Pillole di Cina – Mamma, li Celti in Cina!

In Cina, Pillole di Cina by Isaia Iannaccone

La presenza di popoli ariani di razza bianca sta rimettendo in questione il concetto che la civiltà cinese si sviluppò in modo autonomo o “in vaso chiuso”, come si usa dire.

Tokhariani, Tokariani, oppure Tocariani? Per alfabetizzare in lingua italiana il nome di questo popolo sono state proposte diverse soluzioni partite tutte dal Francese (Tokhariens) giacché i primi studi su di esso furono pubblicati sul Journal Asiatique nel 1913, e a tutt’oggi non è che abbondino le ricerche su questo soggetto anche se negli ultimi venticinque anni l’interesse è andato crescendo. Ma andiamo con ordine e, per prevenire battute sceme, vi informo subito che i Tokariani non sono gli abitanti del pianeta Tokar…

I Tokariani erano un popolo caucasico che assieme a Celti, Germani, Italici, Ittiti e Traci vivevano anticamente in Eurasia; essi sono accomunati dalla parentela con una comune lingua d’origine chiamata indo-europea, e quindi vengono classificati come popoli indo-europei. Studi linguistici e genetici di recente formulazione hanno ricostruito le migrazioni di queste popolazioni, sia quelle più antiche che quelle più moderne, migrazioni che hanno poi dato vita alle etnie che oggi conosciamo. Tra i popoli indo-europei moderni, ci sono quelli dell’Europa dell’Ovest, i Baltici, gli Slavi, i Greci, gli Albanesi dell’Illiria, gli Armeni, gli Iraniani e gli Indiani.

Secondo l’ipotesi più accreditata, tremila anni prima di Marco Polo i Tokariani partirono dall’attuale Ukraina per migrare verso est, laddove tutte le migrazioni umane avvenivano verso nord o verso ovest. Ci misero circa duemila anni per toccare quello che oggi consideriamo territorio cinese e stabilirvisi.

I Tokariani si estinsero circa mille anni fa, ma ci interessano particolarmente perché erano stanziati nel bacino del Tarim in Asia Centrale, ossia la parte più occidentale dell’attuale provincia cinese del Xinjiang, a nord del Tibet, che se una volta era costellata di oasi e vi scorrevano fiumi, oggi è dominata dal deserto del Taklamakan. Attualmente, la regione è abitata prevalentemente dagli Uiguri e dai Cinesi di etnia Han migrati recentemente.

La storia di questo angolo di Terra è stata sempre tormentata; anticamente, ogni oasi era un regno a parte, le lotte per il predominio delle vie carovaniere erano continue e feroci, e attraverso queste vie (poi chiamate Vie della Seta) avvenivano scambi di prodotti naturali, manufatti, animali, merci varie, idee, invenzioni, religioni che stimolarono l’evoluzione complessiva delle genti che venivano a contatto, e resero più variegata, complessa, colta e intelligente l’umanità in senso generale.

L’esistenza dei Tokariani in terra cinese è emersa grazie a una serie di campagne archeologiche che ebbero luogo nei primi decenni del Novecento sotto la guida di studiosi del calibro di Albert Grünwedel, Albert von Le Coq, Albert Stein e Paul Pelliot, e che portarono alla luce rovine, grotte e reperti risalenti al primo millennio d. C. riconducibili ai Tokariani. Ma le scoperte più sensazionali risalgono al 1934 quando nel bel mezzo del deserto del Taklamakan (regioni di Hami, Lop Nor e Cherchen) furono trovate alcune sepolture con diverse mummie tokariane. Nonostante l’importanza della scoperta, non fu data enfasi scientifica al ritrovamento: la Cina, in piena guerra civile, viveva allora uno dei momenti più difficili della sua storia contemporanea, ed erano ancora calde le umiliazioni causate dai trattati ineguali dopo le guerre dell’oppio, e la selvaggia colonizzazione e lo sfruttamento economico del Paese da parte degli occidentali. Inoltre, la storia cinese, fatta dai Cinesi, ha sempre enfatizzato la distanza culturale e sociale tra essi e le popolazioni altre, i “barbari stranieri”, e sostenuto che il “genio cinese” era riuscito, ben prima di altre civiltà, a dare al mondo invenzioni e scoperte strabilianti (carta, scrittura, magnetismo, polvere da sparo, ceramica, acciaio, etc.) senza l’apporto di altre culture.

Nel 2000 gli scavi ripresero nel bacino del Tarim; gli archeologi, cinesi e americani, trovarono cinque strati di sepolture, 167 tombe, oltre 1000 oggetti funerari, e 30 mummie in perfetto stato, poste in bare a forma di barca rovesciata; il sito era caratterizzato da una notevole iconografia sessuale: pali che rappresentavano falli e vulve posti di fronte alle sepolture, e che probabilmente, come nelle altre civiltà del passato, erano simboli auguranti la fertilità. Secondo Wang Bing, direttore dell’Istituto di Ricerche Archeologiche dell’Università di Urumqi (capitale del Xinjiang) la perfetta mummificazione dei cadaveri era stata facilitata grazie al clima arido del deserto, alla ricchezza di sale del suolo e al fatto che, probabilmente, i corpi erano stati inumati in inverno nel momento di massimo abbassamento di temperatura.

La datazione di queste mummie è tra 1800 e 2000 anni a. C., e le caratteristiche antropologiche dei defunti, le analisi del DNA (portate avanti anche dal genetista Paolo Francalacci dell’Università di Sassari) hanno mostrato che i maschi sono tutti Tokariani mentre le femmine anche di altre etnie; i corredi funerari – vestiti e manufatti – hanno inequivocabilmente dimostrato una tipologia riconducibile ai Tokariani.

