Riportateli a casa!

In by Gabriele Battaglia

Una nuova forma di protesta si sta sviluppando in Cina: dopo quelle ambientaliste e contro le requisizioni terriere, quella legata all’espansione economica del Dragone. Gli abitanti della contea di Shanglin ieri sono scesi in piazza. Pechino non fa nulla per i loro cari, cercatori d’oro illegali, trattenuti in Ghana.  È l’altra faccia della medaglia per una Cina che si espande nel mondo. Centinaia di residenti della contea di Shanglin, nel Guangxi, sono scesi ieri in strada per chiedere al governo centrale di proteggere i propri familiari, cercatori d’oro più o meno illegali. Sono vittime di attacchi, rapine, violenze.
Il punto è che questo non succede in qualche remoto angolo della Cina stessa, o al limite dell’Asia, bensì in Ghana, Africa.

I manifestanti si sono raggruppati fuori dall’edificio che ospita gli uffici della contea, con in mano cartelli e striscioni che riportavano slogan come “Violenta repressione contro i cinesi in Ghana, i cittadini cinesi sono stati derubati” e “L’ambasciata cinese in Ghana non agisce”. Ora, una carovana composta da migliaia di persone si ripromette di marciare sulla capitale della provincia, Nanning.

Dopo le proteste contadine contro le requisizioni di terre e quelle del nuovo ceto medio contro le varie forme d’inquinamento, assistiamo quindi a un nuovo capitolo, un’ulteriore evoluzione, dell’agitazione sociale in Cina: quella legata all’espansione economica del Dragone nel mondo. E non a caso, il problema si pone in Africa, dove la presenza cinese, spesso intrusiva, ha suscitato polemiche. Una guerra tra poveri, si direbbe, dove però una delle due parti si porta appresso il marchio di nuova potenza coloniale.

In Ghana, nello specifico, è successo che le autorità locali abbiano arrestato nei giorni scorsi oltre 160 cinesi in un giro di vite sulle miniere illegali. Da quel momento in poi, si sono aperte le cataratte del risentimento e della xenofobia e i cinesi sono diventati il bersaglio di rapine, saccheggi e violenze da parte di gente del posto.

Secondo i media, la maggior parte dei cercatori d’oro illegali in Ghana sarebbero cinesi; si stima che siano circa 50mila e si arricchiscono più velocemente dei locali, aprendo altre attività e suscitando così risentimento.

Nei giorni scorsi, il South China Morning Post ha raccontato la storia di Raymond Xie, che dopo aver lasciato il proprio lavoro come insegnante di inglese in una università nel Guangxi all’inizio dello scorso anno, è partito per la corsa all’oro nel paese dell’Africa occidentale. Il 41enne e i suoi partner hanno speso circa 3 milioni di yuan (circa 370mila euro) per aprire una piccola miniera a Obuasi, nella regione Ashanti. La stessa cifra non basta ormai per comprare un appartamento di tre camere da letto a Pechino – si osserva nell’articolo – ma è sufficiente per regalare a Xie il sogno della ricchezza all’estero. La sua miniera produce circa 150 grammi di oro al giorno. Al netto delle spese, l’utile è di circa 2.900 dollari.

Tre anni fa, i cercatori d’oro cinesi gestivano una decina di piccole miniere d’oro in Ghana, ma il numero è ora cresciuto esponenzialmente fino a circa 2.000. Le fortune sono diverse e altalenanti: ci sono quelle che producono fino a un chilo d’oro al giorno, altre solo tra i 30 e i 50 grammi, alcune non producono un bel niente del tutto.

Xie dice che i giovani della sua città natale, nella contea di Shanglin, potrebbero guadagnare al massimo mille yuan al mese, o meno, come contadini; in Ghana, nonostante una vita dura, lontana dagli affetti e spesso nel mirino di violenze e vessazioni, riescono a guadagnare fino a 10mila yuan al mese.

Come spesso accade in questi casi, i cercatori d’oro cinesi vengono infatti quasi tutti dalla stessa zona: la contea di Shanglin, appunto. Uno dei manifestanti che ieri si sono radunati sotto gli uffici della contea proviene dalla località di Mingliang e al South China Morning Post dichiara: “Più della metà dei giovani di Mingliang sono in Ghana, ora. Quattordici membri maschi della mia famiglia sono lì. Siamo pentiti di averli mandati in Ghana per l’attività mineraria illegale, ma adesso chiediamo al governo centrale di aiutarci a riportarli a casa”.

Il “pogrom” dei cinesi ha contorni poco chiari e l’impressione è che ci sia in corso un vero e proprio tira e molla tra le autorità ghanesi e quelle di Pechino. Francis Palmdeti, che secondo i media cinesi (che riprendono Bloomberg) è il responsabile del servizio immigrazione in Ghana, ha detto che alcuni dei 160 cinesi detenuti avevano i permessi di residenza scaduti, aggiungendo che “il rimpatrio inizierà quando i migranti o l’ambasciata cinese pagheranno per le spese di trasporto”.

Quindi i familiari nella lontana Cina scendono in piazza per protestare contro le proprie autorità: “Fate qualcosa, riportateli a casa”. Un manifestante ha detto: “Siamo devastati ogni volta che in questi giorni riceviamo le chiamate a lunga distanza dai nostri parenti in Ghana. Migliaia di loro sono ora in pericolo di essere derubati e aggrediti da malviventi locali, ladri e perfino poliziotti, sotto la minaccia di armi”. Secondo le notizie ancora frammentarie, tra i cinque e gli otto cinesi sarebbero stati finora uccisi “a Kumasi, Obuasi e Dunkwa nella regione di Ashanti del Ghana”, dice Su Zhenyu, segretario generale della China Mining Association in Ghana.

Su aggiunge che al momento è difficile avere chiaro il quadro della situazione, perché molti lavoratori cinesi delle miniere si stanno nascondendo nelle foreste e nei villaggi, dopo aver perso il contatto con i propri compatrioti. Molti vorrebbero tornare a casa – sostiene Su – ma per farlo hanno bisogno di aiuto da parte del governo. 

[Scritto per Lettera43; foto credits: bbc.co.uk]