Quali prospettive per lo Sri Lanka dopo le elezioni?

In Economia, Politica e Società, Sud Est Asiatico by Redazione

Sono stato solo pochi mesi fa in Sri Lanka, all’indomani degli attentati terroristici che hanno messo a dura prova non solo la natura mite e multi culturale della popolazione, ma le stesse istituzioni politiche che negli ultimi dieci anni si erano impegnate nell’attuazione di un vasto programma di sviluppo del territorio e di valorizzazione delle sue ricchezze naturali, storiche, architettoniche e culturali. Al mio rientro in Italia, ho raccontato in un articolo giornalistico l’esperienza da me vissuta in quei giorni di paura e di concitazione susseguenti agli attentati. Oggi, a pochi giorni dalle prime elezioni politiche dopo gli attacchi di matrice islamica dello scorso aprile, ritengo una questione importante, per farsi un’idea dei possibili futuri scenari politici dello Sri Lanka, cercare di capire quanto e come gli eventi tragici, che hanno colpito dolorosamente il paese, hanno cambiato gli equilibri politici e messo a rischio la pace sociale del paese.

La storia dello Sri Lanka è, per molti versi, simile ad un viaggio. Un viaggio attraverso periodi di sottomissione, di lotta, di riconoscimento, di ricerca della propria identità nazionale, di adattamento ai molteplici cambiamenti politici e sociali, di resilienza. Un viaggio lento, tortuoso, spesso doloroso e per questo ricco, fatto di storie di tenacia, di eroismo e di coraggio. Lo Sri Lanka, infatti, ha vissuto in passato un lungo periodo di lotte tra l’etnia singalese e quella Tamil, una minoranza inizialmente favorita dalle politiche strategiche di controllo dei colonizzatori inglesi, che ha visto il suo potere sgretolarsi lentamente in seguito all’indipendenza nazionale del 1948. La situazione si è poi gradualmente aggravata fino a degenerare in una vera e propria guerra civile che ha insanguinato il paese dagli inizi degli anni ’70 fino al 2009, quando le Tigri Tamil furono definitivamente sconfitte dall’esercito singalese. Una guerra civile lunga e sanguinosa dove sono morte circa 100.000 persone, tra cui molti civili. Con la fine della guerra e la rappacificazione delle fazioni in lotta lo Sri Lanka si lasciava alle spalle un periodo di terrore per la popolazione locale, e il governo eletto nel 2010 poteva dare avvio allo sviluppo del paese, costruendo infrastrutture moderne per rilanciare il turismo, una delle principali fonti di ricchezza assieme a quella della coltivazione del tè, ed attrarre visitatori e viaggiatori da tutto il mondo.

Da quel momento “l’isola che risplende” è diventata nel panorama internazionale una meta turistica rinomata e attrattiva, fino allo scorso aprile, quando lo spettro del terrore si è improvvisamente materializzato ed ha colpito lasciando una scia di sangue e di oltre 250 morti, tra cui molti turisti di diverse provenienze. Ma le conseguenze dell’attentato sembrano non essersi limitate a questo, i suoi effetti si sono proiettati anche sulle recenti elezioni politiche. Oggi, molti appartenenti alle minoranze Tamil, Hindu e soprattutto Musulmana hanno accolto con timore l’elezione di Rajapaksa, ex capo della difesa e fratello dell’ex presidente autoritario Mahinda Rajapaksa, che nel voto di sabato scorso ha prevalso contro Sajith Premadasa, ottenendo il 52,25% dei voti.

Gotabaya Rajapaksa è, infatti, un uomo dal passato controverso: se i suoi sostenitori riconoscono il suo ruolo di leadership, come segretario alla difesa, nella sconfitta delle Tigri Tamil e nella conseguente rappacificazione del paese, i suoi oppositori lo accusano, oltre che delle violazioni dei diritti umani durante il periodo buio della guerra, anche delle vessazioni inflitte a giornalisti critici nei confronti del governo al potere tra il 2005 ed il 2015 (espressione del partito vincitore delle recenti elezioni ) e della protezione degli estremisti anti musulmani. La sua elezione rappresenta, dunque, per le minoranze non singalesi e di religione non buddista la paura di un ritorno ad un passato di discriminazioni e di disagio sociale.

Gli attacchi di natura islamica di sette mesi fa, infatti, non solo hanno devastato l’economia singalese, lasciando il paese in ginocchio, ma hanno anche distrutto le già fragili relazioni sociali tra i differenti gruppi etnici e religiosi, indebolendo in modo deciso la fiducia nel governo in carica la cui immagine risultava già compromessa da conflitti interni. Nei mesi successivi agli attentati, inoltre, molti musulmani avevano denunciato campagne di odio e di boicottaggio delle loro attività commerciali da parte della maggioranza buddista tanto da far temere la diffusione di una nuova ondata di razzismo a livello nazionale.

In un paese ancora sotto choc e la cui resilienza e anima pacifica è stata messa duramente alla prova, Gotabaya Rajapaksa, secondo i suoi sostenitori, rappresenta l’uomo forte, colui che ha sconfitto i terroristi, colui sotto il cui controllo gli attentati non avrebbero avuto luogo. In un contesto così delicato, il paese si ritrova, oggi, diviso e fortemente polarizzato sulla base dell’appartenenza etnica e religiosa dei diversi gruppi che lo compongono. Nonostante gli appelli all’unità nazionale proclamati dal neo presidente, unificare comunità differenti e proseguire nel processo di riconciliazione post bellica appare un compito arduo. D’altro canto, la parola d’ordine sembra essere, ad oggi, quella di mantenere l’unità e proseguire nella politica di sviluppo del paese in modo pacifico. Spetterà alla popolazione singalese contrastare l’influenza dei gruppi estremisti e porre le basi per mantenere e anzi rinvigorire lo spirito e l’anima della nazione, secondo le tradizioni di rispetto multiculturale e di adattamento che ha saputo dimostrare anche nei periodi di maggiore sconforto e sofferenza.

di Marco Buemi*

**Marco Buemi è un esperto di sviluppo sostenibile e ha lavorato e viaggiato per molti anni in tutta l’Asia. Per 15 anni ha collaborato prima con il governo svedese e poi per quello italiano come esperto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2017 è lead expert del programma URBACT dell’Unione Europea, finalizzato allo sviluppo sostenibile delle città. Dal 2018 è Project Manager della Città di Torino , inoltre, è docente in diverse università su temi relativi alla progettazione europea e allo sviluppo sostenibile.