Nel frattempo, si sono concluse le due sessioni

In by Simone

Mentre in Giappone scattava l'allarme nucleare, in una Cina silente al riguardo e apparentemente tranquilla sui rischi di contaminazione in patria, si sono conclusi i lavori dell'Assemblea Nazionale, appuntamento annuale del “parlamento” cinese, quest'anno radunato per decidere i dettagli del futuro piano quinquennale, il dodicesimo.

 

Ripetere aiuta a spiegare i concetti. Nella conferenza stampa di chiusura della sessione annuale dell'Assemblea nazionale del popolo (Anp), il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha nuovamente sottolineato la necessità per la Cina di cambiamenti istituzionali. “Niente è immutabile”, ha detto il premier, “i successi economici raggiunti dalla Cina potrebbero andare persi senza una riforma politica”. Una strategia che come tutte le riforme attuate oltre la Muraglia negli ultimi trent'anni dovrà essere graduale e condotta sotto la supervisione del Partito comunista, ha aggiunto.“Quando il popolo riesce ad amministrare un villaggio riuscirà anche ad amministrare una città e poi una contea”, ha detto come ad affermare che le elezioni nei villaggi rurali potrebbero essere estese anche ad altre zone. D'altronde: “Se vogliamo rispondere alle lamentele dei cittadini dobbiamo almeno permettere loro di criticare il governo”.Il discorso è stato quasi una risposta all'ala più conservatrice del Pcc e alle parole del presidente dell'Anp, Wu Bangguo. Soltanto cinque giorni fa, nel suo discorso ai 3.000 delegati dell'Assemblea, Wu aveva escluso ogni tipo di cambiamento. 

 

“Sulla base delle condizioni in cui si trova oggi la Cina ci assumiamo l'impegno solenne a non rivolgerci mai verso un modello multipartitico”, aveva promesso il numero due del Partito -dopo il segretario Hu Jintao- con motivazioni molto simili a quelle del primo ministro. “Se vacillassimo”, ha spiegato, “ i frutti dello sviluppo raggiunto andrebbero persi e il Paese potrebbe persino cadere nell'abisso di una guerra civile”. La necessità di non meglio precisate riforme è diventata una costante nei discorsi del primo ministro, cui è stato dato il soprannome di nonno Wen per la sua vicinanza alla popolazione nei momenti di difficoltà, come in caso di alluvioni o terremoti. 

 

Lo scorso agosto a Shenzhen il premier affermò che il Paese avrebbe dovuto accelerare il processo di riforme per aumentare i diritti dei cittadini e il loro controllo sullo Stato. E ancora a novembre Wen rilasciò parole incoraggianti e di apertura in un'intervista alla CNN, censurata dalla dirigenza cinese, allora alle prese con l'assegnazione del premio Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo.“Ritengo che Wen sia veramente convinto della necessità per la Cina di intraprendere riforme per affrontare le sfide che le si presentano davanti”, ha detto alla CNN il professor Liu Yawei, direttore del programma per la Cina del Carter Center, “Qualche altro esponente della dirigenza può anche condividere le sue idee, che tuttavia non godono di consenso. 

 

Lo fa per distinguersi dagli altri e costruirsi un sostegno popolare. Ma è sempre meglio che stare in silenzio”. Isolato o meno Wen Jiabao resta comunque un leader di primo piano e in conferenza stampa ha voluto respingere ogni analogia tra la situazione cinese e le rivolte in Nord Africa e Medio Oriente. “Fare paragoni è inopportuno”, ha sottolineato. Il suo governo sembra particolarmente sensibile al diffondersi su internet di un appello che invita i cinesi a unirsi a una serie di pacifiche “rivoluzioni dei gelsomini” ispirate alle manifestazioni in Tunisia e in Egitto. Per adesso la partecipazione è stata scarsa, ma sui giornali sono apparsi numerosi editoriali contro “chi vuole portare il caos”. Per questo, come enfatizzato dall'economista Zhao Xiyun, garantire la stabilità sociale è il fattore più importante per il Pcc. Ma per farlo, ha spiegato al Christian Science Monitor, il professor Michael Pettis, dell'Università di Pechino, bisognerà cambiare dalle fondamenta il modello di crescita cinese.