Spartiti Rossi – Country e Folk nella Cina della “Rivitalizzazione Rurale”

In Spartiti Rossi by Redazione

La nuova musica country e non il folk come parte integrante nella costruzione di un sentimento di appartenenza e di collaborazione collettiva in Cina. Spartiti Rossi, la rubrica sulla musica cinese a cura di Stefano Capolongo

Quando in musica si usa il termine “folk” si tende spesso a confonderlo o ad equipararlo al termine “country”. In realtà folk può essere considerato come sinonimo di “popolare” ovvero musica non colta e legata alle tradizioni e pertanto patrimonio comune a pressoché qualsiasi luogo geografico del pianeta. Country, parte integrante della musica folk, fa invece riferimento ad uno specifico genere nato negli Stati Uniti del sud ai primi del Novecento e connotato dall’uso di strumenti specifici come banjo e violino.

Partendo da una base comune fatta di storytelling e rappresentanza pura della working class, nel corso del tempo i due generi hanno cominciato a vivere una separazione quando (specie negli anni 60) il folk ha cominciato ad avvicinarsi maggiormente a temi come guerra, diritti civili e diritti dei lavoratori. Una separazione, almeno negli USA, che non segna un confine netto ma che rende i generi in qualche modo speculari. In breve si potrebbe dire che, la musica country è una forma di musica folk, ma la musica folk non è sempre country. Questi due termini sono usati anche in Cina ma le loro accezioni sono sensibilmente diverse e, spesso, assimilabili.

Il termine cinese per folk (mínyáo yīnyuè, 民谣音乐) traduce una varietà molto ampia di espressioni. Oltre a comprendere la musica popolare dei numerosi gruppi etnici sul territorio (mínzú yīnyuè, 民族音乐), denota il grande movimento musicale di stampo nazionalista nato negli anni 80 a Taiwan con le Campus folk songs (ne parlavamo qui) ed arrivato negli stessi anni nella Cina continentale dopo la fine del maoismo e delle canzoni rosse. Grande ispiratore per la nascita del rock cinese, il folk ha continuato negli anni ‘90 e ‘00 a sopravvivere ai grandi mutamenti portati dall’economia di mercato e dall’avvento di internet ponendosi il più delle come alternativa al conformismo culturale e come risposta ad un mercato musicale drogato da una ricchezza e da un potere sempre più sfrenati. Incentrato sull’aspetto sociale dell’esibizione live più che su prodotti discografici confezionati, ha continuato a sopravvivere nelle fessure diventando quasi una forma (sebbene non del tutto riconosciuta) di sottocultura. I folk rocker cantavano in maniera diretta e semplice del disagio dei lavoratori migranti, della disoccupazione crescente e teorizzavano un ideale ritorno alla vita di campagna in contrapposizione all’urbanizzazione sfrenata. E il country? Tecnicamente come genere a sé stante è pressoché assente nella storia musicale cinese. Almeno fino a qualche anno fa.

Dal 25 febbraio del 2021 in Cina esiste un’agenzia speciale del Ministero dell’Agricoltura dedicata alla lotta alla povertà nelle aree rurali e alla promozione dello sviluppo delle stesse. Il suo nome completo è Dipartimento della rivitalizzazione rurale nazionale (Guójiā xiāngcūn zhènxīng jú, 国家乡村振兴局) e sostituisce l’Ufficio del gruppo dirigente del Consiglio di Stato per l’alleviamento e della povertà e lo sviluppo istituito nel 1993. Rispetto alla vecchia denominazione è evidente l’assenza di una parola importante: fúpín 扶贫 ovvero “sostegno alla povertà. Lo stesso giorno della nascita del nuovo dipartimento (e nell’anno del centenario del Partito Comunista Cinese) infatti, il presidente Xi Jinping annunciava nella grande sala del popolo la vittoria contro l’estrema povertà, un’operazione definita “miracolosa” che avrebbe sollevato dall’indigenza circa 100 milioni di cittadini cinesi. Considerata la stretta correlazione tra povertà e aree rurali della Cina non è difficile comprendere quanto, una volta sconfitta la prima, il lancio un progetto di rivitalizzazione delle campagne (accompagnato anche dal varo di una legge ad hoc) sia fondamentale per sostenere la “doppia circolazione” (strategia che mira all’autosufficieza in termini di risorse e tecnologia grazie ad una dialettica fra la circolazione economica domestica ed internazionale). Nello specifico la legge istituisce una festa del raccolto per gli agricoltori, mira a migliorare il sistema di valutazione per la rivitalizzazione rurale e propone regolamenti per la protezione dei terreni agricoli, propone investimenti massicci nell’istruzione del lavoro agricolo, delinea la ricollocazione degli agricoltori e un sistema di compensazione ecologica. Tuttavia, oltre strategie di stampo più pratico come quelle elencate, il progetto del governo comprende anche una progettualità ben precisa dal punto di vista culturale ed ideologico. Al fine di creare una coscienza sociale strutturata nei confronti del tema negli ultimi anni sono state promosse innumerevoli iniziative in campo artistico, turistico, letterario ed anche musicale.

