[Speciale Chunjie] Spiriti e leggende del Capodanno cinese per le vie del miracolo economico

In by Simone

“Il fragore dei fuochi d’artificio saluta il vecchio anno, il caldo vento primaverile porta l’aroma del vino ricolmo di buon augurio, migliaia di case si aprono gioiose alla luce del sole, le nuove formule rituali prendono il posto delle vecchie”.
Le parole di Wang Anshi  risuonano da tempi lontani e portano ai nostri giorni i sentimenti di uno statista e poeta dell’undicesimo secolo. Ma non si tratta solo delle parole di un uomo, queste poche frasi incarnano soprattutto lo spirito di una società, ci tramandano l’eco della storia che ogni anno, ininterrottamente fino ad oggi e da un giorno ormai perso nella memoria, rievoca l’attesa ciclica di un popolo antichissimo. è anche questo il Chunjie, la Festa della Primavera che inaugura il tradizionale anno cinese e coincide, a seconda dei casi, con il primo, il secondo o il terzo novilunio successivo al solstizio invernale.

Oggi la tradizione si mischia spontaneamente alle esigenze della modernità, a volte è soffocata dagli enormi ingranaggi economici, all’interno di un processo di continua identificazione e sovrapposizione. Ma guardando in profondità, la principale festa nazionale cinese rivela la tradizione in ogni suo passo, la racchiude in ogni suo simbolo e nelle superstizioni che di anno in anno vengono riproposte dalla gente comune; i suoi rituali sono eseguiti spesso meccanicamente ma rivelano tutti il senso più profondo della festività tradizionale: lo sforzo di una società contadina soggetta alle forze della natura, la durezza delle condizioni di vita della società antica cinese, il movimento uniforme di un popolo che sposta il proprio sguardo dalle avversità del passato alle speranze di un nuovo ciclo agricolo. Ogni movimento compiuto durante il Chunjie converge nel gesto augurale, nel buon auspicio e nella lotta contro gli spiriti maligni. La pulizia minuziosa della casa prima e durante le festività intende eliminare i cattivi demoni dalle abitazioni e prepararle alle fortune dell’anno venturo, l’acquisto e il dono di nuovi vestiti e scarpe auspica ricchezza, gli svariati riferimenti al colore rosso negli abiti indossati, nei nastri e nelle figure appese nelle case sono tutti richiami al più tradizionale simbolo cinese della fortuna e della lotta alle cattive influenze; persino il cibo tradizionalmente consumato alla vigilia del nuovo anno, i ravioli al vapore o jiaozi, nasconde una simbologia legata alla ricchezza, così come il pesce, abitualmente consumato durante le festività, diviene auspicio di abbondanza attraverso un gioco di omofonie linguistiche. Una delle tradizioni più conosciute è lo scambio delle buste rosse o hongbao, date dagli anziani e dalle coppie sposate ai più giovani ancora non coniugati, o più in generale dagli adulti ai bambini; le buste contengono soldi, simbolo di buon auspicio, e vengono consegnati in cifra pari per evitare la sfortuna (le offerte in cifre dispari ricorrono ai funerali)

Nella Cina contemporanea il conteggio degli anni è ormai ispirato a una concezione lineare del tempo, sia a causa di un’omologazione alla periodizzazione cristiana adottata nel calendario gregoriano, sia attraverso reinterpretazioni storiche della linearità temporale in chiave sinocentrica, che propongono un computo basato sulla successione ininterrotta degli anni a partire dal leggendario ‘Imperatore Giallo’ o Huangdi, più di quattromila anni fa. Tuttavia, tradizionalmente, il tempo cinese non era scandito progressivamente e rifletteva piuttosto una concezione ciclica del tempo, tanto nelle considerazioni cosmologiche in relazione alla successione delle diverse dinastie, quanto nel conteggio ufficiale degli anni, compiuto in relazione alla salita al potere e alla morte dei diversi imperatori. Anche il capodanno non è che una delimitazione del passaggio da un anno all’altro all’interno di cicli dodecennali in cui si alternano i diversi elementi astrologici cinesi. La leggenda vuole che i dodici segni zodiacali siano stati introdotti dal Buddha all’inizio di un nuovo anno, quando chiamò a raccolta gli animali in un bosco e in dodici risposero al suo richiamo; per riconoscenza il Buddha divise allora il tempo in cicli di dodici anni, assegnando a ogni anno il nome di uno degli animali e caratterizzando la personalità dei nati durante un determinato anno con le inclinazioni degli stessi animali. Nella sua coincidenza con l’inizio della stagione primaverile, anche il capodanno cinese in sé è funzionale a una concezione temporale molto più vicina alla ciclicità delle società agricole che alla linearità cristiana. Ed è proprio al mondo agricolo in perenne lotta con le incontrollabili forze della natura che si rifà il mito più famoso della nascita del capodanno cinese.

