Afterhours e Jazz: palpito musicale italiano all’expo

In by Simone

Dopo aver coccolato le orecchie dei visitatori dell’Expo con musica classica cori verdiani e gorgheggi di tenori e soprani il programma culturale del padiglione Italia prova a stravolgere il classico pentagramma musicale allontanandosi dal terreno sicuro, ma visto e rivisto, del do re mi fa. Rock arrabbiato e jazz d’autore rappresenteranno il Made in Italy nell’ultimo mese di Expo. La creatività italiana finalmente si allontana dalle autostrade sfoltate dell’opera apprezzatissima e studiatissima in Cina, e prova a imboccare la sideways di musica per cui siamo relativamente poco conosciuti all’estero, e men che meno in Cina. E così che arrivano prima gli Afterhours, per l’esordio della band di Manuel Agnelli  in Cina, che troverà sicuramente tanti fans italiani che già su facebook si stanno dando appuntamento alla prima delle due serate. Si apre infatti l’11 ottobre al Mao Live House, il tempio di tutti i tiratardi rockettari o techno-addict shanghainesi, che ci si ritrovano per fare mattina nei week end.

Unico luogo di ritrovo probabile per chi a Shanghai cerca musica diversa, che ha già ospitato concerti di band famosissime in Europa e conosciute solo nei circoli ristretti degli espatriati o dei cinesi di Hong Kong.

Poco tempo fa  hanno suonato i Coco Rosie, con una performance difficilmente dimenticata che a ha portato al Mao il meglio della gioventù che vive e lavora a Shanghai. Ora toccherà agli Afterhours far vedere di che cosa son capaci gli italiani all’estero quando in pochi li conoscono. Dopo il Mao Live House l’undici ottobre, il giorno dopo 12 ottobre si replica nella più tranquilla Europe Square, dentro il recinto dell’Expo, dove già un mese fa iPet Conspiracy avevano scaldato il pubblico cinese con il loro electro rock. C’è da sperare che la censura cinese non intervenga sui testi, perché altrimenti il concerto si rivela ad alto rischio per le tenere orecchie degli addetti al protocollo dell’Expo Bureau.

Dopo il rock il programma italiano si ammorbidisce un po’ grazie al jazz politically correct dei nostri migliori musicisti del genere che sì è nato in America, ma da decenni stabilmente impiantato i Europa. 5 giorni all’insegna del “Jazz Made in Italy”. La tromba di Paolo Fresu, alla guida del suo PAF trio (con Furio Di Castro al basso e Antonello Salis al piano), i gorgheggi e l’R&B della voce di Gegè Telesforo col suo quintetto “So Cool”, le veloci dita di Stefano Bollani, il quartetto del batterista Roberto Gatto che proporrà “The Music of Next Door”, il Trio Roma con la fantasia di Danilo Rea al piano, Enzo Pietropaoli al basso e la batteria di Amedeo Adriano, e infine i classici rivisitati dall’approccio del giovane prodigio siciliano Francesco Cafiso e dei suoi “4out”.  Spazio alle contaminazioni tra musicisti e tra formazioni, che suoneranno da soli e assieme unendo e mixando repertori e intonazioni per un totale di 20 concerti che caratterizzeranno l’ultimo mese della partecipazione Italiana all’Expo dei record. Le performance dei jazzisti italiani non rimarranno chiuse all’interno del Parco dell’Expo (anche se la grande Europe Square li vedrà suonare ogni giorno), ma invaderanno l’intera città e i locali più famosi consacrati al jazz, in particolare l’House of Blues and jazz sul Bund e nella Jin Mao Concert Hall. Beniamino Quintieri, Commissario Generale del Governo per Expo Shanghai ha dichiarato: «concludere così l’intenso programma artistico del Padiglione Italia all’Expo di Shanghai, vuole essere un omaggio al legame storico che unisce con un doppio filo il nostro Paese e la metropoli cinese, alle contaminazioni musicali e culturali, e in particolare al jazz».


Il jazz e Shanghai:  storia di una lunga rinascita

La diffusione del jazz a Shanghai risale agli anni trenta,  quando gli hotel coloniali, tra cui lo storico Peace Hotel, miscelavano le note del classico jazz americano alla diffusione di una vita notturna al limite della perdizione. Fu in quel periodo che nacquero molti gruppi jazz cinesi e venne coniato il termine “Sinified Jazz”, per definire il  mix tra musica popolare cinese e i ritmi delle big band americane che rese famosa in tutto il mondo la metropoli col nome di “Parigi del Sud Est Asiatico ”. Con la rivoluzione, la musica di Charlie Parker cadde sotto la censura del Partito Comunista al potere. Definita dai discepoli di Mao come pornografica e pericolosa per il suo legame con la droga e la prostituzione, il jazz venne proibito in tutto il paese. Solo trent’anni dopo, nel 1978 la riforma di Deng Xiaoping permise un lento ritorno dei costumi occidentali. Il jazz venne ammesso di nuovo alla corte del Pcc ma intanto i migliori musicisti e le loro formazioni erano state smantellate. La lenta rinascita del jazz a Shanghai e in Cina è arrivata negli ultimi anni. Dal 2000 la città si è nuovamente riempita di locali in cui poter ascoltare jam session fino alle prime ore dell’alba, e insoliti duetti tra famosi musicisti occidentali e cinesi.