Il Nobel per la pace a Liu Xiaobo

In by Simone

Liu Xiaobo ha vinto il Nobel per la Pace 2010. C’erano molti modi per seguire la premiazione. Ho scelto Twitter, via proxy, seguendo in un clima irreale l’attesa, le riflessioni in 140 caratteri e infine il premio. Molti i cinesi entusiasti della novità, mentre sarà difficile, probabilmente, leggere qualcosa al riguardo sui media ufficiali.

Tra diplomazia internazionale, interessi economici e il lento e farraginoso percorso della Cina verso un suo cambiamento, l’evento è in ogni caso storico.

I valori espressi in Charta 08 e le riforme politiche proposte hanno come obiettivo di lungo periodo uno stato federale che sia libero e democratico, attraverso 19 proposte di riforme, graduali e pacifiche. Dato che le riforme attualmente in corso hanno molte carenze, noi abbiamo chiesto al partito che governa di camminare su due piedi anziché su uno solo, portando avanti tanto le riforme politiche, quanto quelle economiche.
Questo è il modo con il quale una società civile spinge affinché il suo governo gli ceda una parte del potere, con pressioni dal basso per chiedere al governo di mettere in atto dei cambiamenti dall’alto. In questo modo il governo e la società civile possono lavorare insieme, in una cooperazione soddisfacente e realizzare velocemente il sogno di un governo costituzionale, anelato dai cinesi per 100 anni. (…) Negli ultimi vent’anni mi sono sempre opposto sia a cambiamenti improvvisi, sia a rivoluzioni violente.

E’ quanto ha scritto il Nobel per la pace 2010, Liu Xiaobo nella sua difesa al processo in cui lo scorso dicembre è stato condannato a 11 anni di carcere (sentenza confermata dall’appello).

Parole che Liu Xiaobo non ha potuto leggere, perché la corte cinese non diede l’autorizzazione a dichiarazioni spontanee. Liu Xiaobo venne condannato per «attività sovversive nei confronti dello stato e per il rovesciamento del sistema socialista cinese» a seguito della sua partecipazione alla stesura di Charta 08, un documento che in occasione dei 60 anni della Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo, chiedeva riforme allo stato cinese.

La storia di Liu Xiaobo fa parte della storia della Cina degli ultimi vent’anni: arrestato e incarcerato per avere partecipato nel 1989 allo sciopero della fame degli studenti, nel 1996 venne spedito in un campo di rieducazione, perché critico nei confronti del Partito. Infine Charta 08, un documento firmato da migliaia di cinesi, per chiedere riforme all’interno del sistema politico locale.

La dichiarazione spontanea di Liu esprime una opposizione tutta cinese, con il chiaro intento di favorire cambiamenti politici gestiti dal Partito comunista, in modo graduale e non certamente attraverso azioni violente. È la recente storia del paese, se mai, ad assomigliare a una strage violenta: «il grande balzo in avanti causò la morte, innaturale, di oltre 100 mila persone, la rivoluzione culturale creò una catastrofe immane, il 4 giugno (1989, ndr) creò un bagno di sangue in cui moltissime persone morirono e tante altre finirono in prigione. Questi sono eventi riconosciuti come disastri».

Liu nella sua dichiarazione spontanea ripercorreva le tappe della storia più recente della Cina, avanzando una interpretazione fuori dal coro della retorica nazionalista al riguardo, rileggendo gli eventi storici alla luce del progresso o meno della libertà di parola: «Il Partito comunista cinese divenne forte e trionfò finalmente sul Kuomintang perché promise di opporsi alla dittatura in nome della libertà. Prima del 1949 il partito comunista e i suoi organi di stampa stamparono molti articoli contro le restrizioni della libertà di espressione».

Liu Xiaobo in realtà non è l’ultimo esempio della repressione di voci discordanti: Tan Zuoren, avvocato impegnato nello stilare il numero esatto dei bambini morti sotto il crollo delle scuole durante il terremoto del Sichuan, è stato condannato a 5 anni di prigione, con la medesima accusa di Liu e quella di altri attivisti condannati per il medesimo impegno civile. Per lui però non si è mosso nessuno.

C’è da chiedersi però volendo andare a fondo, come questo Nobel (Liu Xiaobo è molto più noto in Occidente che in Cina) sia un atto sincero o piuttosto non vada ad inserirsi in vicende internazionali (vedi questione dello yuan). Di sicuro questa critica internazionale ha dimostrato di non funzionare, in relazione ad eventuali avanzamenti in tema dei diritti da parte dello stato cinese. Il fastidio provato nei confronti dell’ingerenza esterna in affari interni, non è solo un sentimento espresso più volte anche da ufficiali, quanto un sentimento che risiede nel più intimo pensiero di ogni cinese.

«Se l’Occidente insisterà a giudicare la Cina attraverso gli standard occidentali, se si aspetta che la Cina diventerà uno stato occidentalizzato, l’Occidente è sulla cattiva strada», ha dichiarato recentemente il vice ministro degli esteri cinese Fu Ying, interpretando un sentimento condiviso dal popolo cinese.

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