Oggi in Cina – Hong Kong, i numeri della protesta

In by Gabriele Battaglia

I numeri della manifestazione di Hong Kong a favore della democrazia nell’ex colonia britannica. La vicenda del generale in pensione Xu Caihou, ex membro del Politburo e alto funzionario dell’esercito. Un modello Hong Kong per la campagna anticorruzione. Prestiti a tassi agevolati per i risparmiatori. Accordo di libero scambio tra Cina e Svizzera. LA MANIFESTAZIONE DI HONG KONG

510mila secondo gli organizzatori, 92mila secondo la questura. Come nelle migliori tradizioni. Ma in entrambi i casi, la manifestazione del 1° luglio ad Hong Kong ha comunque superato i numeri degli anni passati. Nessun incidente di rilievo, ma nella mattinata di mercoledì la polizia ha comunicato 511 arresti per “assemblea non organizzata”. Si tratta delle persone che alle 3 di notte hanno improvvisato un sit-in nella zona degli affari dell’hub economico d’estremo Oriente: l’”Occupy Central” vera e propria.

Questo è il nome dato al movimento che negli ultimi mesi lotta per ottenere l’elezione diretta del “chief executive” di Hong Kong, di fatto il governatore della città passata alla Cina con l’handover del 1997 e in base alla formula “un Paese, due sistemi”. In vista delle prossime elezioni del 2017, circa 800mila hongkonghesi hanno partecipato a un referendum informale che chiedeva candidati espressione della società civile e non preventivamente passati allo screening di Pechino, come avviene ora. Secondo un sondaggio del quotidiano locale, il South China Morning Post, il 65 per cento dei partecipanti alla manifestazione pone quell’obiettivo in cima alle proprie priorità.

Oltre il 60 per cento è inoltre preoccupato per il “libro bianco” pubblicato da Pechino il mese scorso, che annuncerebbe una futura accentuazione del controllo sull’autonomia della regione amministrativa speciale. I media cinesi commentano che proprio il successo della manifestazione dimostra come Hong Kong goda delle più ampie libertà politiche. Nella piattaforma della manifestazione, anche la protesta contro un grande progetto di Sviluppo immobiliare nella zona dei “Nuovi Territori”.

IL SOLDATO DECAPITATO

Fioccano le interpretazioni sull’ultima decapitazione eccellente a Pechino, quella del generale in pensione Xu Caihou, già membro del Politburo, vice presidente della commissione militare centrale e ufficiale incaricato di supervisionare le nomine all’interno dell’Esercito Popolare di Liberazione. È stato espulso dal Partito ed è il militare di più alto grado gerarchico caduto in disgrazia nell’ultimo quarto di secolo.

La domanda sulla bocca di tutti è: la persecuzione di Xu rivela una forza o una debolezza della nuova leadership di Xi Jinping? Le risposte sembrano optare per la prima ipotesi. Sui media cinesi si legge che “Xu ha approfittato della sua carica per favorire alcune promozioni e ha ricevuto tangenti che gli sono state versate personalmente e attraverso i suoi familiari”. Una spiegazione insolitamente dettagliata che farebbe pensare alla volontà della leadership civile di inviare un messaggio circa il controllo sull’esercito da parte del Partito.

Si dice inoltre che Xu sia malato terminale di cancro e che sia stato prelevato dal suo letto d’ospedale per affrontare un interrogatorio, il che farebbe pensare a un messaggio a urbi et orbi: chi sgarra paga, quali siano le sue condizioni.
Va aggiunto che Xu era in pensione: finora una “buona norma” introdotta da Deng Xiaoping imponeva di “dimenticare” chi fosse ormai fuori dai giochi. Sembrerebbe quindi che Xi Jinping voglia emanciparsi anche dall’eredità del “Piccolo Timoniere” e dettare le proprie norme.

Non solo: Xu è un protetto di Jiang Zemin, il mammasantissima della politica cinese, l’”Andreotti di Shanghai”, l’uomo incaricato da Deng di guidare la transizione dopo Tian’anmen, l’inventore delle “tre rappresentanze”, colui che ha messo il suo marchio ineludibile su tutte le successive leadership. A marzo aveva “consigliato” Xi Jinping di non spingersi troppo in là con la sua campagna anticorruzione e, puntualmente, a marzo è scattata l’indagine sul suo protetto Xu. 

Xi Jinping sembra volere aprire una nuova stagione tutta sua, liberandosi dal peso di un passato ingombrante.

MODELLO HONG KONG PER L’ANTICORRUZIONE

Funzionari cinesi starebbero studiando il “modello Hong Kong” di lotta alla corruzione, che in pochi anni ha portato l’ex colonia britannica, già capitale asiatica del vizio e del malaffare, a essere la quindicesima classificata su 177 nazioni nella speciale classifica di Transparency International. Il merito sembra essere della Independent Commission Against Corruption, un organismo che risponde solo al “chief executive” locale e che può arrestare chiunque. Tony Kwok, l’ex direttore dell’agenzia va periodicamente in tournée in Cina e in mezzo mondo per insegnare i propri metodi e oggi consiglia Pechino di centralizzare di più i controlli, esautorando di fatto i governi locali. Ma in Cina c’è un altro problema: il controllo “politico” del potere giudiziario limitano la lotta alla corruzione, non esiste una “Independent” Commission.

FINE DELLA REPRESSIONE FINANZIARIA?

I risparmiatori cinesi se la passano meglio. Fino a poco tempo fa, chi avesse un gruzzolo da parte era penalizzato dalle scarse opportunità di investimento e dai bassi interessi dei depositi bancari, calmierati “politicamente” per favorire le imprese che necessitavano di prestiti. Ora, i nuovi prodotti di gestione patrimoniale messi a disposizione dalle stesse banche sembrano garantire maggiori ritorni e la cosiddetta “repressione finanziaria” si è ridotta. Sul piano più generale, questo significa un trasferimento di ricchezza dalle grandi imprese di Stato alle famiglie cinesi, un notevole disincentivo alla speculazione immobiliare e anche una maggiore competizione nel settore del credito. Tutti aspetti fondamentali per un Paese che vuole trasformarsi da “fabbrica del mondo” a economia fondata sui consumi interni. Eppur si muove.

CINA-SVIZZERA SCAMBISTE

Entra in vigore il trattato di libero scambio tra Cina e Svizzera. In base all’accordo, il 99,7 per cento delle merci che dalla Cina vanno in Svizzera e l’84,2 per cento di quelle che vanno in senso inverso sarà esentato dai dazi doganali. Altri dazi saranno ridotti sensibilmente. La Cina è il maggior partner commerciale della Svizzera in Asia, mentre la Svizzera è per la Cina il quinto partner commerciale in Europa. I rapporti bilaterali di favore sono uno degli strumenti tipici della politica economica “win-win” cinese sui mercati mondiali. E, con la reciproca soddisfazione economica, Pechino cuce anche relazioni politiche: se si cresce insieme, non si finirà certo a farsi la guerra.