato gli strati più disparati della cultura cinese e non solo, come dimostra il ricchissimo apparato esposto nella monumentale edizione Einaudi, uscita nel 2013, a cura di Attilio Andreini e Maurizio Scarpari e tradotta da Debora Paparella e Micol Biondi, con un commento di Jean Lévi e illustrazioni scelte e commentate da Alain Thote.

Un’edizione imprescindibile, che fa luce intorno al “mistero” rappresentato dalla longevità dell’opera di Sunzi, a partire dall’implicita domanda: chi è il destinatario ideale del Sunzi Bingfa? La risposta è inequivocabile: il Sovrano, massimo interprete delle tesi espresse dall’autore, predestinato a incarnare egli stesso le teorie esposte, così che potesse esprimere in una misura compiuta, assoluta appunto, la grandezza che ne informa l’esistenza.

Il Sovrano può pensare la guerra – universo aleatorio per definizione – in modo razionale, chiudendola in uno schema finito in ogni sua propaggine, e allo stesso tempo ridurre il corso delle cose non attraverso l’azione, ma attraverso la funzione magica della parola. La guerra è logos, perfezione in grado di ridurre al minimo l’eventualità del conflitto, fino al compimento della condizione virtuosa della non-guerra. Va da sé: colui che detiene il primato della parola, chi ordisce l’ordine di una lingua, chi ne impone il senso, è già vittorioso.

Così la vicinanza estemporanea di Sunzi e di Qin Shi Huang si illumina di un riflesso nuovo, e allo stesso modo l’ossessione del Primo Augusto Imperatore di distruggere tutto quanto fosse stato scritto prima del suo avvento. La vittoria assoluta, ovvero la sospensione della possibilità di ogni conflitto, passano dalla detenzione altrettanto assoluta della parola, del suo significato: ordire non tanto le regole del gioco ma la pronuncia di queste, significa sospendere il “bisogno di combattere”, ovvero creare le condizioni di una pace imperturbabile.

Sunzi e Qin Shi Huang, in questa particolare ottica, sono i numi tutelari della nuova Cina. Distinti e quindi congiunti, rappresentano la premessa maggiore – se non addirittura il modello implicito – dei leader presenti e futuri che sono alla testa del nuovo corso cinese. Non è un mistero che l’ombra di Qin Shi Huang sia ancora impressa nelle logiche di potere della Repubblica Popolare (Mao stesso vantava un identico odio per gli intellettuali, richiamandosi alla figura del divino Primo Imperatore), così come ancora sia presente e vivo l’insegnamento del Maestro Sun, qualcosa che ha mutato letteralmente l’identità antropologica di una cultura, di un intero popolo, o quantomeno della sua classe dirigente.

Con una “pericolosa” eccezione, però, che risale alla domanda di cui sopra: chi è il destinatario ideale del Sunzi Bingfa? Il Sovrano certo, e allo stesso tempo gli uomini tutti che aspirano a essere misura del proprio destino. Una proiezione quest’ultima, una potenzialità nemmeno tanto sopita nella scrittura di Sunzi – espressione di una decostruzione plausibile del testo -, davvero poco cinese, almeno per la Cina odierna, terra di nuovi costruttori di muraglie e di nuovi freddi simulacri di pietra.

*Danilo Soscia è nato a Formia nel 1979. Studioso di letteratura di viaggio, vive e lavora a Pisa. Ha esordito nella narrativa nel 2008 con Condòmino (Manni) e ha curato il volume In Cina. Il Grand Tour degli italiani verso il Centro del Mondo 1904-1999 (Ets). È stato anche redattore del quotidiano Pisanotizie.it.