UPDATE Pakistan – Rivoluzione o pericolo per la democrazia?

In Uncategorized by Simone

La straordinaria mobilitazione popolare capitanata dal dotto musulmano sufi Qadri vuole rovesciare il governo di Islamabad e iniziare una rivoluzione democratica nel Paese. Ma dietro ai buoni propositi potrebbe esserci un complotto ordito dall’esercito e dalla Corte suprema.(UPDATED)
18 gennaio – Update

Dopo quattro giorni di "assedio" al parlamento, Tahir-ul-Qadri ed il governo pakistano hanno ragguinto un accordo. Nella tarda serata del 17 gennaio, una delegazione appuntata dal primo ministro Ashraf ha raggiunto Qadri alla manifestazione, firmando un accordo formale che comprende questi punti "vincolanti":

-l’esecutivo deve sciogliere il parlamento entro il 16 marzo ed indicare due persone "oneste ed imparziali", approvate dal partito guidato da Qadri, che andranno a traghettare il Paese verso le elezioni politiche, da tenersi entro 90 giorni dallo scioglimento del parlamento (quindi entro fine maggio).

-la Commissione elettorale, per 60 giorni dallo scioglimento del parlamento, valuterà e giudicherà tutti i candidati alle elezioni, applicando i criteri di esclusione elencati negli articoli 62 e 63 della Costituzione.

-la Commissione elettorale si impegna ad applicare alla lettera le linee guida della Costituzione e la sentenza della Corte suprema dell’8 giugno scorso circa i preparativi e lo svolgimento di elezioni "libere e democratiche".

La Dichiarazione di Islamabad, come è stata soprannominata dallo stesso Qadri, è stata descritta come una vittoria della democrazia nel Paese. Il ministro dell’Informazione Kaira, uno dei membri della delegazione mandata da Ashraf, rivolgendosi alla folla ed "al mondo", dopo la firma ha detto: "Questa è la faccia del Pakistan. Siamo contro il terrorismo, l’estremismo e la corruzione".

I partiti d’opposizione e la stampa sostengono invece sia stata la fine di una farsa. Le "concessioni" fatte dal governo al movimento di Qadri ricalcano sostanzialmente le dichiarazioni d’intenti già espresse da Zardari ed il resto del Ppp in passato.

Dati alla mano, quattro giorni di mobilitazione popolare hanno ottenuto dal governo la promessa di far svolgere elezioni libere e candidare deputati "puliti", in linea con gli articoli della Costituzione elencati sopra. Un po’ pochino per chiamarla una vittoria.

16 gennaio – La storia

Dal 14 gennaio una folla di diverse migliaia di persone è accampata fuori dal parlamento di Islamabad. I manifestanti chiedono dimissioni immediate dell’esecutivo e la creazione di un governo tecnico per “fare le riforme”, ripulire la politica dai corrotti e dai criminali e traghettare sano e salvo il Paese alle elezioni nazionali previste entro la fine di maggio.

A capo del movimento della società civile – espressione abusata ed approssimativa, ma per ora chiamiamolo così – figura il dottor Tahir-ul-Qadri, ex personalità politica minore tramutatasi in fervente mullah sufi. Dopo sei anni in Canada (Paese del quale ha ottenuto la cittadinanza) è tornato in Pakistan da poco più di un mese, sconquassando la già precaria stabilità della Terra dei Puri.

La mobilitazione di Qadri appare molto ben organizzata sia a livello logistico che economico. Con l’inizio della “Long March” i vari account Twitter riconducibili al Minhajul-ul-Quran, l’organizzazione internazionale capeggiata dal dottor Qadri, “ambasciatore di pace globale”, hanno martellato slogan e aggiornamenti in tempo reale sulla “rivoluzione civile” in atto in Pakistan.

L’accampamento e il trasporto delle decine di migliaia di sostenitori è stato possibile grazie a un dispendio di somme considerevoli, venute da chissà dove. Qadri sostiene di non essere appoggiato da nessun partito politico o organizzazione straniera e che tutti i soldi arrivano da donazioni e sottoscrizioni per la causa democratica del Pakistan.

La stampa internazionale inizia ad interessarsi al movimento del 14 gennaio, scomodando paragoni con la primavera araba, piazza Tahrir e il movimento anticorruzione indiano guidato da Anna Hazare. Ma nella polveriera Pakistan serpeggia il dubbio del tentativo di golpe.

Il successo della manifestazione di Qadri è coinciso infatti con l’ordine d’arresto formulato ieri dalla Corte suprema contro l’attuale primo ministro Pervez Ashraf. Ashraf, esponente del Pakistan People’s Party (Ppp), assieme ad altri 15 politici è accusato di corruzione nell’ambito di un’inchiesta riguardante le concessioni di centrali energetiche nel Paese.

Inoltre, sempre nell’ultima settimana, l’esacerbarsi degli scontri tra esercito indiano e pakistano lungo la Line of Control (LoC) in Kashmir ha messo nuovamente con le spalle al muro il governo del Ppp, accusato dalla controparte indiana di non esercitare alcun controllo sulle proprie forze armate.

La morte di due soldati indiani lo scorso 8 gennaio, uno dei quali pare sia stato anche decapitato, ha avuto un tragico effetto valanga sulle flebili relazioni diplomatiche indo-pakistane, scatenando i falchi di entrambi gli Stati e facendo temere un’escalation del conflitto che, per ora, pare più un esercizio di wishful thinking delle rispettive frange estremiste.

Al quadro desolante si aggiunge la tradizionale instabilità della provincia del Belucistan, al confine con l’Afghanistan, dove recentemente una cellula terroristica locale, con due attentati esplosivi, ha ucciso oltre 90 pakistani sciiti di etnia hazara.

Osannato da decine di migliaia di sostenitori, Qadri è entrato nel mirino della stampa pakistana, che lo descrive come una pedina al servizio di un “complotto” di cui farebbero parte l’esercito e i giudici della Corte suprema. Accanto alla necessità di ripulire la politica pakistana dagli esponenti corrotti – e l’impresa sarebbe titanica – Qadri ha infatti auspicato un governo tecnico di garanzia appuntato da esercito e giudici.

Una dichiarazione che in un Pakistan governato in diverse occasioni da presunti generali illuminati come Zia-ul-Haq e, più recentemente, Pervez Musharraf, ha fatto suonare il campanello d’allarme democratico.

Qadri, che ha categoricamente escluso la liaison con Corte suprema ed esercito, ha però incassato il plauso di Musharraf, ex generale ed ex presidente secondo molti ancora influente negli ambienti dell’esercito pakistano. I legami tra Qadri e Musharraf non sono inediti: il primo, nel 2002, fu eletto in parlamento proprio durante il governo del generale.

Raza Rumi, direttore del Jinnah Institute (think-tank di Islamabad), ritiene che Qadri, coscientemente o meno, stia facendo il gioco dell’establishment militare pakistano. L’esercito, secondo Rumi, vuole ritagliarsi nuovamente un ruolo di primo piano negli affari politici del Paese, ergendosi a "garante" della stabilità nazionale anche in vista di una maggiore importanza nello scacchiere internazionale del 2014, anno in cui le truppe americane dovrebbero lasciare definitivamente il vicino Afghanistan.

L’attuale governo del Ppp, pur al netto del passato molto discutibile del presidente Zardari, sta per centrare un obiettivo storico: diventare l’unico esecutivo nella storia del Pakistan a concludere un’intera legislatura.

A pochi mesi dalle elezioni, c’è da chiedersi se riuscirà nell’impresa.

[Foto credit: tribune.com.pk]