Il mito agricolo
Secondo questo mito in tempi antichi la popolazione cinese viveva indisturbata per gran parte del tempo; tuttavia una volta l’anno, in coincidenza con la vigilia del calendario lunare, un mostro leggendario chiamato Nian (lo stesso carattere usato in cinese per indicare la parola ‘anno’) usciva dalla sua tana negli abissi marini per distruggere i campi e predare gli umani, spaventandoli con la sua forza e il suo aspetto bestiale. Ma i contadini non rassegnati pensarono di ingannare il mostro con un sotterfugio: essi radunarono delle teste di toro e pecora davanti ai portoni delle case per attirare il famelico mostro, mentre nei cortili interni riunirono pile di fuochi artificiali, anticamente ricavati dalle canne del bambù in cui veniva inserita la polvere da sparo.

Una volta dentro le corti il mostro venne spaventato dal rumore assordante degli esplosivi unito al fragore di tamburi e di piatti, e infine venne così ricacciato negli abissi oceanici finché non fu catturato da un monaco taoista. Per commemorare quella data carica di auspici gli uomini elessero il primo giorno del calendario lunare come primo giorno dell’anno. E’ interessante notare come a questa leggenda si sovrapponga anche una delle più famose celebrazioni che viene tenuta durante le festività del capodanno, ovvero la danza del drago o del leone. La manifestazione è ancora ammirabile in tutta la Cina e vede impegnati dei danzatori mascherati con costumi fatti in seta, carta e bambù a riproduzione dell’immagine terrifica di un leone o di un drago; generalmente ogni figura è animata da uno o due danzatori che si muovono coordinati al ritmo di gong e tamburi eseguendo delle piccole acrobazie e correndo per le strade. La danza rievoca la cacciata di Nian dalla terra, riproducendo il fragore che allontanò anticamente il mostro e unendovi i simbolismi del drago (icona imperiale protettrice della massima istituzione della Cina antica contro le influenze maligne) e del leone (che caccia i malvagi spiriti).

Allo stesso modo, anche il lancio di fuochi d’artificio, attualmente il mezzo più popolare per festeggiare la venuta del nuovo anno, si collega direttamente allo stesso mito di Nian, così come la formula augurale Gongxi, usata ancora oggi, si dice sia stata utilizzata la prima volta dopo la cacciata dell’animale mitico.

Non è difficile riconoscere nella creatura mitologica un’esemplificazione della violenza della natura, Nian proviene dalle acque e con la sua forza distruttiva uccide le persone e danneggia gli sforzi umani per il controllo e lo sfruttamento di quella stessa natura. Solo attraverso l’ingegno razionale l’uomo riesce a sottomettere la natura e a guardare con fiducia alla nuova stagione, quella della floridità agreste. Nella leggenda l’istituzione della festività rappresenta il messaggio augurale in seguito alla cacciata del mostro, ovvero la speranza nella ricchezza della nuova stagione agricola attraverso l’esorcizzazione delle inclinazioni più violente della natura.

