La Coca Cola non potrà diventare la regina dei succhi di frutta in Cina. Pechino ha infatti bloccato l’acquisizione da parte del colosso Usa della China Huiyuan Juice Group Ltd., azienda cinese che detiene il 40% del mercato nella produzione di bevande non alcoliche e non gassose. Per la Coca Cola tramonta una possibilità di affari decisamente più vasta rispetto al limitato, per ora, mercato delle bevande frizzanti in Cina. C’era grande attesa intorno all’operazione per svariati motivi: sarebbe stata la più imponente acquisizione di una società cinese da parte di un’azienda estera e si era interessati a valutare il funzionamento della legge anti monopolio cinese varata solo lo scorso agosto, dopo anni di bozze e tentativi.
La Coca Cola da parte sua era arrivata all’operazione nel migliore dei modi. Durante le Olimpiadi di Pechino era stata una degli sponsor più imponenti e visibili, con i propri prodotti presenti in ogni punto di Pechino. Grazie a questa azione commerciale vasta, si dice che avesse anche rafforzato i propri legami con la nomenclatura cinese, indispensabile per aumentare il proprio giro di affari in un paese in cui il network relazionale è determinante. Aveva effettuato l’annuncio di un ulteriore investimento di due miliardi di dollari in Cina e monetizzato un’offerta di 2,4 miliardi di dollari, presentata lo scorso autunno, che aveva già sciolto le riserve degli azionisti della Huiyuan, azienda quotata in borsa ad Hong Kong. Sottoposta a controlli e richieste, la Coca Cola aveva aggiustato il tiro: tutto sembrava pronto per la grande mossa. Ne sarebbe venuta fuori un’operazione commerciale d’altri tempi, con un potenziale giro d’affari dei due gruppi uniti che avrebbe superato i 10 miliardi di yuan, oltre un miliardo di euro, tenendo conto dei numeri di bilancio del 2007, con oltre 400 milioni di yuan registrati da ciascuna azienda in Cina.
Invece, l’operazione è saltata, poiché non consentita dalla nuova legge anti monopolio cinese. Un’acquisizione «negativa per la concorrenza» secondo un comunicato diramato dal ministero del commercio cinese, che ha aggiunto: «se l’operazione fosse andata in porto, i consumatori sarebbero stati costretti ad accettare prezzi più alti e una rosa più ristretta di prodotti». Zhang Junsheng, un professore universitario di economia si è detto soddisfatto: «questa decisione aiuterà sia i produttori di succhi cinesi, sia quelli esteri a competere in modo corretto ed è un ottimo segnale per le aziende che sviluppano il proprio business su un arco temporale piuttosto lungo».
Dopo l’altolà alla Coca Cola tra gli osservatori internazionali rimangono alcuni dubbi sulla decisione, in virtù di una legge anti monopolio sulla quale sono state sollevate nel corso del tempo parecchie perplessità. «Il ministro del commercio cinese dovrà rendere pubblico il motivo della sua decisione», sostiene su Bloomberg Guan Anping, trader cinese, oggi avvocato di un noto studio legale a Pechino: «il governo – aggiunge – deve dimostrare di trattare ogni caso con lo stesso metro di giudizio». La legge anti monopolio cinese era già stata criticata a suo tempo dalla Camera di Commercio Usa e da quella dell’Unione Europea. Ieri alla notizia del blocco dell’acquisizione della Coca Cola, l’Unione Europea ha chiesto chiarimenti a Pechino.
La Coca Cola rimane in silenzio, per ora, e con il becco asciutto rispetto ad un’operazione partita nello scorso ottobre e grazie alla quale avrebbe ampliato le proprie quote di mercato come mai ha potuto fare in questi trent’anni di rapporti commerciali con la Cina. Per la Coca Cola il Celeste Impero è infatti il terzo mercato mondiale dopo Stati Uniti e Messico.
Per la China Huiyuan Juice Group Ltd. invece è stata una giornata da incubo, da dimenticare il prima possibile. La quotazione dell’azienda, composta dal fondatore Zhu Xinli (che controlla il 36%), la Danone (22,98%) e il fondo di investimento Usa, Warburg Pincus (6,8%), ha fatto un tonfo letale nella Borsa di Honk Kong: il titolo è scesa a picco del 19%, infine è stato sospeso.
La decisione sorprendente di Pechino è avvenuta nel giorno in cui la Banca Mondiale ha annunciato una revisione al ribasso della previsione di crescita dell’economia cinese nel 2009: dal 7,5 al 6,5 per cento.
[pubblicato da Il Manifesto il 19 marzo 2009]
[foto da Xinhuanet]