Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 2009 si leggeva in alcuni siti in lingua uigura (Salkin, Diyarim e Uyghur Biz) e serpeggiava tra i giovani uiguri tramite QQ (versione cinese di msn) e sms l’idea di radunarsi il 5 luglio vicino Piazza del Popolo (Renmin Guangchang) per una manifestazione di protesta. L’intento ufficiale di chiedere al governo cinese chiarezza sulla morte di due operai uiguri nel lontano Guangdong sembrava alimentato dal desiderio di ribellarsi contro l’oppressione cinese. E così fu.
La ribellione studentesca trasformatasi in scontro violento tra uiguri, han ed esercito allarmò il governo cinese tanto da costringere Hu Jintao—Presidente della Repubblica Popolare Cinese—a lasciare anticipatamente il G8 e tornare a Pechino. Senza dubbio, la protesta attirò anche l’attenzione della comunità internazionale e l’arrivo dei giornalisti ad Urumqi con il “permesso” della Cina. L’immagine di migliaia di studenti uiguri in piazza dopo anni di silenzio suscitò tra gli osservatori internazionali la sensazione che si stesse risvegliando il nazionalismo uiguro. Il loro entusiasmo e il loro essere pronti a superare la paura di una rigida oppressione da parte del governo, fece supporre che stesse cambiando qualcosa nel Xinjiang.
Cosa è accaduto nei dodici mesi seguenti? Secondo le fonti ufficiali, 197 persone sono morte (156 han, 10 uiguri e 11 hui), 35 persone sono state condannate a morte, di cui 9 già eseguite (8 uiguri e un han) e circa 1400 persone arrestate delle quali non si conosce l’etnia di appartenenza. L’accesso a internet è rimasto bloccato sino al 14 maggio 2010, anche se monitorato dal governo. L’invio di messaggi è stato ripristinato lo scorso gennaio, anche se con un numero limite di 20 sms al giorno. Le chiamate internazionali restano difficoltose. Il 24 aprile, Wang Lequan, segretario del Partito Comunista del Xinjiang, viene sostituito da Zhang Chunxian, il quale ribadisce l’importanza dello sviluppo economico per la stabilità della regione. Per l’anniversario degli scontri di luglio, 40.000 telecamere sono state posizionate per garantire la sicurezza degli abitanti di Urumqi.
Si sono avverate le aspirazioni degli uiguri? Sebbene molti fattori siano lungi dall’essere chiari, risulta evidente attraverso i video che gli uiguri hanno sventolato la bandiera della RPC durante la protesta. Quel drappo rosso con le cinque stelle conferma che i giovani del 2009 sono diversi dai giovani di Ghulja del 1997, pronti a combattere per l’indipendenza della madrepatria. Non hanno invocato l’indipendenza dalla Cina, come sarebbe piaciuto agli uiguri della diaspora internazionale che non accettano le strategie diplomatiche di Rebiya Kadeer- leader del World Uyghur Congress- tese alla sola richiesta di “reale autonomia”. I giovani del 2009 sono anche diversi dagli uiguri di Baren del 1990 che utilizzavano l’Islam come elemento di aggregazione.
Nessuno di loro ha invocato l’aiuto di Allah, cosa questa che sarebbe piaciuta molto al governo cinese in quanto avrebbe alimentato l’immagine di una Cina quale vittima del terrorismo uiguro.
E allora perché hanno protestato? Se hanno avuto il coraggio di manifestare, probabilmente il nazionalismo uiguro si sta risvegliando dal lungo letargo. Alcuni uiguri , ma solo alcuni, sembrano ancora pronti a lottare per mantenere viva la propria identità. Tuttavia, se hanno preferito sventolare la bandiera della Repubblica Popolare Cinese invece che quella del Turkestan orientale, forse il sogno di indipendenza etichettato diplomaticamente “reale autonomia” è più vivo tra gli uiguri che non vivono in loco? Ai posteri l’ardua sentenza.