Sterilizzazioni forzate per i disabili: il Giappone fa mea culpa

In Asia Orientale, Sociale e Ambiente by Serena Console

Un rapporto fa luce sulle vittime, fra cui due bambini, della legge abrogata nel 1996. I cittadini con disabilità o malattie mentali sono stati operati anche con l’inganno

Nel secondo dopoguerra in Giappone la presenza di persone con disabilità, malattie mentali o disturbi ereditari doveva essere ridotta. Con l’inganno o con la forza. In soccorso al governo intenzionato a portare avanti questo macabro progetto di controllo e «selezione demografica» era arrivata la Legge di protezione eugenetica, che ha portato alla sterilizzazione di persone con disabilità intellettive e fisiche, per impedire la nascita di una prole «inferiore». La norma, entrata in vigore nel 1948 per essere abrogata 48 anni dopo, ha portato alla sterilizzazione di quasi 25mila persone. Almeno 16mila di queste procedure sono state eseguite senza consenso anche su minori, tra cui due bambini di 9 anni, un maschio e una femmina.

A FARE LUCE sui dati agghiaccianti è un rapporto parlamentare, arrivato a inizio settimana e che segna un punto di arrivo di un’indagine governativa iniziata nel 2020. In base all’inchiesta, alcune vittime sono state sterilizzate su richiesta dei familiari o come condizione per accedere alle strutture assistenziali. In altri casi, le persone sono state indotte a credere che si sarebbero sottoposte a interventi chirurgici di routine, come la rimozione dell’appendice. La Legge sull’Eugenetica prevedeva che, in assenza del consenso della persona sottoposta a sterilizzazione, una commissione d’esame presso il governo della Prefettura potesse decidere se far eseguire o meno l’intervento chirurgico.

LA METÀ degli anni Cinquanta fu il periodo in cui le sterilizzazioni forzate furono più frequenti: in un solo anno vennero effettuate 1.362 procedure. Il numero calò sensibilmente negli anni Ottanta, quando aumentò la consapevolezza dell’opinione pubblica sul tema. Nonostante l’abrogazione nel 1996, per alcuni studiosi la norma ha impiantato nella società giapponese il seme della discriminazione contro le persone disabili. Un terribile caso di cronaca del 2016 ne è la prova: quell’anno, 19 persone sono state uccise in una casa per disabili a Sagamihara da un ex dipendente della struttura che sognava un mondo privo di persone con disabilità.

Solo nel 2019 il governo di Tokyo ha riconosciuto le sue responsabilità, tanto da varare una legge per pagare un risarcimento di 20mila euro a ogni persona costretta alla sterilizzazione. Il termine per la domanda di pagamento scadrà nell’aprile 2024, ma ad oggi solo 1.049 hanno ricevuto il risarcimento. La compensazione è stata criticata dagli attivisti, che hanno portato il caso persino nelle aule dei tribunali giapponesi. In quattro delle sei sentenze dell’Alta corte giapponese, la magistratura ha ordinato al governo di risarcire le vittime senza applicare i termini di prescrizione previsti dal codice civile che impedisce di chiedere il risarcimento dei danni una volta trascorsi 20 anni dall’illecito. Le sentenze hanno soprattutto il merito di aver riconosciuto l’illegalità di un provvedimento che ha privato le vittime della dignità e del diritto all’autodeterminazione garantiti dalla Costituzione.

A rivolgersi alla magistratura giapponese sono state in particolar modo le donne, che rappresentano circa il 70% delle vittime. Non un dato sorprendente se si prende in considerazione quanto il paese sia ancora indietro nell’uguaglianza di genere. Quest’anno il Giappone è scivolato al 125esimo posto su 146 nazioni nel mondo nella classifica sul gender gap stilata dal World Economic Forum (Wef): si tratta del peggior risultato mai registrato dal Paese.

IN CONFERENZA stampa l’attuale capo di gabinetto Hirokazu Matsuno ha dichiarato che il governo «si scusa profondamente» per il dolore «tremendo» inflitto alle vittime. I risultati del rapporto parlamentare hanno suscitato sdegno sui social media per la scoperta che la procedura fosse applicata anche a bambini di 9 anni. Ma c’è chi ha criticato la pubblicazione del documento perché non affronta il motivo per cui ci sono voluti quasi 50 anni per eliminare la legge, né spiega perché sia stata adottata.

Di Serena Console

[pubblicato su il manifesto]