Speciale Xinjiang: Fidarsi di un rumor, intervista a James Millward

In Interviste by Simone

James Millward, docente di storia presso la Georgetown University di Washington, è uno dei maggiori esperti mondiali della regione dello Xinjiang, autore di Eurasian Crossroads: A History of Xinjiang. China-Files lo ha raggiunto via mail, chiedendogli alcuni pareri sugli eventi di Urumqi dello scorso anno.

Partiamo da una valutazione dei fatti dello scorso anno…
I disordini di Urumqi sono stati gli incidenti più violenti nello Xinjiang dopo le dimostrazioni di Gulja nel 1997 e forse anche dopo la furia delle guardie rosse della rivoluzione culturale. Tuttavia, voglio suggerire che essi per molti aspetti costituiscono un punto di partenza, più che un punto di arrivo di modelli del passato. Nei giorni che hanno preceduto gli scontri, giovani uiguri avevano protestato sfilando sotto le bandiere della Repubblica Popolare: hanno protestato esprimendo però una lealtà alla Cina. I moti di Gulja, nel 1997, oltre ad essere una risposta alla repressione di un nascente movimento sociale uiguro, ebbero anche connotazioni religiose, che oggi sono assenti.

Ovvio, ci sono molte cose che noi ancora non sappiamo, e che non potremo mai sapere, anche se alcune cose sono chiare perfino con le limitate informazioni disponibili. In primo luogo, è evidente che in ogni fase di questi eventi sconvolgenti, la diffidenza dei media ufficiali e la mancanza di informazioni attendibili hanno creato o aggravato le condizioni di violenti scontri etnici: la violenza iniziale è stato innescata da un rumor. Le persone si sono fidate di una voce, in mancanza di informazioni affidabili. La narrazione ufficiale dello stato di quanto accaduto a Shaoguan e Urumqi in seguito è stata diffusa con successo nei confronti del pubblico cinese. Ma mentre questo garantisce che la gente sappia cosa ufficialmente si può dire su questi incidenti, questo non garantisce la verità sui fatti.

Che informazioni hai sul rumor cui hai accennato?
La Shaoguan Xuri Factory, fabbrica di giocattoli nella provincia del Guangdong nel sud della Cina, aveva assunto diverse centinaia di lavoratori uiguri arrivati tramite il programma cinese di trasferimento della forza lavoro. Gli uiguri erano alloggiati in una parte del complesso che ospitava anche lavoratori han di altre sezioni. Il proprietario della fabbrica è un miliardario di Hong Kong e membro della Conferenza Consultiva Politica, forte di collegamenti all’interno del governo cinese: non a caso la sua fabbrica è classificata come la più grande produttrice di giocattoli al mondo (produce giocattoli per la Hasbro, Mattel e altre società).

Non sappiamo molto circa la fonte di attrito tra i gruppi etnici. Secondo il rapporto Xinhua rilasciato il 29 giugno, un ex impiegato han, soprannominato Zhu, aveva lasciato la fabbrica. Ha tentato di ritornare, una volta cambiata idea, ma non è stato riassunto. Zhu ha così postato su internet una notizia falsa, affermando che sei uiguri avevano violentato due donne han che lavoravano in fabbrica. Secondo un’altra storia, raccontata a un giornalista da parte di altre persone, una lavoratrice han avrebbe perso la strada nel dormitorio e sarebbe entrata nel dormitorio degli uomini uiguri, finendo per urlare, spaventata. Queste storie non si escludono a vicenda.

Il 26 giugno, i lavoratori han della fabbrica hanno preso d’assalto la zona degli uiguri armati di bastoni, sbarre di ferro e machete per attaccarli, apparentemente in risposta alla notizia circa lo stupro. L’incidente, inizialmente descritto come un corpo a corpo, si è allargato ben presto a tutta la fabbrica con il risultato che due uiguri sarebbero stati uccisi e 118 persone di origine etnica non specificata sono stati ferite.

Un video cattura la scena di due uomini distesi per terra, colpiti con bastoni e grossi pezzi di pietra o di cemento. Ci sono decine se non centinaia di osservatori. Il video è stato girato da un balcone, e pubblicato su Sohu.com prima di essere cancellato. Fino a questo momento non c’è alcuna prova di intervento della polizia e gli uomini sono stati selvaggiamente picchiati successivamente da alcuni assalitori in modo lento fino a quando ogni vittima giaceva per terra.

A seguito dell’incidente le autorità cinesi hanno annunciato di aver arrestato il signor Zhu. Diverse centinaia di operai uiguri sono stati arrestati e molti lavoratori han hanno lasciato la fabbrica per evitare l’arresto. Le immagini dei combattimenti e le loro conseguenze hanno cominciato a circolare su Internet, le autorità cinesi hanno affermato che le immagini erano false. Poi tutto si è spostato a Urumqi.

Quali sono le recenti condizioni degli uiguri in Xinjiang?
Se la Cina è stato il principale beneficiario dei cambiamenti di due decenni fa in relazione agli assestamenti geopolitici dovuti al crollo dell’Unione Sovietica, alcuni sostengono che siano proprio gli uiguri i grandi perdenti.
Certo, questo è un punto discutibile, dal momento che gli uiguri, soprattutto quelli nelle città, hanno usufruito del notevole sviluppo economico cinese che ha sollevato centinaia di milioni di cinesi nella classe media. Gli standard di vita media in Xinjiang, indipendentemente dall’appartenenza etnica, sono ora superiori rispetto a quasi tutta l’Asia centrale. Ma secondo un calcolo nazionalista tradizionale, mentre altri popoli più importanti dell’Asia centrale hanno ora uno stato cuscinetto con il loro nome, gli uiguri non lo hanno.

Bisogna sottolineare, però, che è difficile per gli osservatori esterni generalizzare su cosa gli uiguri sentano davvero di questi cambiamenti. In assenza di una stampa libera, di elezioni, sondaggi di opinione, o altri strumenti che possono oggettivamente e in modo statisticamente significativo valutare ciò che gli uiguri, rurali e urbani, di diversi ceti sociali, pensano della trasformazione della regione e della loro vita, noi abbiamo solo prove aneddotiche fornite da esperti, giornalisti, ma anche da un turista attraverso il blog: opinioni quasi sempre basate su contatti brevi con una manciata di persone nelle grandi città, che lasciano sempre un’impressione generale di malcontento uiguro. Gruppi per i diritti come l’Asia Watch e Amnesty International hanno informazioni più dettagliate, ma il loro mandato è specificamente riferire su aspetti più oppressivi della Cina.

Che pensi delle accuse di terrorismo rivolte agli uiguri?
Anche se i media di stato cinesi (e molti dei blogger han) hanno applicato il termine "terrorismo" ai violenti attacchi uiguri in Urumqi, questo è un elemento insignificante nel racconto ufficiale in corso. Cioè, "terrorista" ora serve semplicemente a denigrare, a non spiegare: anche se le fonti cinesi hanno sostenuto associazioni tra uiguri e gruppi come Al Qaeda, finendo per aumentare la visibilità internazionale di Rebiya Kader. Per altro, dubito che la Kadeer abbia l’influenza di fare andare per strada migliaia di uiguri.

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