La Cina e la crisi: l’anno piu’ duro

In by Simone

Intellettuali e lavoratori migranti nella stessa situazione, a rischio disoccupazione. Un mercato interno che stenta, esportazioni minacciate da protezionismo e una situazione nelle campagne ancora in alto mare: ecco la crisi vissuta dalla potenza cinese. I dati del resto continuano a essere incontrovertibili: la crisi finanziaria mondiale in Cina finisce per colpirne soprattutto l’economia reale. Lo dicono i dati di disoccupazione, la diminuzione delle esportazioni, la difficoltà del mercato interno e ora anche i dati sulla produzione industriale. Ci si aspettava un +6% e invece la produzione industriale cinese è aumentata solo del 3,8% nei mesi di gennaio e febbraio. La più bassa mai registrata ed un brutto colpo alle previsioni degli analisti e all’ambiente in generale. Non solo, perché la Cina deve fronteggiare anche un fenomeno che appare nuovo da queste parti: un qualsiasi neo laureato cinese può descrivere la condizione di disagio e di precarietà che dovrà affrontare nell’immediato futuro. In Cina comincia a rimanere a piedi il nuovo ceto intellettuale, composto da persone che hanno studiato e che avrebbero dovuto trovare impiego nel terzo settore. Designer, creativi, responsabili di marketing soprattutto: la crisi colpisce questo settore lavorativo urbano e cresciuto nel mito della nuova ondata di innovazione cinese. Una massa di persone che costituisce una spina nel fianco del governo e dell’armonia tanto predicata, insieme ai milioni di lavoratori migranti senza lavoro e alla mediocre crescita del mercato interno che potrebbe sopperire alla crisi delle esportazioni. E se Wen Jiabao e il Governo cinese sembrano voler affrontare il momento di difficoltà con ottimismo e fiducia, secondo molti analisti per il Dragone può parlarsi, senza alcun dubbio, di recessione.

Si tinteggiano infatti futuri foschi per la Cina: se la crescita annunciata dell’8% non dovesse registrarsi, il pericolo per la Cina sarà sopratutto sociale. Troppi i disoccupati e la difficoltà, specie nelle zone rurali, e tanta la corruzione: un mix che potrebbe sfociare in focolai di proteste tremende, nell’anno delle ricorrenze tibetane e delle lotte degli studenti del 1989. Per i cinesi, così attenti ai numeri e alle celebrazioni, presagi da tenere in considerazione, anche perché tutti i crolli delle dinastie imperiali furono anticipate da crisi economiche rilevanti.

La realtà, il dramma più grosso per l’economia cinese, è costituito dai milioni di lavoratori migranti che, tornati alle proprie case e famiglie per celebrare il capodanno lunare, non son tornati a lavorare. Disoccupazione e difficoltà a entrare nel mondo del lavoro sono i nuovi grattacapi per la potenza cinese. E gli esiti potrebbero essere devastanti. Per quanto riguarda i lavoratori migranti le cifre si attestano su numeri alti, 25 milioni, mentre a destare preoccupazione sembrano i circa due milioni di neo laureati che tra il 2008 e il 2009 non hanno trovato lavoro (ha provocato molta preoccupazione la notizia che molti laureati cinesi si presentano in concorsi per posti di lavoro da addetti alle pulizie dei bagni pubblici o altre mansioni considerate umili e a basso reddito). Questi ultimi, giovani, ambiziosi e cresciuti negli anni del boom economico, potrebbero costituire il rischio sociale più alto per la Cina. Vivono nelle grandi città, hanno studiato da colletti bianchi, hanno viaggiato, sono emancipati socialmente e culturalmente e reclameranno prima o dopo il loro posto nella gestione della ricchezza cinese.

Per la popolazione rurale invece, circa 750 milioni di persone, neanche il pacchetto di sostegno all’economia, circa 600 miliardi di dollari, sembra poter garantire stabilità. Per questo se in alcune provincie la situazione non ha subito grandi scossoni, in Henan ad esempio, in altre regioni il rimedio governativo è stato spingere sull’acceleratore la riforma agraria lanciata in novembre.
Secondo l’economista He Qinglian, che già nel novembre del 2008 in un’intervista a Epoch Times, aveva parlato di recessione, la crisi ha origini lontane: già nel 2008, anche se offuscata dalla necessità di sfoderare una grande Cina agli occhi del mondo in occasione delle Olimpiadi, la fase negativa avanzava. La crisi delle esportazioni dovute agli scandali (su tutti quello dei giocattoli) e un settore del real estate completamente in mano agli speculatori, sarebbero state le cause primarie della condizione attuale dell’economia cinese. E’ un effetto domino: a Pechino, Guangzhou, Shanghai e Shenzhen già a fine 2007 il mercato immobiliare era sembrato sull’orlo del collasso. E adesso anche in città più piccole, come Nanjing, Wuhan, Chengdu, Chongqing, Xiamen, Fuzhou e Zhuhai il mercato immobiliare ha subito un crollo del 15%.

Lavoro, casa e sicurezza sociale: la Cina non sembra distante dai problemi occidentali di gestione della crisi cui si aggiunge una difficoltà politica tutta cinese. Il governo centrale di Pechino, come dimostra l’attuazione della riforma agraria, sembra avere la necessità di garantire la linea politica ed economica anche nelle province più distanti, spesso in mano a funzionari corrotti e poco propensi ad attuare quanto richiesto dal centro. Un ulteriore fattore di destabilizzazione e pericolo sociale. Il 2009 sarà davvero l’anno più difficile.

[pubblicato da Liberazione il 13 marzo 2009]

[nella foto, folla di gente a una fiera del lavoro in Cina, da panasianbiz.com]