SINOLOGIE – Shanghai è sempre stata internazionale

In by Simone

La tesi Shanghai: l’evoluzione di stampo occidentale dalle guerre dell’oppio ai giorni nostri  ripercorre la storia di quella metropoli ante litteram che negli anni Trenta fu chiamata la Parigi d’Oriente. Dal Seicento ai giorni nostri la città è stata caratterizzata da un’importante presenza straniera che ne ha segnato il percorso. Così l’Occidente nell’ultimo secolo ha rappresentato il modello da imitare e superare.
Fino all’Ottocento la Cina si era sempre vista come un intero universo centrale attorno al quale gravitavano popoli, e questi popoli venivano definiti “barbari”. Ma già dal Seicento, fino a diventare sempre più scomodi ed invadenti nel Settecento, gli europei avevano cominciato ad imporsi nel mondo cinese.

La storia delle relazioni tra Cina e Occidente iniziò, infatti, nel Seicento con un approccio mercantilistico, ma con la prima guerra dell’oppio, e ci troviamo quindi nell’Ottocento, quello straniero divenne un vero e proprio atteggiamento coloniale. Tutto ebbe inizio con la politica di “chiusura” messa in atto dalle autorità cinesi come reazione all’intensificarsi delle mire commerciali occidentali nel territorio.

A regolamentare i rapporti commerciali era il “sistema di Canton”, dal nome dell’unico porto aperto agli occidentali all’epoca. Questo faceva in modo che il monopolio del commercio con gli stranieri fosse riservato alla gestione di un gruppo di compagnie cinesi di Canton, il quale stabiliva i prezzi e il volume degli scambi.

Questo controllo però non era apprezzato dalle potenze occidentali, in quanto venivano stabiliti dei prezzi a loro non favorevoli e non veniva autorizzato l’acquisto di grandi quantità di merci. Così facendo, la Compagnia britannica delle Indie Orientali, per esempio, doveva far fronte ad un saldo continuamente in passivo, in quanto il valore complessivo delle merci acquistate era circa sei volte superiore a quello delle merci vendute.

Le compagnie anglo-sassoni, allora, trovarono una scappatoia nell’illegalità, dando vita a un contrabbando massiccio di oppio, merce che in Cina era categoricamente proibita, tranne che per usi medici. La richiesta della droga crebbe velocemente e le autorità cinesi tentarono di arginare questi traffici illeciti con la promulgazione, nel 1839, di un decreto imperiale in ben 39 articoli, con cui si puniva con pene assai severe, tra cui quella di morte, tanto il traffico dell’oppio quanto il suo consumo.

Ciò non sortì i risultati sperati e si arrivò inevitabilmente alla guerra. Con la vittoria nella prima e seconda guerra dell’oppio, le potenze straniere riuscirono ad ottenere numerosi privilegi all’interno del territorio cinese: l’apertura di numerosi porti aperti, tra cui Shanghai, la concessione del diritto di extraterritorialità e la legalizzazione dell’oppio.

A risiedere nelle città cinesi, quindi, non erano più solo gli indigeni, ma anche stranieri di ogni nazionalità, e così Shanghai e gli altri porti aperti iniziarono a costituire un fattore di disgregazione della società cinese e di contaminazione.

Inoltre, iniziano a vedersi le prime conseguenze della presenza straniera, quali l’aumento dell’instabilità dell’impero mancese e l’inizio dei movimenti popolari antimanciù, dettati dall’incapacità delle autorità di far fronte all’invasione degli occidentali. Risulterà sempre più evidente come dall’arrivo degli stranieri, la storia della Cina ha smesso di evolversi spontaneamente, e ogni suo futuro cambiamento sarebbe stato influenzato dall’evoluzione della situazione internazionale.

Nel secondo capitolo il focus della discussione si sposta su Shanghai. La storia dello sviluppo di questa città è stata oggetto di interpretazioni differenti, sia da parte della storiografia occidentale, sia da parte della storiografia cinese. La visione occidentale più convenzionale ritiene che fu solo grazie alla sua apertura all’Occidente che, con il passare degli anni, Shanghai riuscì a sfruttare le condizioni necessarie per modernizzarsi e allontanarsi dallo stato di semplice villaggio di pescatori.

