SINOLOGIE – Il ‘filo di perle’ conteso

In by Simone

La tesi La controversia sul regime giuridico del Mar cinese meridionale ha ad oggetto l’analisi della controversia internazionale sul regime giuridico applicabile – ai fini, anzitutto, della determinazione della sovranità – alle isole del Mar Cinese Meridionale. La controversia vede coinvolti, oltre alla Cina, anche Filippine, Malesia, Vietnam e Brunei che da “tempo immemore” si contendono la sovranità sulle Isole Paracels e Spratrlys per motivi non solo energetici ma anche e soprattutto strategici.
I Paesi coinvolti nella controversia rivendicano, oltre alla sovranità territoriale sulle isole anche i diritti di sfruttamento delle risorse naturali di cui la superficie e le acque circostanti sono ricche. E’ altrettanto vero, tuttavia, che le isole si trovano, in una zona geografica di importanza strategica per la regione in quanto costituiscono il passaggio tra il Pacifico e la regione asiatica.

Non è un caso, infatti, che gli ultimi due anni abbiano visto intervenire nella controversia anche gli Stati Uniti che, mostrando particolare interesse nella zona, si sono offerti di ricoprire il ruolo di mediatori non solo nella controversia del Mar Cinese Meridionale ma anche quella che riguarda il più vicino Mar Cinese Orientale, dove Cina e Giappone si contendono le isole Diaoyutai/Senkaku.

E’ evidente, dunque, che nelle acque orientali e meridionali della Cina è in corso un conflitto che va oltre i più palesi interessi petroliferi tra i Paesi dell’Asia Orientale: i Mari Cinesi, “ponte” tra il Pacifico e l’Asia e rotta commerciale ambitissima, sono -e verosimilmente continueranno a essere- il teatro dello scontro tra la corsa espansionistica americana e la Grande Muraglia cinese il cui atteggiamento giuridico viene, nella fattispecie, analizzato nell’intero corpo della tesi.

Protagonista indiscusso della tesi è, infatti, l’approccio giuridico della Cina alla controversia del Mar Cinese Meridionale, approccio strettamente legato alla storia imperialista del Paese e alla sua tradizione giuridica nazionalista; ciò è particolarmente visibile nell’attitudine, lenta e diffidente, del Paese all’ordinamento internazionale, attitudine che ha portato, per quel che specialmente interessa, alla tardiva adesione alla Convenzione di Montego Bay.

Il recepimento dei precetti del diritto internazionale del mare, inoltre, è stato non soltanto tardivo ma anche parziale, al punto di applicare alla questione delle isole unicamente le norme di diritto internazionale marittimo favorevoli ai propri interessi. Ciò è evidente, ad esempio, nel fatto che la Repubblica Popolare Cinese, si è avvalsa -e continua ad avvalersi attualmente- del sistema delle Linee rette, sistema che consente di misurare il limite interno del mare territoriale a partire da una linea retta tracciata tra le sporgenze costiere, pur avendo ratificato la Convenzione di Montego Bay che le imporrebbe l’adozione del sistema della linea della bassa marea.

Questo, perché la linea retta consente di estendere più esternamente la linea a partire dalla quale calcolare le zone marittime, il che le consente di poter ampliare le superfici su cui estendere il proprio controllo. A ciò si aggiunge che la Cina, oltre ad applicare le disposizioni maggiormente favorevoli per la determinazione dei propri spazi marittimi, fonda le proprie pretese sulla base di una ripartizione territoriale denominata “linea ad U”, sconosciuta alla comunità internazionale.

Tale linea, resa nota per la prima volta dal Governo cinese nel 1971, abbraccerebbe con una vera propria linea ad U le Paracels e Spratlys e le acque circostanti, e sarebbe tale da dimostrare i “diritti storici” della Cina sui territori contesi, nonostante la comunità internazionale riconosca tale principio di delimitazione territoriale assolutamente arbitrario.

In conclusione, è evidente che la “carenza” di sovranità importi, inoltre, anche una carenza di un sistema giuridico da applicare alle isole contese. In altri termini, l’impossibilità di individuare il Paese sovrano sulle isole, impedisce di stabilire se debbano applicarsi le disposizioni della Convenzione di Montego Bay richiamate dalla Cina, in luogo, ad esempio, di quelle a cui si riferisce il Vietnam o, ancora, le Filippine.

In tale contesto, evidentemente complesso, assume un rilievo particolare il ruolo giocato dalla Repubblica Popolare Cinese che si pone come la vera protagonista ai fini della definizione della controversia. Le rivendicazioni della Cina, infatti, sono strettamente legate alla sua storia nazionale e alla sua tradizione giuridica di matrice imperialista e sono diventate ancor più nette col crescere dei propri interessi nella zona.

Le isole in oggetto costituiscono quel famoso “filo di perle” che idealmente lega il quadrante del Pianeta in cui la Cina ha inteso far pesare la sua volontà e il suo potere. E’ dal 2010 che la questione delle isole è entrata negli “interest core” cinesi facendo ben intendere con questa definizione la volontà di mantenere la problematica a livello “locale” senza aprire a terzi le modalità di risoluzione del conflitto. Il gigantesco piano di riarmo navale cinese dimostra questo desiderio ed è un chiaro segnale per arginare la potenza americana, già presente nel Pacifico con le basi di Okinawa e Guam.

*Emanuela Hernandez hernandez.emanuela[@]gmail.com, laurea in Giurisprudenza, ha studiato a Roma, Madrid e Pechino. Ha scritto questa tesi durante il periodo di ricerca presso la Beijing University of Law and Political Science mentre era stagista presso l’Ambasciata italiana in Cina.

**Questa tesi è stata discussa presso la Terza, Università di Roma. Relatore: prof. Paolo Benvenuti.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]