Sgomberata l’ultima occupazione della protesta ad Hong Kong. Intanto il tycoon delle comunicazioni Jimmy Lai si dimette da presidente di Next Media dopo il suo arresto. Avviato in via sperimentale un nuovo sistema di giudizio sulla pena capitale a Shanghai. I numeri delle sigarette elettroniche. Più investimenti cinesi che indiani in Nepal.OCCUPY HK – La protesta cambia forma
Stamane è stata sgomberata l’ultima (e poco popolata) occupazione della protesta che dura da quasi tre mesi. Nel frattempo un esponente di spicco del movimento pro democrazia, il tycoon Jimmy Lai, ha rassegnato le dimissioni da presidente del gruppo Next Media, dopo essere stato arrestato e rilasciato giovedì scorso assieme ad altre 249 persone.
Il segretario generale della Federazione degli studenti Alex Chow ha annunciato oggi che il movimento prenderà una forma diversa: la “non-cooperazione”. Gli studenti chiedono alla popolazione di pagare le tasse e gli affitti delle case popolare in maniera dilazionata.
Vorrebbero che si parcellizzassero in rate da 689 o 6,89 HK$ (circa 70 o 7 euro), un numero che fa direttamente riferimento al numero di voti con cui è stato eletto il governatore Leung.
“Mentre i governo non ha alcun piano sui tempi per il suffragio universale, noi lo abbiamo. Vogliamo combatere e sfidare la legittimità di questo governo” ha dichiarato ai media Alex Chow. A HK ci sono 1,5 milioni di contribuenti e più due milioni di inquilini di case popolari.
PENA DI MORTE E GIUSTIZIA
A Shanghai viene per la prima volta sperimentato un consiglio composto da 15 personalità scelte nel mondo delle amministrazioni e dell’accademia che avrà il compito di giudicare, scegliere e eventualmente punire giudici e pubblici ministeri.
Nel frattempo la corte delle Mongolia interna fa marcia indietro su un caso di 18 anni fa. Un ragazzo di 18 anni condannato a morte per stupro nel 1996 era innocente. Un altro uomo ha confessato per quel crimine. Non è il primo caso in cui la giustizia ammette i propri errori anche in caso di condanne capitali.
La pubblicazione sempre più frequente di questo tipo di notizie probabilmente è riconducibile al generale ripensamento sulla giustizia innescato durante il terzo plenum di novembre. La Cina attualmente applica la pena di morte a 55 reati, ma vorrebbe presto ridurli a 46.
Il numero dei condannati giustiziati ogni anno è tenuto segreto dallo Stato, ma secondo Dui Hua nel 2013 ci sono state 2400 esecuzioni (contro le 778 complessive del resto del mondo). Comunque il 20 per cento in meno rispetto all’anno precedente e quasi l’80 per cento rispetto al 2002, quando si calcola che in Cina siano state giustiziate 12mila persone.
SIGARETTE ELETTRONICHE
Le stime parlano di oltre 300 milioni di sigarette elettroniche prodotte in Cina e vendute quest’anno in Europa e Stati Uniti.
Un lungo reportage del NYT descrive le condizioni dell’industria, in gran parte concentrata in un distretto della megalopoli meridionale di Shenzhen. Secondo quanto si legge la gran parte delle fabbriche coinvolte fa ogni sforzo per garantire gli standard del prodotto finale, ma il controllo qualità si scontra con la strumentazione per effettuare i test e le componenti prodotte altrove.
Il punto è che l’industria delle sigarette elettroniche si è sviluppata principalmente in Cina sfruttando un vuoto legislativo al riguardo. Un recente rapporto dell’Oms afferma che bisogna essere cauti con la diffusione e l’utilizzo di questo tipo di prodotti, perché non solo non è sicuro che aiuti a smettere di fumare ma ancora non sono stati fatti tutti gli accertamenti sui rischi che potrebbe comportare sulla salute.
L’industria delle sigarette elettroniche è nata da una fabbrica cinese nel 2005. Oggi ci sono 466 marche differenti che l’Oms stima muovano circa 3 miliardi di dollari.
LA CINA IN NEPAL SUPERA L’INDIA
Gli investimenti cinesi in Nepal sono stati di 73 milioni di dollari nei primi sette mesi di quest’anno superando per la prima volta quelli indiani (65 milioni). Dal 2006 la Cina sta lentamente erodendo l’influenza commerciale indiana sul Nepal che in questi 8 anni è calata dal 60 al 53 per cento (mentree i commerci con la Cina sono cresciuti dal 3 al 31 per cento). E la ricetta è sempre la stessa: infrastrutture e fabbriche.
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