Suicidi di studenti ad Hong Kong: lo stress della «pietà filiale» confuciana

In by Simone

Nell’ultimo anno il numero di suicidi tra i giovani di Hong Kong è aumentato vertiginosamente: da una media di due o tre all’anno tra il 2010 e il 2014, dal 2015 al marzo 2016 la cifra è salita a 23. Effetto diretto, sostengono gli psicologi, dei livelli di stress sempre più pressanti ai quali vengono sottoposti gli studenti, schiacciati da una riforma scolastica severa, aspettative sociali, pietà filiale confuciana e un’esistenza dove il tempo libero e lo svago raramente sono contemplati.Il 7 settembre dello scorso anno uno studente dell’Università Cinese di Hong Kong si è tolto la vita gettandosi dal balcone del suo appartamento, situato al quattordicesimo piano di un edificio nell’area residenziale di Tsz Wan Shan. Il giovane, appena ventunenne, ha lasciato tre lettere di addio indirizzate alla famiglia, ai compagni di studi e all’università. Il tragico evento, che si è verificato il primo giorno dell’anno accademico 2015-2016, si è rivelato essere solo l’inizio di una lunga serie di suicidi da parte di studenti oberati dalle pressioni e dalle aspettative della famiglia e della società.

Il 10 settembre un ragazzo di soli undici anni si è gettato dal ventiduesimo piano di un condominio a Kwun Tong. I genitori, ignari dell’accaduto, si sono accorti che il figlio non era in camera da letto solo dopo essere stati svegliati nelle prime ore del mattino dalla polizia durante lo svolgimento delle indagini. Pochi giorni dopo, il 23 settembre, un tredicenne si è ucciso saltando da un edificio nell’area di Hung Hom. La polizia di Hong Kong ha poi rivelato che il giovane aveva problemi a scuola.

L’opinione pubblica di Hong Kong è stata scossa da questa serie senza precedenti di suicidi. L’allarme dato dai media, però, non ha sortito alcun effetto nel breve termine.

Fra il settembre del 2015 e il marzo di quest’anno, infatti, ben 23 studenti si sono tolti la vita. L’ultimo caso è stato quello di una studentessa ventunenne dell’Università politecnica di Hong Kong il cui corpo è stato ritrovato verso l’una del pomeriggio del 13 marzo di fronte ad un edificio residenziale di Tseung Kwan O. Prima di lanciarsi dalla finestra del suo appartamento, la ragazza ha scritto tre lettere, una per la famiglia, una per gli amici e una per i media. Si è trattato del quinto suicidio studentesco verificatosi nel mese di marzo, un aumento vertiginoso rispetto agli anni precedenti. Secondo Paul Yip Siu-fai, direttore del Centro per la ricerca e la prevenzione dei suicidi dell’Università di Hong Kong, fra il 2010 e il 2014 il numero di casi di suicidi di studenti è stato in media di due o tre l’anno.

Uno studio pubblicato proprio il 23 settembre dello scorso anno ha rivelato che il 40 per cento degli studenti di Hong Kong è soggetto ad alti livelli di stress e presenta sintomi di disagio quali affaticamento, insonnia e mal di stomaco. In un’intervista rilasciata al South China Morning Post, Joyce Chow Yuen-fun, presidentessa del Centro per la prevenzione dei suicidi, ha spiegato che i fattori più comuni che inducono gli studenti a togliersi la vita sono la pressione accademica, instabilità emotiva, problemi in famiglia e difficoltà finanziarie.

Nella società di Hong Kong il successo accademico è prioritario, cosa che si riflette nelle statistiche internazionali. Secondo il Programma per la valutazione internazionale dell’allievo promosso dall’Ocse, nel 2012 Hong Kong ha raggiunto il terzo posto su 65 paesi per quanto riguarda la preparazione in scienza e matematica degli allievi under 15.

La routine dei giovani di Hong Kong spesso non lascia spazio ad attività di svago che vengono considerate normali in occidente per la crescita e lo sviluppo adolescenziale. Oltre alla scuola, che dura dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio, la maggior parte degli alunni infatti frequenta due ore di tutorato e partecipa ad attività extracurricolari, come lezioni di musica e allenamenti sportivi.

Uno studio condotto dall’Unicef nel 2014 ha messo in luce la mancanza di tempo libero a disposizione dei giovani di Hong Kong. L’organizzazione ha intervistato 363 ragazzi delle scuole primarie e secondarie e i loro genitori. Il 90 per cento dei genitori ha dichiarato che i propri figli sono soggetti a stress a causa della scuola, mentre il 40 per centoha definito il livello di pressione accademica «alto» o «estremamente alto».