Anche un secondo mito sulla nascita del Chunjie si ricollega all’impegno regolatore profuso da una società agraria sulla terra. In questo caso il protagonista della storia è un giovane chiamato Wannian (letteralmente ‘diecimila annì), vissuto durante la dinastia Shang, circa quattromila anni fa. Egli, di fronte al disordine e ai danni causati dai cambi di stagione, si adoperò nello studio dei movimenti del sole e delle acque con una strumentazione da lui progettata. Nel frattempo anche l’imperatore Zuyi ordinò al funzionario Aheng di eseguire gli stessi calcoli. Ma l’incolto Aheng portò a termine in modo errato il compito affidatogli dall’imperatore e i suoi risultati influenzarono negativamente gli equilibri cosmici e adirarono gli spiriti celesti determinando rovina e danni per gli uomini. Di fronte all’ira del Cielo Zuyi richiamò la nazione e proclamò la sua intenzione di eseguire un sacrificio per ristabilire gli equilibri; tuttavia Wannian, convinto dell’inutilità del sacrificio, riuscì a ottenere un’udienza imperiale e dimostrò all’imperatore l’esattezza dei propri calcoli sul moto dei corpi celesti. Zuyi, stupefatto delle capacità di Wannian, consentì alla costruzione di un centro di ricerca per la distinzione delle stagioni, affidando al giovane scienziato la collaborazione di dodici discepoli. Tuttavia, il decaduto Aheng, mosso dall’invidia, prese la decisione di eliminare Wannian; a tal scopo assoldò un assassino che utilizzò arco e frecce per colpire dalla distanza il giovane scienziato, poiché egli era sempre intento nelle sue ricerche nel padiglione costruitogli dall’Imperatore e protetto da molte guardie. L’assassino fallì però il colpo, riuscendo solo a ferire Wannian e, preso dalle guardie, fu portato al cospetto di Zuyi e condannato a morte insieme ad Aheng. Al termine dei disordini, una notte l’imperatore andò a far visita a Wannian nel padiglione e fu accolto dal giovane che gli annunciò l’avvento della stagione primaverile per quella stessa notte, chiedendo al sovrano un nome da attribuire a una nuova festa da istituire in onore della nuova stagione agricola; fu così che Zuyi, dopo aver riflettuto un poco decise di chiamare la nuova festa Festa di Primavera. Wannian continuò a lavorare fedelmente per l’Imperatore Zuyi ancora a lungo, inventò per lui anche il calendario solare e quello perpetuo. Fu per questo che, in base alla leggenda, il popolo amorevole scelse il suo nome per indicare la parola ‘anno’.

La festa del Chunjie non si esaurisce nella notte della vigilia. I festeggiamenti passano attraverso vari preparativi e prevedono una prima celebrazione una settimana prima della vigilia, il ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese del calendario lunare, quando, secondo una credenza taoista, i vari dei ascendono al cielo per offrire i propri omaggi e presentare un rapporto sulle vicende umane alla divinità suprema dell’Imperatore di Giada. A questo scopo gli uomini bruciano per quel giorno delle finte banconote in carta per “pagare” il viaggio verso il cielo alle divinità; una comune usanza vuole inoltre che la gente sparga dello zucchero sulle labbra del dio della cucina, sperando in questo modo in un rapporto favorevole o anche per tenergli la bocca impegnata e non farlo parlare. Nei giorni successivi viene preparata la vigilia: i mercati si riempiono di simboli augurali (ad esempio alcuni fiori come il crisantemo, simbolo di longevità), la casa viene ripulita e vengono appesi sia alle porte di ingresso che negli interni caratteri, distici e simboli di buon auspicio realizzati su carta e ornati in rosso (il più famoso di questi è il carattere che indica la ricchezza e la felicità, “fu” appeso al contrario per via di un’omofonia tra i caratteri che indicano la parola “al rovescio” e “arrivare”). I festeggiamenti dopo la vigilia durano invece due settimane e sono dettati dalle visite ai parenti e dallo scambio di doni; il nono giorno dell’anno è invece indicato dalla tradizione come il compleanno dell’Imperatore di Giada, a cui, per l’occasione, vengono rivolte preghiere.

Le festività di capodanno sono concluse dalla Festa delle Lanterne o Yuanxiao Jie, che si svolge il quindicesimo giorno del nuovo anno, in coincidenza con la prima luna piena dell’anno. La celebrazione principale è quella dei cortei e delle processioni che si concludono all’interno dei templi; ogni persona che prende parte alla processione porta in mano lanterne, anticamente contraddistinte per la loro semplicità (a differenza delle elaborate lanterne imperiali), mentre oggi denotano grande ricchezza, essendo realizzate con vari colori, forme e dimensioni, adornate con disegni, scene mitiche, segni zodiacali o semplici caratteri. Nelle case, invece, le famiglie si riuniscono di nuovo per congedare le festività e mangiano i tradizionali yuanxiao, delle polpette di riso glutinoso, da cui viene il nome della festa. Le danze del drago e del leone a volte accompagnano anche le celebrazioni della festa della lanterna. Anche il Yuanxiao Jie appartiene alla tradizione antica cinese e per questo anche la sua nascita si confonde in diverse leggende, proprio come per il Chunjie. Si hanno testimonianze storiche della festa già sotto la dinastia Han all’inizio dell’era cristiana ma esistono riferimenti al patrocinio imperiale della festa in diverse epoche, mentre la massima celebrazione della ricorrenza avvenne in epoca Ming, nel quindicesimo secolo con festeggiamenti lunghi anche dieci giorni.

