Riflessioni sul modello Chongqing

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24)  La “caduta” di Bo Xilai ha fatto subito il giro dei media cinesi, ma poche le opinioni esplicitamente legate al caso. Gli editorali della direttrice di Caixin Hu Shuli, del sociologo Sun Linping e del costituzionalista Tong Zhiwei. Hu Shuli, la nota direttrice del gruppo Caixin, il 14 marzo ha firmato un editoriale che, partendo dalle parole pronunciate da Wen Jiabao in conferenza stampa in relazione al caso Wang Lijun e al pericolo di un ritorno ai modi della Rivoluzione culturale, si sofferma più che altro sull’«amnesia collettiva» che ha colpito la società cinese a proposito del decennio compreso tra il 1966 e il 1976.

«Le generazioni più vecchie non hanno il coraggio di guardarsi indietro, mentre quelle più giovani non hanno la più pallida idea di cosa sia stata la Rivoluzione culturale». Ma, si chiede Hu Shuli, «possiamo davvero dimenticarla? Nella conferenza stampa di chiusura delle due assemblee il premier, per lo meno, ci ha ricordato che non abbiamo il diritto di dimenticare».

È stato invece il Jingji Guancha, il 15 marzo, giorno in cui l’agenzia Xinhua annunciava laconicamente la sospensione di Bo Xilai dal suo incarico e la sostituzione da parte del vice primo ministro Zhang Dejiang, a pubblicare per primo e in tempo reale nella sua edizione online un commento sulla questione, scritto dal sociologo Sun Liping

L’editoriale, poi ripreso, citato e ripubblicato da numerosi siti di informazione e ripostato anche sul forum del Quotidiano del popolo online, afferma che «due sono le mie idee sul “modello Chongqing”: non si può negare questo modello solo perché sono emersi dei problemi, per quanto gravi; ma nemmeno si può promuovere questo modello solo perché con esso la città si è presa cura della vita delle persone».

Sun Liping parte infatti dal presupposto che, «indipendentemente da come il caso di Chongqing andrà a finire, il fatto che il modello abbia incontrato alcuni problemi è oggettivo. Ma non è perché si rinuncia a “venire a ovest” che, allora, bisogna “andare a est”».

Cioè non tutto, nella strada intrapresa da Bo Xilai, è da buttare, nonostante lo studioso dell’Università Qinghua sia un aperto sostenitore del “modello Canton”, cioè del modello liberale opposto a quello “nostalgico” di Chongqing.

«Mi sono sempre schierato dalla parte del “modello Canton” e ho sempre detto che il “modello Chongqing” richiedeva un attento scrutinio. E sono d’accordo nel dire che il modello Chongqing ora è crollato.

Il modello Chongqing ha affrontato i problemi giusti, ma nel modo sbagliato. La sua definitiva scomparsa non sarà decisa però dai problemi emersi oggi, ma dalla sua capacità o meno di dare vita a un modello nuovo che sappia affrontare i problemi giusti nel modo giusto».

Bo Xilai è stato accusato di aver creato il “modello Chongqing” solo per perseguire i suoi interessi personali, ma per Sun Liping «non importa quali fossero le intenzioni dell’ex segretario di partito della città: quello che conta, e che noi dobbiamo considerare, è il fatto che il modello è cresciuto su un terreno sociale fertile, caratterizzato da una polarizzazione sempre più grave, dal gap tra ricchi e poveri, dalle difficoltà quotidiane che la popolazione deve affrontare e dalla grande insoddisfazione sviluppatasi per questi motivi».

Le scelte compiute da Bo Xilai, quindi, «non sono state un suo capriccio, ma sono nate con l’obiettivo di rispondere ad alcune richieste reali provenienti dalla società».

Il sociologo dice perciò di avere ora una «grande preoccupazione: che, negando il modello Chongqing, si finisca con l’ignorare i problemi e i bisogni della popolazione che questo modello aveva preso in carico».

Per questo, insiste Sun Liping, il modello Chongqing non va rifiutato categoricamente. Perché, prima di eliminarlo, «bisogna trovare un modello migliore che sia capace di risolvere quei problemi reali che sono emersi».  

Pur riconoscendo la necessità di salvare qualcosa del “metodo Bo Xilai”, lo studioso è comunque convinto che non si debba pensare esso sia l’unico modello per rispondere alle istanze della popolazione.

«Per giudicare un modello sociale non basta vedere che cosa ha risolto, ma quali sono la logica di, la prospettiva e le possibilità di sviluppo del modello. È così che guardo anche al modello Canton. Perché fare sì che i cittadini abbiano il diritto di essere protetti e di lottare per i propri interessi è più importante che risolvere alcuni problemi contingenti.

Non credo che il modello Canton abbia ancora mostrato grandi risultati, ma, come ho sottolineato, le politiche sono importanti, ma ancora più fondamentale è il meccanismo che sta alla loro base. Per avere una prospettiva futura bisogna risolvere i problemi che riguardano i meccanismi della società».

Ed è stato ancora il Jingji Guancha a pubblicare, il 19 marzo, un altro dei pochi editoriali usciti finora sul caso Bo Xilai. Tong Zhiwei, costituzionalista della Huadong Political University, ha elencato le “attività rosse” portate avanti a Chongqing negli ultimi due anni, per analizzare su quali punti le autorità cittadine debbano “riflettere”, come affermato pubblicamente da Wen Jiabao il 14 marzo.

Lo studioso cita «la statua di Mao alta 20,6 metri e pesante 46 tonnellate, la più alta e la più grande della Cina», le «128 mila attività legati alle canzoni rosse» e i «28 mila eventi di lettura pubblica dei classici del maoismo».

E dice: «Le autorità di Chongqing dovrebbero riflettere: queste attività sono nate spontaneamente o sono state promosse dagli organi pubblici? Sono attività a cui la popolazione e i funzionari di partito partecipavano volontariamente, o a cui erano forzati, in modo diretto o indiretto, visibile o invisibile, a partecipare? Potevano scegliere liberamente di non partecipare? E se non vi partecipavano liberamente, che significato avevano queste attività per loro?».

Sottolineando che queste attività sono state organizzate non con i soldi del partito, ma con i fondi provenienti dalle tasse dei cittadini, Tong Zhiwei invita a chiedersi se «queste spese per la vita delle persone siano cruciali» e se pertanto «siano state esaminate e approvate dall’Assemblea del popolo».

L’argomento di fondo del costituzionalista è che le leggi in Cina «sanciscono il diritto per i cittadini di scegliere i prodotti culturali da consumare». Se dunque «un organismo politico o un funzionario di partito investe non i soldi del partito, ma risorse statali per promuovere le “canzoni rosse”, dal punto di vista legale c’è qualcosa che non va».

Tong Zhiwei punta insomma a ribadire l’accusa principale mossa a Bo Xilai: le autorità di Chongqing «devono chiedersi se gli organismi pubblici e i leader devono agire per il bene pubblico o per scopi individuali».