Una commissione incaricata dal governo di Hong Kong di studiare il fenomeno della mortalità giovanile ha appurato che i suicidi rappresentano la causa di morte più frequente nella fascia di età under 18. Fra il 2008 e il 2011 ci sono stati 85 suicidi, rispetto agli 83 decessi causati da incidenti. La maggioranza dei giovani si è uccisa saltando dai piani alti di edifici o impiccandosi. Il soggetto più giovane ad aver commesso un suicidio aveva soltanto 10 anni.

Il numero di suicidi a Hong Kong è elevato, ma generalmente non è molto al di sopra di quello di altri paesi sviluppati. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) mostrano che nel 2012 a Hong Kong la media di suicidi per 100,000 abitanti è stata di 8.8. Facendo un raffronto, in Germania la percentuale è stata di 8.5 e in Giappone di 16.6. L’Italia, invece, ha una media molto bassa, di 5.3 per 100,000 abitanti. Nel 2007 la percentuale di suicidi a Hong Kong nella fascia di età compresa fra i 10 e i 19 anni era pari al 2.6 per cento del totale. Quest’anno, però, l’aumento dei suicidi fra i giovani rappresenta un trend negativo che probabilmente si rifletterà sulle statistiche ufficiali. Ma quali sono i motivi che hanno portato ad una così improvvisa crescita del fenomeno?

Paul Yip Siu-fai ipotizza che il peggioramento della condizione psicologica degli allievi potrebbe essere dovuto alla recente riforma scolastica, il cosiddetto «piano 3-3-4». Secondo la Nuova struttura accademica, come è ufficialmente chiamata, la scuola primaria inizia a 6 anni e termina a 12. Gli studenti qualificati possono accedere alla scuola secondaria inferiore e superiore, della durata di tre anni ciascuna, ed infine ci sono quattro anni di università.

Prima di potersi iscrivere all’università, però, gli studenti devono superare un esame chiamato Hong Kong Diploma of Secondary Education (Hkdse). Un esame intermedio che esisteva nel vecchio sistema è stato invece eliminato. Il piano 3-3-4 prevede quattro materie fondamentali (lingua cinese, lingua inglese, matematica e arti liberali), più tre materie a scelta.

Il nuovo sistema è stato oggetto di molte critiche. Per prima cosa, ogni riforma richiede un periodo di aggiustamento sia per gli insegnanti che per gli alunni, cosa che può portare ad un maggiore livello di stress nel periodo di transizione. In secondo luogo, sono state aggiunte materie nuove ed è stato tolto un esame intermedio, perciò gli alunni hanno più carico di lavoro e non hanno esperienza di un esame vero prima di affrontare l’Hkdse. Dato che questo esame è fondamentale per entrare all’università, tutta la pressione si concentra sul suo superamento.

Anche la struttura dell’esame stesso è stata oggetto di accesi dibattiti. Ad esempio, il test di cinese è stato soprannominato «l’esame della morte» perché ogni anno circa il 50 per cento dei partecipanti non riesce a raggiungere la sufficienza. Molti partecipanti che hanno buoni voti nelle altre discipline devono dunque posticipare l’entrata all’università a causa di questa sola materia. Secondo alcuni professori, non è colpa degli studenti ma della struttura stessa dell’esame. Alcuni testi, come quelli di autori quali Confucio o Laozi, sono scritti in cinese antico. Sarebbe come se ad un italiano venisse presentato un testo di latino durante un esame di lingua italiana. Anche le domande sono astruse. È ormai diventato famoso l’aneddoto dello scrittore Wong Kwok-pun. Una delle domande di un esame riguardava lo stile di un suo brano, e le possibili risposte erano: «contrasto, associazione, risonanza e stratificazione progressiva». Nel 2013 i media cinesi posero questa domanda allo scrittore stesso che, imbarazzato, rispose: «Non pensavo a queste cose mentre scrivevo… Potrei aver usato tutti e quattro i metodi».

Daniel Lee Cheuk-hin, uno studente non ha superato l’esame, ha raccontato al South China Morning Post delle ripercussioni psicologiche del suo fallimento. «Durante tutto quell’anno non volevo vedere nessuno, soprattutto i miei compagni di scuola. Mi vergognavo e non sapevo cosa dirgli».

La vergogna è una delle categorie fondamentali per capire il fenomeno dei suicidi. La cultura cinese viene infatti definita una «società della vergogna». In essa i genitori inculcano il senso della vergogna nei figli per poter mantenere il controllo su di loro. La punizione per chi si ribella agli standard morali è l’isolamento sociale.