I miti sulla nascita del Yuanxiao Jie si pongono in uno scenario maggiormente “divino” rispetto al Chunjie, tuttavia le dimensioni e le coordinate in cui i protagonisti agiscono sono in tutto e per tutto assimilabili a quelle della Festa di Primavera, infatti anche in questo caso le celebrazioni e le cerimonie sono volte a ottenere protezione dalle avversità e dal capriccioso volere degli dei, riproponendo la dialettica fra l’elemento irrazionale e incontrollabile dall’uomo opposto alla razionalità umana e regolatrice della natura. Così in un primo mito si narra che la festa nacque per l’iniziativa dell’imperatore della dinastia Qin Shi Huangdi, che si rivolse in adorazione a Taiyi, divinità celeste manipolatrice dei destini umani, per invocare ricchezza, buona salute e soprattutto pietà per il proprio popolo, la cui gente veniva colpita dal dio attraverso le pene inflitte da uno dei suoi sedici draghi. Un’altra leggenda vuole invece che la festività celebri il dio della fortuna taoista Tianguan, amante degli intrattenimenti. Anche il Buddhismo ha infine un suo mito sulla nascita della Festa, in riferimento alle processioni delle lanterne che si svolgono nei templi e che simbolizzerebbero il potere irradiante del Buddha e della sua parola sull’oscurità del mondo.

In ognuno di questi tre miti, le due principali religioni diffusisi in Cina, il Taoismo e il Buddhismo, concorrono assieme alla massima istituzione politica, l’impero, nello sforzo regolatore razionale. Dove non arrivava la conoscenza tecnica, i sistemi religiosi e le istituzioni garanti dell’ordine intervenivano in una mediazione con l’elemento trascendente al fine di garantire protezione e stabilità alla popolazione. E questo è tanto più vero in una realtà tradizionale come quella cinese, che teorizzò l’ideale di stabilità e ordine (sia sul piano sociale che su quello naturale) all’interno del pensiero ufficiale confuciano, e lo elevò al ruolo primario di missione e responsabilità dell’istituzione imperiale. L’ortodossia confuciana rappresenta il fulcro della missione civilizzatrice cinese contro i popoli vicini considerati barbari, l’allargamento del sistema confuciano e l’assimilazione delle popolazioni straniere nel sistema imperiale vennero teorizzate nella propagazione dell’ordine e sella stabilità. Un ultimo mito legato alla nascita del Chunjie rievoca la figura di Huangdi, il leggendario Imperatore Giallo progenitore dell’etnia han. Si narra che egli sconfisse le tribù barbare di nazionalità Jiuli dopo una lunga guerra, in una decisiva battaglia in una località della provincia dello Hebei dove il capo delle tribù nemiche fu ucciso. La leggenda vuole che lo scontro finale, avvenuto il primo giorno dell’anno secondo il calendario lunare, venne rievocata attraverso l’istituzione del Chunjie.

Dalla cacciata di Nan alla maestria di Wannian, dalle invocazioni delle divinità alle gesta vittoriose di Huangdi, e fino alle tradizioni di buon augurio mantenute nella realtà contemporanea, in un contrasto stridente tra superstizione tradizionale e mentalità scientifica moderna, è come se si percepisse un unico respiro, proveniente dall’antichità e proiettato nel futuro, uno slancio ripetuto ciclicamente nel tempo, una volta dettato dalle regole della sopravvivenza e oggi rivelato dalle regole del mercato e nelle speranze di ricchezza della gente comune. L’ambizione è della stessa natura, ma se tradizionalmente essa era percepita su un piano più propriamente culturale, sospeso tra le elaborazioni religiose, filosofiche e rituali del sistema confuciano, oggi si confronta con le ambizioni più materiali della realtà contemporanea, in cui l’individualismo e l’ambizione economica sono il motore principale della riproduzione di tradizioni antiche, di quegli stessi gesti carichi di storia e sudore compiuti da un popolo e consegnati ai posteri per la costruzione di un futuro. Ma in ognuno di questi gesti è come se i cinesi si restituissero allo stesso tempo al passato e creino un ponte inconscio verso i propri antenati, perché in fondo la tradizione è anche, e soprattutto, la condivisione ripetuta da tempo immemore di uno stesso atto rituale, in grado di legare il passato al presente, le generazioni di oggi e quelle di ieri, l’uomo contemporaneo ai propri antenati e il destino storico di un intero popolo.