Nove condanne a morte eseguite nel Xinjiang

In by Simone

Nove persone sono state giustiziate ieri nella regione del Xinjiang, a seguito del loro coinvolgimento negli scontri del luglio scorso. Le esecuzioni sono la naturale conseguenza delle sentenze emesse dal tribunale supremo del popolo. E’ stato il portavoce del governo del Xinjiang, regione del nord ovest cinese, a ufficializzare la notizia: “Il primo gruppo di nove persone condannate a morte di recente, è stato giustiziato, con l’approvazione della Corte Suprema”.

I nove imputati sono stati accusati di aver commesso omicidi e altri crimini durante i tumulti in cui sono morte oltre 200 persone. Altre venti persone potrebbero presto avere lo stesso destino. In totale ad oggi sono 21 gli uighuri condannati a morte per gli scontri etnici di Urumqi che infiammarono la regione cinese e non solo (Hu Jintao si vide costretto a tornare frettolosamente in Cina, dall’Italia, dove era in corso il g8).

Dilxat Raxit, un attivista uighura portavoce del Congresso Mondiale Uighuro con sede in Germania, ha condannato le esecuzioni definendole “politiche”, sottolineando la mancanza di un processo equo: “non pensiamo che in Cina si possa avere un processo giusto: il verdetto è stato politico”, aggiungendo la delusione sul comportamento di Usa e Unione Europea, “che non hanno messo alcuna pressione sulla Cina”.

I circa otto milioni di abitanti del Xinjiang di lingua turca, gli uiguri, da tempo lamentano l’oppressione politica e culturale da parte delle autorità cinesi: per questo motivo, da anni, le tensioni sono tante nella regione. A questo va aggiunto il massiccio afflusso dei cinesi han che hanno ridotto, e di molto, le percentuali di abitanti uighuri della regione.

Per Pechino invece, gli uighuri attenterebbero all’unità territoriale della Cina, avendo mire indipendentiste. Secondo gli uighuri questa minaccia giustificherebbe una rigidità di controllo su una regione preziosa per la Cina: per le risorse e per i suoi confini.