Soft power da hardware

In by Gabriele Battaglia

La nuova frontiera dell’ascesa cinese passa dall’hardware. Lenovo, azienda cinese leader mondiale nel settore dei pc, investirà negli Stati Uniti e darà lavoro a un centinaio di lavoratori in Nord Carolina. Segno della fiducia cinese nella ripresa americana. E, forse, di un nuovo equilibrio economico futuro. Quando si parla di soft power, si cercano indizi circa segnali rilevanti che possano incidere nell’immaginario collettivo. Più spesso quei segnali si ritagliano un proprio spazio storico, attraverso il corso degli eventi, uno dietro l’altro, anche quelli minimi, che detengono però una micidiale forza immaginifica.

Ad esempio: quale sarà l’unica compagnia al mondo a produrre i computer negli Stati Uniti, quando ormai la crisi non fa altro che amplificare le delocalizzazioni alla ricerca dei costi più bassi possibili? Sarà la Lenovo, azienda cinese. Con buona pace di Hewlett Packard e altri colossi del mercato, che da tempo hanno abbandonato costi e leggi americane. Eppure sono simbolo degli Usa nel mondo. 

Designed in China” e “Made in Usa”: pensandoci, fa un certo effetto.

Lenovo è pronta a creare una base di produzione negli Stati Uniti, perché crediamo nel mercato a lungo termine del mercato dei PC americano e alle nostre opportunità di crescita”. E’ quanto ha dichiarato Yang Yuanqing, Chairman e CEO di Lenovo, numero due al mondo nella produzione di computer.

La decisione arriva neanche un anno dopo la maestosa presentazione dei nuovi prodotti di Hewlett Packard, numero uno al mondo e principale competitor di Lenovo, effettuata a Shanghai. Per la casa americana tanti buoni propositi di investimento nell’ex Celeste Impero e la voglia di sperimentare design ad hoc per il mercato cinese. “Investiremo in strutture e talenti cinesi”, aveva detto una Meg Whitman, Ceo di Hewlett Packard, in forma smagliante a Shanghai. Era arrivata fresca dell’accordo con la discussa Chongqing, poco dopo l’epurazione – allora appena iniziata – dell’ex Nuovo Mao Bo Xilai.

Una megalopoli da 30 milioni di abitanti capace di raccogliere circa 10,58 miliardi di dollari in investimenti stranieri lo scorso anno, il 66,1 per cento in più rispetto al 2010, ponendosi al primo posto tra le province e le altre regioni del centro ovest cinese. Il prodotto lordo della municipalità ha raggiunto 1 trilione di yuan per la prima volta dal 2010.

Hp aveva presentato i nuovi prodotti a Shanghai, ad indicare una nuova rotta: il nuovo mercato è quello dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, raccolto sotto la sigla Bric, ovvero Brasile, Russia, India e Cina, con il Dragone a farla da protagonista, mercato ormai maturo e sopratutto primo al mondo nelle vendite di pc.

E a stretto giro, la risposta del colosso cinese, a dimostrazione della fiducia del Dragone nella ripresa americana e nell’ambito di un agire all’interno di quei sinuosi percorsi del soft power di cui dicevamo.

Andrà come dovrà andare – e come vedremo in seguito non mancano le ricerche che sottolineano lo scarso peso dell’industria cinese nel mercato del lavoro americano – ma il paradigma, e questo è quel che conta, è ribaltato e l’effetto, scenico e politico, ancora prima che politico è rilevante.

Dai computer made in China, prodotti a bassi prezzi e in condizioni di lavoro discutibili, si passa al prodotto “designed in China” e “made in Usa” a stabilire gerarchie future, traiettorie economiche del domani.

L’immaginario si sa è un arco nel quale comparire possenti, e poco importa se all’inizio si parla di un mini investimento economico, in Nord Carolina, in un impianto che avrà un centinaio di lavoratori e che finirà di essere costruito per essere operativo ad inizio 2013.

L’esperienza recente dice che la Lenovo è ormai una compagnia globalizzata, capace di investire ingenti somme in mercati emergenti, ormai ex tali a dire il vero, come il Brasile e capace di puntellare in futuro il proprio “pedone” americano (in Brasile la Lenovo ha acquisito una società locale sborsando circa 147 miliardi di dollari).

“Avere un impianto di produzione qui negli Usa è un elemento di differenziazione che la gente valuterà in positivo” ha detto il presidente della Lenovo negli States David Schmoock che ha anche sottolineato l’intento di andare verso una produzione sempre più verde.

Un investimento che non è stato ufficializzato e che viene definito “minimo” dal Wall Street Journal, specie a fronte dei 30 miliardi di dollari di fatturato dell’azienda. Ma il significato simbolico è immenso, rispetto a Hewlett-Packard e Dell Inc. che non producono più personal computer negli Stati Uniti.

Investimenti e posti di lavoro: per ora pochi. In tempi di pressing cinese sulle elezioni americane, un’azienda degli States – che si chiama Rhodium – ha infatti rilasciato una ricerca in cui ha provato a stimare quanti sarebbero i posti di lavoro in America creati da soldi cinesi. Pochi, circa 27mila. Niente se paragonato ai 700mila lavoratori americani stipendiati da aziende giapponesi.

[foto credits: chinadaily.com.cn]