Nonostante molti vedano nel sistema scolastico l’origine dei problemi degli studenti, c’è chi sostiene che siano proprio i genitori a spingere i figli all’estremo, minacciando indirettamente di ostracizzarli e colpevolizzandoli se non dovessero essere all’altezza delle loro aspettative. Secondo lo studio dell’Unicef sopracitato, il 90 per cento dei genitori intervistati ha iscritto i figli ad attività extracurricolari nella speranza che questo possa dargli un vantaggio rispetto alla «concorrenza» e possa sprigionare il loro potenziale. Più del 70 per cento degli alunni delle scuole primarie e secondarie ha detto di avere meno di un’ora di tempo libero al giorno. Alcuni alunni addirittura partecipano a dieci o più di dieci attività extracurricolari ogni settimana. Meno del 40 per cento dei genitori crede che giocare porti benefici ai figli.

Le aspettative dei genitori sono anche il frutto della tradizione confuciana profondamente radicata nella società cinese. La virtù fondamentale del sistema etico confuciano è la «pietà filiale», secondo cui i figli devono sottomettersi ai genitori e prendersi cura di loro per «ripagarli» delle cure ricevute da bambini.

In teoria i figli dovrebbero mantenere i genitori anziani, ma spesso non hanno i mezzi economici per farlo. A Hong Kong, un anziano su tre vive in condizioni di povertà. Lo stato garantisce un sussidio per gli anziani. Spesso, però, viene chiesto ai figli di firmare una lettera in cui dichiarano di non essere in grado di mantenere i genitori, la cosiddetta «lettera del cattivo figlio». A causa dell’umiliazione e dello stigma sociale che ne deriva, molti anziani preferiscono vivere in povertà piuttosto che «disonorare» la famiglia. La competizione affinché i figli abbiano successo, dunque, risulta sia dal bisogno di prestigio sociale che dalla necessità di sopravvivenza.

Per molti bambini di Hong Kong la corsa verso il successo accademico e una brillante carriera inizia già dall’asilo. Molti genitori credono che la carriera si determini all’inizio. Ne nasce una forte competizione per accaparrarsi i posti migliori: ci sono asili che ricevono fino a 1,000 domande di ammissione per una dozzina di posti disponibili. Uno di questi, il King Shing Kindergarten, è diventato celebre quando nel 2014 molti genitori hanno fatto la fila per due notti per poter presentare le domande di ammissione.

Gli alunni che non riescono ad eccellere spesso ne subiscono devastanti conseguenze a livello psicologico. È questo il caso di Ethan, un ragazzo di dieci anni che era stato duramente redarguito da genitori ed insegnanti dopo essere stato bocciato ad un esame di cinese. Il 14 novembre del 2011, secondo quanto riportato allora dai media locali, Ethan scrisse nel suo diario: «Voglio morire. Voglio uccidermi. Voglio essere messo in prigione. Voglio la morte». Dopodiché si è gettato dal balcone di casa. Fra il 2005 e il 2010 i suicidi nella fascia di età under 20 sono aumentati del 58 per cento.

Il governo di Hong Kong ha reagito all’impennata dei suicidi aumentando il numero di consulenti psichiatrici in scuole e università. Inoltre il 10 marzo il ministero dell’istruzione ha annunciato la creazione di un’apposita commissione che dovrà formulare proposte su come affrontare il fenomeno. Della commissione, presieduta da Paul Yip Siu-fai, fanno parte insegnanti, professori, assistenti sociali, dottori, psicologi, ed una rappresentante della federazione degli studenti dell’Università di Hong Kong.

Molto controversa è stata invece l’inclusione in un manuale per la prevenzione dei suicidi degli studenti di un «contratto di non suicidio», in cui i giovani promettono di non togliersi durante il periodo in cui frequentano una data istituzione. Qualunque siano le misure adottate dalle autorità in futuro, è difficile credere che esse possano cambiare la mentalità di una società in cui sia i genitori che le istituzioni spingono i giovani a raggiungere l’eccellenza sacrificando il tempo libero e lo sviluppo dell’individualità.

*Aris Teon ha conseguito una laurea in lingue e culture straniere a Trieste e a Berlino, ha preso la fatidica decisione di iniziare una nuova avventura nell’Estremo Oriente. Ha vissuto a Taiwan e Hong Kong per tre anni, a volte frustrato e confuso, ma sempre pieno di curiosità ed entusiasmo. Sul suo blog ‘www.my-new-life-in-asia.blogspot.com’ scrive delle sue esperienze e osservazioni. I suoi articoli appaiono regolarmente su ‘The Nanfang’. Ha scritto per ‘L’Indro’ e ‘East Magazine’.