Propaganda on line, all’estero

In by Simone

Alcuni stranieri impegnati in una discussione su un popolare social network, notavano tempo fa strani fenomeni a margine di un articolo sulla Cina su un media cinese in lingua inglese. Dopo alcune critiche al governo espresse da alcuni utenti, si è potuto osservare come i commenti diventassero via via più astiosi nei confronti degli occidentali, finendo per sotterrare le prime critiche mosse alla Cina, sotto una coltre di opinioni favorevoli. Non è un caso: si tratta di un piccolo esempio di una manovra più complessiva, attraverso la quale la Cina imbastisce le proprie trame propagandistiche anche all’estero. E’ un sistema, in cui anche i minimi particolari, vengono tenuti in somma considerazione.

La meta propaganda
Censurare on line la propria propaganda è un piccolo capolavoro cinese, un’opera d’arte multimediale, un viatico contraddittorio alle modalità cinesi di percepire la propria influenza sulla popolazione. Un’attenzione che senza il boom della rete, non ci sarebbe mai stata. Dopo anni di propaganda classica, anche in Cina arrivò Internet. I cinesi lo hanno esaminato, studiato, scrutato, capendo come piegare le sue caratteristiche alla necessità di tenere avvinghiati ai propri ideali di armonia e rispetto della classe dirigente i propri users. Internet è incontrollabile e per quanto il governo cinese si sforzi a mettere dei limiti, l’autorità stessa ne conosce i meandri più prodigiosi. Ben presto allora si è pensato di ovviare, seminando le proprie certezze non solo all’interno, ma anche all’esterno del propri confini, offrendo un’immagine di sé che possa essere connessa ai bisogni internazionali del paese.

La Cina si è posta da tempo il problema di come utilizzare la propaganda on line anche in riferimento all’ambito internazionale. E si arriva alla meta propaganda di alcuni mesi fa: il 29 aprile Wang Chen funzionario incaricato di gestire la propaganda all’estero, ha tenuto un discorso presso il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale Popolare, dal titolo Concerning the Development and Management of Our Country’s Internet. Un bilancio della propaganda on line, con alcune traiettorie per future strategie focalizzate sui media internazionali: «la nostra abilità – ha detto – a disseminare informazione nel mondo fuori dalla Cina è aumentata enormemente.

Sono nati nell’ultimo periodo 44 nuovi siti di informazione in lingue estere. Questi canali cinesi in lingue straniere stanno diventanto un importante strumento per contrastare l’egemonia dei media occidentali, sostenendo la cultura del nostro paese e il nostro soft power».

Troppo diretto, forse Wang Cheng, tanto da incorrere in un comico caso di cenrua, specie perché il suo discorso è finito su un sito governativo. Dopo qualche giorno – il 4 maggio -il suo intervento non si trovava più, sostituito da un altro documento in cui molte parti originali erano state tagliate.

Metodi e ambiti
«Sotto la leadrship del Partito abbiamo organizzato iniziative per guidare la pubblica opinione in riferimento ad eventi importanti del paese, inclusi gli incidenti di Lhasa di due anni fa, quelli di Urumqi dell’anno scorso, i terremoti e le riforme del welfare. Questi sforzi hanno provveduto a consolidare e rafforizare il supporto dell’opinione pubblica, salvaguardando i nostri interessi nazionali. Il nostro scopo è creare un fronte favorevole nell’opinione pubblica mondiale on line», ha scritto Wang Cheng in uno dei passi tagliati.

Nel pratico, però, come agisce la propaganda on line del Partito con riferimento agli eventi esterni? Utilizzando diversi fattori: da un lato diffondendo il più possibile i propri canali mediatici all’estero, rafforzando i propri siti internet in lingue straniere, cercando di imporre la propria visione di eventi interni al resto del mondo (riuscendoci e vedremo come), dall’altro allenando i cinesi ad un fronte unito contro l’estero unendo incentivi e fomentando il già presente nazionalismo, in modo che ogni cinese stesso, nel momento in cui si trova di fronte ad una discussione in inglese, ad esempio, su un forum di un media straniero, sappia esattamente cosa dire e cosa fare, riportando le parole precise che avrebbe potuto esprimere il proprio governo.