La visione cinese più convenzionale, invece, attribuisce sempre il cambiamento alla presenza occidentale, ma in senso negativo. La Shanghai moderna viene, infatti, vista come simbolo dello sfruttamento dell’imperialismo occidentale e fulcro dei mali tipici dell’Occidente ricco e sviluppato.

All’origine dello sviluppo di questa città troviamo la nascita delle concessioni che portò alla presenza di ben tre poteri amministrativi: quello corrispondente alla Concessione internazionale, quello corrispondente alla Concessione francese e quello corrispondente all’area sotto il controllo cinese.

La Concessione internazionale nacque nel 1863 dalla fusione della concessione britannica, creata nel 1845, con la concessione americana, creata nel 1846. Questa concessione era dotata di un Consiglio municipale definito autonomo, in quanto non doveva sottostare all’autorità né di un ministero delle colonie, né delle autorità governative cinesi.

I suoi compiti erano simili a quelli di un qualsiasi organo di governo municipale, e cioè emanava leggi e ordinanze, amministrava gli affari della concessione e stabiliva le imposte. I residenti cinesi non erano rappresentati politicamente e venivano duramente tassati; inoltre, venivano giudicati da un tribunale misto composto da giudici cinesi e occidentali. In tutto e per tutto, quindi, dalla politica all’economia, dall’istruzione alla giustizia, il potere andava sempre di più concentrandosi nelle mani degli stranieri.

La Concessione francese, invece, venne istituita nel 1849, con l’arrivo a Shanghai del primo console francese Montigny. Essa si sviluppò in modo analogo e allo stesso tempo differente rispetto alla Concessione internazionale. Anche all’interno dell’amministrazione franca esisteva un Consiglio municipale, e anche qui i cinesi non erano né eleggibili, né elettori. Ma al contrario di quello nella concessione vicina, il Consiglio municipale francese aveva un potere meramente consultivo: in realtà il potere era interamente concentrato nelle mani del console generale.

All’interno delle concessioni, gli stranieri fecero di tutto per rendere più simili al loro paese di origine gli spazi a loro riservati. Furono fondati club letterari, vennero costruite chiese e fondate associazioni ricreative, rendendo così Shanghai un luogo di incontro di culture e tradizioni diverse. Ma uno dei segnali più eclatanti del fatto che le concessioni stavano ormai diventando città nella città, fu la comparsa della stampa in lingua occidentale nella seconda metà dell’Ottocento. Tra le testate più importanti ricordiamo il North China Daily News, lo Shanghai Times e il China Press.

Lo sviluppo delle concessioni straniere, quindi, aveva portato ad una posizione di secondo piano la parte della città rimasta sotto l’amministrazione cinese, trasformandola in una sorta di appendice della Shanghai europea, pur occupando un’area più vasta di quella delle due concessioni. Ma oltre che centro di uno sviluppo inaspettato, Shanghai fu anche protagonista di diversi disordini sociali, in quanto la velocità con cui progredì l’economia della città generò grandi disuguaglianze sociali e alimentò il malcontento della popolazione.

Questo sfociò nel 1919 nel Movimento del 4 Maggio, attraverso il quale si arrivò al primo sciopero politico e al primo sciopero generale di tutta la storia del Paese. Il Movimento del 4 Maggio, inoltre, fu una sorta di punto di partenza per la nascita di nuove correnti ideologiche. Il Partito Comunista Cinese, per esempio, nacque proprio a Shanghai due anni dopo, nel 1921. La città era dunque diventata il grande palcoscenico della politica cinese, surclassando Pechino.

Un altro movimento importante che si verificò a Shanghai, e che conteneva al suo interno strascichi di quello del 4 Maggio, fu il Movimento del 30 Maggio 1925, che ebbe origine dall’ondata di scioperi che organizzarono gli operai delle fabbriche tessili giapponesi. Questo segnò due conseguenze diverse per i due lati coinvolti: gli stranieri iniziarono a vedere il tramonto del loro dominio a Shanghai, mentre i cinesi presero questo movimento come il primo passo verso il recupero della sovranità nazionale.

