I ragazzi di Wuhan

In by Simone

Wuhan tra le altre cose è chiamata anche la città dell’LSD, poiché detiene il record nazionale di uso di sostanze chimiche. I ragazzi che gestiscono il Laboratorio lo sottolineano a inizio intervista, per accorciare le distanze circa la comprensione del luogo i cui si trovano a operare. Si affrontano infiniti temi, perché la voglia principale è quella di condividere esperienze diverse e con esse la dura realtà e lo straordinario coraggio che ci vuole a prendere parte.

Quando avete cominciato le attività in questo posto?
A settembre siamo entrati: abbiamo impiegato due mesi per pulire, mettere a posto e preparare l’impianto audio e una piccola libreria. Poi abbiamo iniziato con un concerto di musica sperimentale, è venuta parecchia gente. Infine abbiamo organizzato una conferenza dibattito sullo zapatismo, molti problemi del Sudamerica ci hanno ricordato la nostra situazione, una sul concetto di do it yourself e quella su Serpica Naro. Ogni giorno naturalmente cerchiamo di confrontarci con la volontà di creare un luogo che risponda ai nostri sogni e alle nostre necessità. Abbiamo altre iniziative all’orizzonte: una sul femminismo, una sul subvertising (tecnica di ribaltamento dei messaggi pubblicitari, ndr) e una sui sistemi di sorveglianza. Infine abbiamo invitato i ragazzi e le ragazze di Asia Media Activist Net, un’esperienza nata in Giappone e Corea del Sud.

Quali sono i vostri desideri riguardo questo luogo? I vostri obiettivi?
Ci piace dire che vorremmo creare un laboratorio sociale, in grado di ricostruire in modo decostruttivo la realtà che ci circonda. Abbiamo deciso di fare, e di provare a immaginare una realtà che sia diversa da quella che viviamo giornalmente. Decidere per noi stessi, guidarci da soli, in una società gerarchica come quella cinese sarebbe già un grande successo. E lanciare un segnale, un monito, un’attitudine come abbiamo ripetuto al workshop su Serpica Naro. Riguardo gli obiettivi ne abbiamo tre in particolare: prima di tutto comunicare. Secondo, agire. Qui in Cina parliamo sicuramente di un’avventura: vogliamo realizzare un magazine, ma anche fare azioni di pulizia nelle discariche di questo villaggio. Come saprete questo è molto difficile, perché questo schifo che puoi vedere per strada è una cosa che si basa su consuetudini sociali, burocrazia, governo del villaggio. Sembra una cosa facile, ma non lo è.
Infine, ovviamente, sperimentare una vita creativa e attiva, che sviluppi il concetto di un’economia del dono, della condivisione.

Che reazioni sono arrivati dai vostri amici di Wuhan.
Qualcuno ci ha detto che stiamo facendo una cosa senza senso. Può essere, stiamo giusto cercando di capire cosa stiamo mettendo in piedi. Poi però quelle stesse persone vanno alle feste di Natale organizzate da ex punk. Si definiscono marginali, allora noi potremmo definirci di nessun luogo! Ci sono state anche sorprese: qualcuno ci ha proposto di finanziarci per creare un ostello della gioventù, altri si sono detti disposti a venire a darci una mano, una rivista nazionale di arte ci ha contattato per seguire le nostre attività, un professore dell’università ci ha dato la possibilità di ospitare un workshop sull’attivismo occidentale in facoltà. Sono segnali buoni e che non ci aspettavamo.

Se doveste descrivere il mondo in cui vi piacerebbe vivere, che parole usereste?
Un mondo che non sia dominato dall’idea di destino, che tutto giustifica e che serve solo a rendere passive le persone. Mutualità solidarietà e rispetto per se stessi. E’ una domanda che mi piacerebbe rivolgere anche a voi occidentali, non è facile rispondere. Il mondo ideale esiste nelle menti, qui proviamo a fare si che il mondo che vediamo e che non ci piace, possa essere un poco migliore. Serve coraggio, determinazione.

Quali pensiate siano i problemi dei giovani cinesi?
Affoghiamo nella comunicazione mainstream. E’ strano: la pubblicità ci dice che niente è impossibile, ma poi i giovani sembrano terribilmente spaventati all’idea. C’è una storiella cinese che esemplifica la cosa: un uomo era innamorato di un drago. Lo dipingeva ovunque, dappertutto. Un giorno il drago, toccato da tanta passione, lo va a trovare. E l’uomo quasi muore di paura. Viviamo sotto una maschera, abbiamo paura e sembra che ogni cosa che provi a fare sia impossibile. E’ un meccanismo strano questo del neo liberismo: ti dicono che sei libero, ma ti senti in trappola.

Quali libri state leggendo, adesso.
The Revolution of Everyday Life, di Raoul Vaneigem, i racconti del subcomandante Marcos e Dharma Bums, di Kerouac.
 

[pubblicato su Il Manifesto del 28 gennaio 2009]