Il noto avvocato dei diritti civili è comparso oggi di fronte a una corte di Pechino accusato di “suscitare liti e provocare guai" e “incitamento all’odio etnico”. A provarlo sarebbero sette tweet. Le forze di sicurezza non hanno lasciato entrare diplomatici stranieri, giornalisti e parenti di Pu nel tribunale. Fuori la corte un’atmosfera tesa: l’avvocato rischia fino a 8 anni. “L’ho visto, il suo spirito è alto ma è dimagrito e ha i capelli bianchi”. Così si è espressa la moglie di Pu Zhiqiang al termine del processo di tre ore e mezza che si è svolto oggi in una corte di Pechino contro suo marito. Dopo 19 mesi dietro le sbarre, uno degli avvocati per i diritti civili più e noti ammirati della Cina è stato infatti giudicato oggi per ragioni che hanno poco a che fare con il crimine e molto con la libertà di coscienza. Pu Zhiqiang, 50 anni, era accusato di avere scritto sul social media Weibo e con diversi pseudonimi sette post irriverenti nei confronti delle autorità cinesi tra il 2011 e il 2014, anno in cui è stato arrestato.
Di fronte alla seconda corte intermediaria di Pechino, una cinquantina di attivisti si raggruppano per mostrare i loro dazebao e si sciolgono appena arriva la polizia. Si definiscono semplici "cittadini", ma sono quel che resta del "movimento dei nuovi cittadini" che si è spento assieme con la condanna a quattro anni del suo avvocato di spicco Xu Zhiyong. Alcuni di loro, infatti, li avevamo anche incontrati a presidiare con modalità molto simili il suo processo.
"Ci interessiamo di Pu, perché ci interessiamo del popolo cinese" ci dice uno di loro. "Siamo in contatto con gli avvocati, e cerchiamo di dimostrare al mondo che non è perché siccome l’economia va bene in Cina non ci sono più problemi", gli fa eco un altro. Qualcuno di loro, viene portato in questura dalla polizia (assistiamo personalmente a due casi, ma gli attivisti denunciano venti arresti). Nei momenti di calma si affollano intorno ai pochi giornalisti rimasti a raccontare il loro coinvolgimento.
Dentro la corte, dove non sono potuti accedere ne giornalisti né diplomatici, intanto Pu Zhiqiang risponde alle domande "in maniera chiara e logica" come racconterà a processo chiuso il suo avvocato. Due sono le accuse formali nei suoi confronti: “Suscitare liti e provocare guai" e “incitamento all’odio etnico”. Tra i sette post incriminati, lo sfottò a un membro dell’assemblea nazionale del popolo che si era vantato pubblicamente di non avere mai votato contro decisioni del Partito; critiche alle politiche di Pechino verso le minoranze etniche del Tibet e dello Xinjiang; accuse contro la gestione ufficiale del disastroso incidente ferroviario di Wenzhou del 2011, quando decine di persone persero la vita. Rischia 8 anni di detenzione e la sentenza può essere emessa in ogni momento nel giro di una settimana.
Secondo il suo avvocato, Pu avrebbe ammesso di essere l’autore dei post, si è scusato per il linguaggio maleducato, ma ha negato di voler fomentare l’odio etnico. Pu in passato ha difeso chi è stato internato nei campi di rieducazione e, non ultimo, il noto artista-dissidente Ai Weiwei. Era stato arrestato 19 mesi fa nel maggio del 2014 mentre partecipava a un seminario sui fatti di Tian’anmen, in occasione dei 25 anni della repressione del movimento degli studenti.
Fuori dalla corte si sono verificati leggeri tafferugli tra le molte forze di sicurezza presenti (sia in divisa sia in borghese), gli attivisti che presidiavano la corte e i giornalisti stranieri che cercavano di intervistarli, incidenti che hanno indotto il club dei corrispondenti stranieri di Pechino a diffondere un comunicato di condanna.
“Questo tentativo di scoraggiare la copertura delle notizie – vi si legge – è una grave violazione delle regole sui corrispondenti stranieri emesse dal governo cinese, in base alle quali è espressamente consentito intervistare chiunque acconsenta. La copertura delle notizia giudiziarie fa parte del lavoro giornalistico e si prevede che crescerà in parallelo al progetto della Cina di sviluppare il proprio Stato di diritto”. Anche i diplomatici dell’ambasciata americana e dell’Unione europea hanno letto di fronte alla corte un comunicato in cui si esprime preoccupazione per la sorte di Pu Zhiqiang e le "vaghe accuse" che gli sono comminate.
[La foto di copertina è di Cecilia Attanasio Ghezzi]