Sicurezza dello stato e propaganda animata

In by Gabriele Battaglia

Sei straniero, vivi in Cina e ami adescare le ragazze locali con doni e lusinghe. Se sì, allora potresti essere una spia. È quanto emerge da sedici fumetti formato cartellone spuntati lo scorso 15 aprile nel quartieri centrale di Xicheng, a Pechino, con il titolo eloquente di «Dangerous Love». La data non è casuale dal momento che proprio venerdì scorso è stato lanciato il National Security Education Day, giornata dedicata alla sensibilizzazione dei cittadini verso la sicurezza nazionale.
Le vignette che compongono la storia (tradotte da China Translate Law) raccontano la parabola di Xiao Li, una giovane impiegata nell’amministrazione pubblica che sedotta da David, un ricercatore universitario di un imprecisato paese, finisce per consegnargli dei documenti sensibili credendo di aiutarlo nella sua ricerca accademica. Solo l’intervento della polizia svelerà la vera identità della spia David, spezzando il cuore a Xiao Li.

David: «Cara, devono ancora esserci segreti tra noi? Voglio solo darci un’occhiata per fini accademici».
Xiaoli: «Oh…allora ok».

Come spiegato dal governo distrettuale in un comunicato, il poster serve sopratutto a educare i dipendenti a mantenere riservate le informazioni segrete e a segnalare alle agenzie di sicurezza eventuali attività di spionaggio. L’iniziativa – che non serve dirlo ha suscitato l’ilarità della rete – si inserisce in una più ampia «vocazione pop» della (ormai neanche più tanto) nuova leadership cinese.

Sempre in occasione del 15 aprile, il ministero della sicurezza dello stato ha rilasciato cinque cartoni animati con lo scopo di rendere più accessibile la comprensione popolare di due controverse leggi: la Counter-Espionage Law (del 2014) e la National Security Law (introdotta lo scorso luglio) che – insieme alla Counter-Terrorism Law e ad una legge sulle no profit straniere ancora al vaglio dei legislatori – formano lo «scudo spaziale» con cui Pechino spera di difendere l’integrità nazionale dalle minacce interne ed esterne.

Prendendo in prestito alcuni tra i più noti supereroi, uno degli episodi (video in cinese) trasmessi dalla Cctv insegna a identificare le spie nella vita di tutti i giorni. «Oltre alle forze speciali, come l’Fbi e la Cia, si potrebbe pensare che siano spie anche Superman, Batman, Iron Man, l’Uomo Ragno e Capitan America», scandisce la voce narrante. «Ma, in realtà, anche all’estero lo spionaggio costituisce soltanto una minima parte della sicurezza nazionale. Quelli che difendono la sicurezza [del proprio paese contro la Cina] non sono uomini muscolosi con i superpoteri».

Alla voce di sottofondo si aggiungono le immagini degli eroi in lacrime associati ai caratteri cinesi per «licenziato», «disoccupato» e «pensionato» a suggerire che soltanto i cittadini scontenti e gli stranieri rappresentano un elemento di destabilizzazione sociale. Un richiamo particolarmente azzeccato alla luce del crescente malcontento popolare che cova sotto le ceneri della «nuova normalità», il paradigma di crescita medio-alta con cui si cercano di giustificare licenziamenti e riduzione degli stipendi nell’ambito di una più ampia ristrutturazione economica.

I video – che vantano anche «l’arresto» di Joker e un cameo di Hitler- non chiariscono, tuttavia, il concetto di «sicurezza nazionale» né quella di «segreto di Stato», un termine che abbraccia un vasto assortimento di informazioni riservate, dagli indici della produzione industriale alla data di nascita degli alti papaveri.

Il Tredicesimo Piano Quinquennale (2016-2020) approvato dal Parlamento lo scorso marzo comprende un capitolo interamente dedicato alla «Costruzione di un Sistema di Sicurezza Nazionale», curato dall’apposita National Security Commission; uno dei tre gruppi di lavoro presieduti dal presidente Xi Jinping, che gli osservatori ritengono ormai concorrente (in termini di accentramento del potere) al ministero della Sicurezza dello Stato in violazione alla tradizionale separazione dei ruoli tra Partito e agenzie statali.

Mentre la Cina ha un ragguardevole passato di sentenze impietose in merito alla divulgazione di notizie sensibili (giustappunto martedì un tecnico informatico del Sichuan è stato condannato alla pena di morte per aver reso pubblici oltre 150mila documenti riservati), da qualche tempo va ampliandosi la gamma degli episodi inerenti alla diffusione di informazioni top secret e a comportamenti lesivi per l’ordine pubblico.

Sempre più spesso Pechino cerca di giustificare l’incarcerazione di attivisti, avvocati e dissidenti, chiamando in causa un’indefinita «minaccia alla stabilità dello Stato», come avvenuto per Peter Dahlin, il cittadino svedese arrestato – e infine espulso dalla Cina – a causa delle presunte attività criminali portate avanti dalla Ong da lui fondata, la China Action. Minimo comune denominatore degli ultimi casi: l’accusa di provocare disordini, la diffusione di notizie false e tendenziose, i soldi che arrivano dall’estero lasciando supporre un complotto di «forze ostili» e l’influenza di fattori esogeni. Una versione poco convincente anche – e soprattutto – quando corredata da strampalate autocritiche a telecamere accese.

È così che la versione animata delle nuove politiche securitarie ha prodotto reazioni contrastanti. «Diretta, facile da comprendere e vicina al popolo» per qualcuno, semplicemente ridicola per qualcun’altro. «Anche io voglio denunciare un report! Secondo alcuni giornali stranieri, molte spie stanno trasferendo i nostri asset nazionali all’estero», scrive un blogger ironizzando sulle fortune occulte dei leader cinesi scoperchiate dai Panama Papers.