Due anni fa ad Urumqi, in Xinjiang, scoppiarono violenti scontri tra uighuri, etnia musulmana, ed han, l’etnia principale cinese. La CCTV, attraverso anche la Xinhua e altre agenzie di stampa locali, convinse con un video di 3 minuti tutta la sua popolazione circa gli eventi: violenti uighuri che attaccavano han. La sorpresa fu quella di ritrovarsi tutti i media stranieri a riportare immagini e notizie ufficiali cinesi, senza chiedersi, questa volta, l’attendibilità o meno delle informazioni.

Tutto il mondo pensò di assistere a una clamorosa rivolta degli uighuri, assetati del sangue degli han, senza chiedersi perché, per quale motivo si fosse arrivati a quegli eventi. Un risultato di anni di sforzi, conclamati nell’epoca di internet: nel 1997 l’Ufficio della Propaganda stabilì che alcuni media cinesi on line si specializzassero nelle informazioni da fornire via web all’estero.

Venne identificato lo scheletro di questa manovra nel Giornale del Popolo, l’agenzia Xinhua (che Mao nel 1955 invitò a «mettere il mondo sotto il proprio controllo», la China Radio International e il China Daily, quotidiano on line in lingua inglese. Ben presto questi media divennero il centro delle informazioni sul web per quanto riguarda la Cina raggiungendo alcuni media stranieri decisamente importanti. Già nel 2001 erano parecchie le voci straniere «abbonate» al flusso on line di informazione cinese: ogni giorno ribattevano i lanci via web della propaganda cinese la Reuters, England Financial Times, Dow Jones, Datatimes, Asia information, Channel NewsAsia e altri. Oggi, molti di più.

Eserciti, pagati e volontari
Da un lato dunque flusso di informazioni su quanto accade nel proprio paese, dall’altro la necessità di formare attraverso i consueti esercizi di ginnastica dell’obbedienza i cinesi a fronteggiare anche retoricamente i laowai, gli stranieri, che mettono il becco sugli affari interni del paese. Risale al 2006 il documento dell’ufficio della Propaganda della provincia di Anhui in cui veniva messo nero su bianco, l’assunzione di «commentatori» con il ruolo di arginare proteste, pagati circa 600 RMB al mese e con un incentivo di 50 centesimi di RMB per ogni commento postato.

Era l’inizio dell’esercito dei 50 cents, come viene definito in Cina: persone pagate per indirizzare i dibattiti on line, inizialmente sui siti cinesi e ormai via via anche su quelli stranieri. C’è un metodo di selezione preciso, i candidati devono avere la fiducia del partito e dimostrarsi pronti a soccorrerlo, ma non c’è una stima precisa del numero. Secondo alcuni sarebbero circa 300 mila, ma specie dopo le parole del presidente Hu Jintao che ha definito i soldati dei 50 cents, come un «nuovo schema di guida dell’opinione pubblica», fioriscono i soldati volontari.

E sono loro, più di quelli pagati, a sfruttare ormai in modo completo anche le potenzialità del web 2.0 inserendosi sia in forum stranieri, sia sfruttando le proprie competenze tecniche per spingere le ricerche dei motori di ricerca esteri a tirare fuori i risultati migliori per quanto riguarda la Cina, cercando di ovviare alla comunicazione spesso critica nei confronti della Terra di Mezzo.

E’ uno scatto in piena comprensione della nuova rete composta dai pareri degli utenti, in cui una parola di un commento, un tweet, un post su un blog, assume ormai un’importanza fondamentale nel concetto di web partecipato occidentale. Senza tenere presente che, con 400 e passa milioni di users, le risorse «militari» appaiono infinite. E l’assalto al cielo del web straniero, sembra appena cominciato.

[Anche su Alias, del 18 settembre]