Infatti, iniziò a farsi sentire sempre di più la presenza di un nazionalismo cinese, che portò il partito nazionalista ad ottenere sempre più potere e a stabilire a Nanchino la capitale del nuovo governo, e a Shanghai un nuovo governo municipale. Inoltre, si fece un passo avanti nella questione della dominazione straniera, in quanto il partito abolì il diritto di extraterritorialità affermando che dal 1° gennaio del 1930 tutti gli stranieri sul territorio cinese sarebbero stati giudicati secondo le leggi cinesi.

Nonostante, però, tutti i disordini e i provvedimenti politici, la comunità straniera di Shanghai non fece che allargarsi con il passare degli anni e questo rese Shanghai una città multirazziale e cosmopolita. Purtroppo, però, vigevano comunque forti tabù relativi alle interazioni sociali che alimentavano le differenze tra i vari gruppi, ma soprattutto nei confronti dei cinesi, che continuavano a venire considerati diversi e inferiori e dai quali gli stranieri continuavano ad isolarsi.

Caso limite ed esempio di questi sentimenti razzisti fu un cartello posto all’ingresso del giardino pubblico del Bund con su scritto che cani e cinesi non potevano entrarvi. Ma non erano solo di questo genere le assurdità che caratterizzavano Shanghai. Una ben più evidente era come la città fosse composta da due facce: quella moderna e ricca delle amministrazioni straniere, che negli anni Venti/Trenta avevano subito un ulteriore sviluppo, e quella dell’amministrazione cinese, dove sviluppo e sfarzo non erano arrivati. I cinesi, infatti, ancora vivevano in condizioni di estrema povertà, alcuni erano costretti a vivere per strada, mentre i più fortunati vivevano nelle bidonvilles o nei dormitori delle fabbriche in cui lavoravano.

Ma problema ben più grave che affrontò Shanghai negli anni Trenta fu la comparsa della minaccia giapponese. Dopo una serie di espedienti che causarono disordini interni, i soldati giapponesi si scontrarono con le truppe cinesi, dimostrando il piano che aveva sempre avuto il governo di Tokyo, e cioè attaccare la Cina. Con l’attacco del 7 luglio 1937 i giapponesi inaugurarono la fase del declino della Shanghai internazionale e cosmopolita.

Fu un conflitto che fece molte vittime e vaste aree andarono completamente distrutte lasciando numerose persone senza una casa. Inoltre, circa il 70 per cento del potenziale industriale della città venne distrutto, con la conseguenza che migliaia di persone divennero disoccupate. Ma fin tanto che il Giappone non entrò in guerra con le potenze occidentali, l’area delle concessioni non venne mai intaccata dai conflitti.

Questo equilibrio si ruppe con l’episodio di Pearl Harbor nel 1941; il Giappone dichiarò guerra a Stati Uniti e Gran Bretagna, la concessione internazionale di Shanghai venne presa, e così i giapponesi riuscirono là dove i cinesi avevano fallito per un centinaio di anni, ossia porre fine alla dominazione anglo-sassone di Shanghai e riunire la città sotto un’unica amministrazione, sia pure giapponese.

L’amministrazione nipponica si impose subito su quella occidentale, instaurando un regime di terrore. Il culmine venne toccato quando vennero istituiti addirittura dei campi di concentramento in città e in Giappone. Fortunatamente, la seconda guerra mondiale stava indebolendo sempre di più la forza giapponese. Il 15 agosto del 1945 Radio Shanghai trasmesse il discorso ufficiale dell’imperatore Hiroito che annunciava la sconfitta del suo Paese e la conseguente resa.

Fu così che Shanghai, finalmente, tornò ad essere esclusivamente nelle mani dei cinesi. I danni causati dalla guerra, però, non furono pochi. Bisognava riportare Shanghai allo splendore e bisognava anche stabilire chi avrebbe condotto la Cina verso l’indipendenza e la rinascita. Né comunisti, né nazionalisti, però, erano decisi a collaborare e a instaurare un governo di coalizione.

