Oggi in Asia -Tokyo spenderà di più in armi

In by Simone

Il governo giapponese ha approvato un incremento della spesa militare del 5 per cento da qui al 2019. A preoccupare è soprattutto il crescente potenziale militare cinese. Negli Stati Uniti si consuma uno scontro diplomatico tra Washington e Delhi sull’arresto di una dipendente del consolato indiano a New York. Mentre il segretario di Stato americano John Kerry è in visita a Manila. GIAPPONE – Più 5 per cento in spese militari

Il governo Abe ha approvato un aumento della spesa militare del Giappone del 5 per cento nei prossimi 5 anni. L’aumento della spesa è giustificato dall’acquisto di nuovi equipaggiamenti tra cui droni, mezzi anfibi e velivoli che andranno ad arricchire il già avanzatissimo comparto difesa delle Forze di autodifesa nazionali. Tokyo prevede che la spesa sarà di 24,7 miliardi di yen (circa 170 milioni di euro).

L’incremento di spesa arriva in un momento delicato sia sul fronte estero sia sul fronte interno. Da una parte c’è la Cina, il cui crescente arsenale militare preoccupa il governo giapponese. Dall’altra il governo Abe punta a rafforzare il comparto sicurezza e a costituire un Consiglio di difesa nazionale sul modello del National Security Council americano (Nsc) a dispetto dei vincoli costituzionali imposti dall’articolo 9 della Carta postbellica: il Giappone può esclusivamente mantenere truppe a scopo di difesa del territorio nazionale.

Il primo passo verso un Nsc giapponese è già stato fatto con la discussa approvazione, poco più di una settimana fa, della legge sui segreti specifici.
Secondo le nuove linee guida della difesa uscite oggi da una riunione di gabinetto e riportate dall’agenzia Jiji “sarà creata una forza di difesa congiunta dinamica” con l’obiettivo di una migliore cooperazione tra i diversi comparti dell’esercito.

“La Cina”, si legge ancora nelle linee guida, “sta prendendo iniziative pericolose che potrebbero portare a conseguenze inattese”. Secondo alcuni osservatori, dietro alla decisione dell’esecutivo ci sarebbe un’agenda di governo marcatamente nazionalista. E l’indice di gradimento del primo ministro potrebbe risentirne.

INDIA – Scontro diplomatico Washington-Delhi

La scorsa settimana le autorità di New York City hanno arrestato Devyani Khobragade, diplomatica indiana impiegata presso il consolato di New York, con l’accusa di frode e sfruttamento della propria domestica indiana, pagata al di sotto dello stipendio minimo fissato dalle leggi locali.
Khobragade, si apprende, è stata ammanettata in pubblico, ispezionata e rinchiusa in una cella "con drogati" fino al pagamento della cauzione di 250mila dollari.

L’azione intrapresa dalle autorità statunitensi ha mandato su tutte le furie le istituzioni indiane, che dopo aver fatto saltare una serie di incontri di alto livello e sporto reclamo formale alla controparte Usa, oggi sono passate a misure vendicative: traffico ristabilito intorno all’ambasciata Usa a Delhi e apertura di un’indagine circa i dettagli contrattuali del personale indiano impiegato dal corpo diplomatico americano nel paese.

Khobrogade, che si è dichiarata innocente, secondo Delhi è stata arrestata violendo le leggi sull’immunità diplomatica; un caso che ricorda molto il trattamento riservato alcuni mesi fa all’ambasciatore italiano in India – che però non fu mai arrestato – durante la vicenda dei due marò.

FILIPPINE – Arriva John Kerry

Il segretario di Stato americano, John Kerry, è arrivato nelle Filippine con l’obiettivo di far progredire le trattative per un accordo che permetta di far stazionare un maggior numero di truppe e mezzi Usa nell’arcipelago.

Il capo della diplomazia di Washington, scrive Voice of America, si è impegnato a fornire 32 milioni di dollari alle nazioni del Sudest asiatico per tutelare i loro territori nelle dispute contro la Cina. Kerry arriva nell’arcipelago, ed ex colonia Usa, quando è trascorso un mese e mezzo dal devastante passaggio del tifone Haiyan, che ha fatto almeno 6.000 morti nelle Filippine centrali.

Proprio il sostegno dato dai militari Usa alle operazioni di soccorso, che hanno messo una pezza alle carenze dell’intervento di Manila, sembra aver spianato la strada a un eventuale accordo, fino a una settimana prima del tifone considerato troppo invasivo per la sovranità filippina.

Nel 1991 il senato di Manila votò per la chiusura di tutte le basi statunitensi nel Paese, compresa quella della baia di Subic, la più grande base navale fuori dai confini americani, sono trascorsi ventidue anni. Da anni il governo filippino guarda però a Washington come a un alleato nelle tensioni che la oppongono al Pechino nelle dispute nel Mar cinese meridionale.

[Foto credits: cfr.org]