Questa volta, però, la posizione dominante della Cina nel panorama economico mondiale, ha stimolato a dare molta pubblicità al rinvenimento e, senza tema di dovere condividere scoperte, invenzioni o alcunché con eventuali coautori “bianchi” che in passato frequentarono il Paese di Mezzo, i Cinesi hanno fatto delle mummie tokariane l’attrattiva principale del Museo Provinciale di Urumqi e quello dell’oasi di Turpan (Turfan) dove le mummie esposte sono nove e la più famosa è quella di colui che fu probabilmente un divinatore o mago oppure guaritore – o tutto questo.

Andando nei dettagli, i corpi, conservati molto meglio delle mummie egiziane, sono di donne e di uomini dalla costituzione robusta, di pelle bianca, viso ovale con gli occhi chiari, pelle liscia, barba e capelli bruni, naso stretto: secondo l’antropometria moderna, caratteristiche simili appartengono ai tipi caucasici, quelli che una volta erano classificati come razza bianca. Le mummie sono abbigliate con stoffe e mantelli di tipo tartan, ossia di lana colorata a quadroni, con linee orizzontali e verticali che s’intersecano, come era in uso presso i Celti, poi evolutisi nei kilt scozzesi; vi sono anche stivali di cuoio, cappelli di feltro decorati con piume, gonne di corda per le donne. Tra gli oggetti funerari si trovano maschere di legno scolpito e panieri intrecciati. L’analisi del DNA mostra inequivocabilmente l’appartenenza di questi defunti al ceppo umano europeo.

Tra le mummie del Museo Provinciale del Xinjiang a Urumqi ne è visibile una appartenente a un uomo alto due metri, con barba rossa e capelli rosso-bruni con qualche spruzzata di bianco, labbra carnose, naso lungo, vestito con una tunica rossa a quadri; tra le mummie di tre donne, una ha il viso dipinto, con capelli castani chiari, pettinati e intrecciati, il corpo composto in una tunica funeraria rossa che nulla ha perduto del suo colore dopo tremila anni, e vi è anche un neonato avvolto in una sontuosa stoffa bruna legata con corde dipinte in rosso e blu, con gli occhi entrambi ricoperti da una pietra blu, e con accano un antenato del biberon dotato di un ciuccio fabbricato con la mammella di pecora. La somiglianza di queste mummie e del loro corredo funerario con analoghi ritrovamenti celti è strabiliante; il loro abbigliamento è stato posto in relazione con quello ritrovato nelle tombe di lavoratori delle miniere di sale in Austria, risalenti al 1300 a. C. E, a questo proposito, ricordiamo che proprio in Austria, ad Hallstatt, tra il 1200 e il 550 a. C. si sviluppò la cultura omonima, considerata la madre dei popoli celti, quelli che poi si diffusero nell’intera Europa dando vita a popolazioni – Galli,  Belgi, Liguri, Britanni continentali, Britanni insulari, Scozzesi, Gaelici, Iberici, etc – che fino alle conquiste romane dominarono vasti territori  colonizzandoli con costumi e lingue che hanno lasciato la loro impronta fino ai giorni nostri.

Per quanto riguarda i Tokariani e la Cina, l’ipotesi che circola sempre più frequentemente è che la prima dinastia storica cinese, i Xia (2070-1600 a. C.), sia stata proprio fondata dai Tokariani: vita agricola, ceramica, sistema patriarcale sono gli indicatori archeologici che hanno stimolato questa teoria portata avanti da studiosi spagnoli, francesi e americani. Lo stesso Huangdi, l’Imperatore Giallo, tra i mitici fondatori della civiltà cinese, altro non sarebbe che Ylainakte, il dio del tuono adorato dai Tokariani; e la metallurgia cinese del bronzo, la più sofisticata al mondo fra quelle praticate nell’antichità, sarebbe lo sviluppo al massimo grado della fabbricazione del bronzo dei Tokariani, come dimostrano alcuni particolari tecnici, la composizione delle leghe e le decorazioni.

La presenza di popoli ariani di razza bianca sta dunque rimettendo in questione il concetto che la civiltà cinese si sviluppò in modo autonomo o “in vaso chiuso”, come si usa dire; dall’organizzazione della società, all’addomesticamento del cavallo, alla metallurgia, all’artigianato tessile, qualcosa o molto probabilmente si deve a queste genti dai capelli rossi e biondi e dagli occhi verdi e blu. Il ritrovamento di un testo cinese del III secolo a. C., in cui si parla di un certo Huato che praticava la chirurgia previa anestesia con vino e oppio, fa pensare che anche la medicina tradizionale cinese – che aborriva la chirurgia ma utilizzava il vino e l’oppio tra le sostanze mediche – sia stata forse influenzata da apporti stranieri. In campo religioso, poi, non si è aperto ancora il vasto campo di studi sulla cultura druidica e sui megaliti europei in confronto con i megaliti cinesi (dolmen sepolcrali a Gaochang nel Xinjiang). Un vasto campo di ricerca è tutto ancora da arare e coltivare, e questo sarà possibile quando si metteranno da parte, sia in Occidente che in Oriente, i concetti di “nazionalismo”, di “barbaro”, di “popolo eletto” di “popolo ariano”.

A memoria di coloro che pateticamente la usano a sproposito, ricordiamo che la qualifica di “ariano” viene dalla parola sanscrita arya che significa “nobile”, qualificativo che i Celti e poi i Galli si attribuivano. E se i Celti arrivarono in Cina, possiamo dire che tutti al mondo, ma proprio tutti, siamo nobili.

Di Isaia Iannaccone*

*Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)