L’unica soluzione sembrò quella di una guerra civile, che ebbe inizio nel giugno del 1946 e, nonostante le previsioni, si concluse con la vittoria dei comunisti e con la proclamazione, da parte di Mao, della Repubblica Popolare Cinese il 1° ottobre 1949. Gli anni della guerra civile furono molto difficili per Shanghai, caratterizzati da una forte inflazione.

La città riuscì a mantenersi economicamente in piedi solo grazie agli aiuti finanziari che venivano dall’estero, soldi che vennero usati anche per ricostruire gli stabilimenti industriali andati distrutti durante l’invasione giapponese. Inoltre, particolarmente duro fu l’atteggiamento di repressione che le autorità comuniste ebbero a Shanghai, e questo perché vedevano la città come una “vergogna nazionale” e come simbolo dell’imperialismo occidentale. Ma nonostante il clima di terrore e le politiche comuniste volte a privilegiare lo sviluppo delle regioni interne, Shanghai rimase il principale centro industriale del Paese e fonte di grandi introiti per l’economia cinese.

Tutto cambiò con la salita al potere di Deng Xiaoping nel 1978. Egli voleva trasformare Shanghai in una metropoli globale caratterizzata da un’economia ricca e una cultura avanzata, in modo dal poter competere con le grandi città americane e in modo da far tornare la Cina sulla scena mondiale. Si passò quindi dal subire l’influenza straniera al quasi ricercarla e sfruttarla.

Gli anni ’90 furono per Shanghai un decennio glorioso, caratterizzato dal riassetto e dalla modernizzazione dell’industria e della città stessa. Inoltre, a confermare la voglia di imporsi sulla scena internazionale, Shanghai ospitò sempre più eventi di intrattenimento di portata globale. Un esempio è l’Expo 2010 Shanghai China, una delle più grandi e costose Expo mai organizzate, a tema “Better city, better life” che tra maggio e ottobre 2010 ha raccolto nella città 73 milioni di visitatori. La velocità con cui si sviluppa Shanghai, e continua tutt’ora a svilupparsi, non sembra avere pari nel mondo.

Nonostante ciò, permangono ancora zone caratterizzate da una grande povertà, rendendo nuovamente Shanghai caratterizzata da un dualismo sociale che ricorda l’epoca coloniale. Inoltre, insieme alla città, anche la società ha subito enormi cambiamenti, e anche qui è evidente lo stampo occidentale. Shanghai è definitivamente tornata ad essere la finestra della Cina sul mondo.

In conclusione, posso quindi affermare che in seguito alle ricerche da me effettuate, l’importanza dell’intervento straniero nello sviluppo della città di Shanghai è stata confermata. Senza l’occupazione straniera tanto sofferta, la città non sarebbe mai arrivata dove è oggi e non per un’incapacità o inferiorità della popolazione straniera.

Semplicemente perché la visione delle dinamiche del mondo dettata dalla tradizione confuciana prima, e probabilmente la rigidità del partito poi, non avrebbero mai potuto portare ad uno sviluppo così veloce e sostanziale. Ritengo risulti evidente come l’Occidente abbia dato per prima cosa il via allo sviluppo della città e in seguito ne abbia impostato una direzione. Una volta, poi, che la città tornò interamente nelle mani dell’amministrazione cinese, l’Occidente divenne un modello da imitare e superare.

*Beatrice Boccardi bea.boccardi[@]gmail.com nata a Roma il 23 Febbraio 1993. Dopo la maturità linguistica, consegue nel 2014 la Laurea Triennale in Lingue e Mediazione Linguistico-culturale presso la Terza Università degli Studi di Roma (Roma Tre). Prosegue ora i suoi studi presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT) specializzandosi in Traduzione.

**Questa tesi è stata discussa presso la Terza Università degli Studi di Roma. Relatore: prof. Mauro Crocenzi.