Non è di certo la prima volta che nella storia recente cinese musica popolare e politica si intrecciano. Dalla propaganda maoista al più recente movimento della cultura rossa di Bo Xilai, la creazione di brani è stata spesso utilizzata come volano per creare modelli ideali, trasmettere sentimenti nazionalisti e dar vita a veri e propri movimenti di massa. Al grido di “nuova era, nuovo paese, nuova vita, nuova musica” il country e, più in generale, il folk stanno subendo una notevole spinta dall’alto nella creazione di contenuti nuovi ed originali che, attraverso il progetto di rivitalizzazione rurale, formino una coscienza condivisa nel più ampio progetto del “ringiovanimento nazionale”. Ma in che modo un brano può far tutto questo? Innanzitutto con un’ampia pianificazione.

Nel maggio del 2019 si è tenuto a Ningbo il primo concerto “China’s new country music” manifestazione promossa dal Dipartimento di propaganda del Comitato provinciale del partito di Zhejiang con la China Music Association come unità guida. Alla presenza del musicista taiwanese Yeh Chia-Hsiu, tra i fondatori del movimento delle Campus Songs, il concerto ha dato il via al “progetto 111” (1 sede centrale, 10 basi di scambio di arti dello spettacolo e 100 campi di esperienza creativa) i cui obiettivi sono molto ambiziosi: costruzione di una piattaforma per la creazione di musica country e della sua relativa diffusione e comunicazione, pubblicazione di una classifica di musica country originale cinese, organizzare il nuovo festival annuale di musica country cinese e il lancio di un tour ufficiale.

A patrocinare il progetto anche grandi istituzioni musicali e industrie musicali di primo piano come Il Conservatorio di musica di Shanghai, il Conservatorio di musica di Zhejiang, Ali Music, Midi Music, Modern Sky. I brani presenti nelle playlist ufficiali (ormai arrivata al terzo anno) sono essenziali. Voci limpide accompagnate da piano o chitarra, mentre sono quasi sempre assenti le percussioni, parlano di idilli agresti, cavalli al galoppo, prati in fiore, alberi carichi di frutta, verdi colline, fiumi rigogliosi e sono accomunate da un diffuso senso di nostalgia. Proprio come avveniva nei brani di propaganda durante la lunga campagna maoista del movimento verso le campagne (shàngshān xià xiāng,上山下乡), il ritorno ad un contesto agreste è auspicabile e migliorativo in relazione al contesto urbano.

Ma come mai per un progetto del partito che parla di ruralità, decentramento, radici si è scelto di usare il veicolo del country (xiāngcūn yīnyuè, 乡村音乐) e non quello del folk?

La creazione quasi da zero di un genere ad hoc (xiāngcūn, 乡村 in cinese significa proprio “area rurale”) o quantomeno la sua cooptazione all’interno di caratteristiche cinesi dimostra la volontà precisa di perimetrare un gesto creativo come quello musicale, per sua natura creativo e libero, in uno spazio controllabile. Inoltre, la scelta di un genere più ampio come il folk avrebbe portato ad un allargamento del campo d’azione dei musicisti e riportato a galla una storia che non sempre è stata allineata alle volontà del partito. A sostegno di questa tesi esistono due avvenimenti recenti.

Li Zhi, classe 1978, è uno dei più famosi folksinger cinesi della sua generazione. Nato in una famiglia rurale del Jiangsu ha dato voce alle disparità sociali, alle problematiche derivanti dal divario crescente tra città e campagna, al dramma dei ghetti urbani dei lavoratori migranti diventando famoso per due pezzi estremamente discussi: The Square (guangchang, 广场) e People Don’t Need Freedom (rénmín bù xūyào zìyóu, 人民不需要自由), in cui sono chiari i riferimenti ai fatti di Tian’an Men.
Come Li, anche Zhou Yunpeng ha cantato in passato di problemi scomodi. Nel suo brano più famoso, Chinese Kids (zhōngguó háizi, 中国孩子) del 2007, condanna apertamente vari scandali sommersi che hanno coinvolto bambini in Cina.

I due, tra le espressioni più autentiche della narrazione folk, dopo un certo grado di tolleranza e reattività da parte delle autorità locali hanno deciso, dopo l’avvento di Xi Jinping, di abbassare il tiro ed interrompere la propria produzione.

Per il progetto di rivitalizzazione rurale sarebbe stato oltremodo rischioso riferirsi al campo largo del folk. Più sicuro e funzionale per il partito si è rivelato brandizzare un contenuto e farlo proprio, anticipando in maniera preventiva la nascita di istanze antisistema.
Da un lato tale modello può risultare preoccupante poiché rischia di appiattire o addirittura annullare la voce dissidente di chi conosce bene il contesto rurale in favore di una narrazione sbilanciata. Tuttavia, se si allarga lo sguardo si possono intravedere aspetti interessanti e socialmente validi. Il progetto sta dando la possibilità ad un numero sempre crescente di giovani di esprimere la propria creatività e di trovare una vetrina cui, seppur in un contesto protetto e vigilato, in condizioni normali difficilmente avrebbero potuto avere accesso.

Di Stefano Capolongo