Mondo Asean – Golpe in Myanmar, Mar Cinese Meridionale e Malesia

In Mondo Asean, Sud Est Asiatico by Redazione

L’Associazione Italia-Asean nasce nel 2015. La sua missione è quella di rafforzare il legame e rendere più evidenti le reciproche opportunità, sia per le imprese che per le istituzioni. Qui pubblichiamo la newsletter Italia-Asean del 12 febbraio.

Intervista all’On. Fassino sul recente golpe in Myanmar

Piero Fassino, già inviato UE in Myanmar nel 2007 e Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, ci spiega il perché del golpe e delinea alcune tendenze del paese per capire la situazione locale e quali i possibili sviluppi.

Che ruolo giocano i militari nel Paese? Ci si poteva aspettare un loro ritorno al potere? Davvero si pensava avrebbero lasciato il potere definitivamente ai civili? Davvero i militari lasceranno il potere fra un anno?

Per rispondere a queste domande
bisogna andare alle radici dell’indipendenza birmana e della guerra di liberazione contro l’occupazione giapponese nella Seconda Guerra Mondiale guidata con successo proprio dal generale Aung San, il padre di Aung San Suu Kyi. Intorno ad Aung San si formò un gruppo dirigente costituito da ufficiali, alcuni dei quali ordirono il complotto che portò all’uccisione dello stesso Aung San alla vigilia dell’indipendenza.

Da allora l’esercito è parte integrante della storia e dell’identità nazionale. Non bisogna dimenticare poi che, sebbene la stragrande maggioranza della popolazione sia di fede buddista, la Birmania è uno stato non solo multireligioso, ma anche multietnico e plurilinguistico, con assetto federale, con spinte autonomistiche – e anche secessionistiche – che hanno consentito alle forze armate di presentarsi come i garanti dell’unità nazionale.

Altro punto di analisi da non trascurare è che la transizione alla democrazia non è avvenuta per una sconfitta della giunta militare, ma con un processo octroye’ dalle autorità militari che hanno accettato la formazione di un governo civile e l’avvio di una transizione democratica in cambio di una riserva del 25% dei seggi parlamentari e del mantenimento di tre ministeri chiave: difesa, interni e appunto coesione nazionale. Processo che sia la comunità internazionale, sia Aung San Suu Kyi hanno accettato scommettendo sul fatto che la gradualità della transizione avrebbe via via ridotto il peso dei militari e favorito una completa e compiuta democratizzazione del Paese. I fatti di queste settimane hanno spezzato quel disegno. Ed è difficile credere che al termine dello stato d’emergenza, ovvero tra un anno, si ritorni ad una dinamica democratica.

Aung San Suu Kyi governa dal 2015 e ha dovuto affrontare il problema dei Rohingya. Su quest’ultimo tema è stata molto criticata dalla comunità internazionale e ha perso credibilità (anche alla luce del suo essere stata un campione dei diritti per il quale aveva vinto il Nobel). Può aver messo da parte i principi per agire in modo realista? Ovvero sacrificare qualcosa per mostrarsi in grado di governare il Paese e quindi essere un attore politico responsabile agli occhi dei militari? Alla fine si può dire che la sua azione non abbia pagato e ne sia uscita screditata?

Aung San Suu Kyi, liberata a fine 2010, è entrata in Parlamento con le elezioni suppletive del 2012 in cui si rinnovarono 42 seggi, la gran parte conquistati dall’NLD. Successo replicato alle elezioni del 2015 che diedero alla Lega Nazionale per la Democrazia una larga maggioranza assoluta che le consenti di formare il primo governo democratico e avviare una transizione che ha liberato tutti i detenuti per ragioni politiche, abolire ogni forma di censura, aprire il Paese a investimenti stranieri, modernizzare il Paese e concludere accordi di pacificazione e autonomia con le minoranze etniche. La repressione dei Rohingya è stata una iniziativa dei generali che, sfruttando la generale ostilità della popolazione birmana verso i Rohiynga, ha fatto fare ad Aung San Suu Kyi la parte del carnefice quando invece l’azione dei militari è stata da lei totalmente subita. Come abbiamo visto, secondo la Costituzione birmana i ministeri della difesa e degli interni, non rispondono al Parlamento ma alle gerarchie militari. Contrastare apertamente i generali voleva dire opporsi a un sentimento diffuso di ostilità verso i Rohingya presente nell’opinione pubblica nazionale; non contrastare i generali ha voluto dire opporsi a un sentimento diffuso nell’opinione pubblica internazionale giustamente sensibile alla tutela delle minoranze e dei diritti umani. La prudenza manifestata da Aung San Suu Kyi in quel frangente non è frutto di cinismo o insensibilità, ma della consapevolezza di stare dentro a un processo difficile e incompiuto che come tale conosce dei rallentamenti, ma del quale non si può abbandonare la guida. Questa complessità è stata del tutto sottovalutata in Occidente che ha assunto posizioni che hanno avuto l’unico effetto di indebolire Aung San Suu Kyi.

E quindi la severità dell’Occidente è stata controproducente?

Sì. La scelta del Parlamento Europeo di ritirare il Premio Sacharov all’esponente politica birmana è stata una decisione moralistica e profondamente impolitica, assunta senza valutarne le conseguenze. Max Weber ci aveva ammonito da questo rischio. La politica non può essere guidata soltanto dall’etica della testimonianza, che valuta solo la mera coerenza dei principi. In politica vale l’etica della responsabilità che non si ferma alla coincidenza tra scelte e valori, ma si interroga sulle conseguenze di quelle scelte. Ora non vi è dubbio che aver voluto “punire” la prudenza di Aung San Suu Kyi è stata letta dai generali come una forma di isolamento internazionale della Lady, contro la quale dunque si poteva agire. E se il colpo di stato ha una connessione con la vicenda Rohingya, non è per la “prudenza” di Aung San Suu Kyi, ma per il fatto che il generale a capo del golpe sia sotto inchiesta da parte del tribunale penale internazionale per i diritti umani proprio perché ritenuto responsabile della repressione dei Rohingya.

Dalla sua esperienza di inviato in Myanmar cosa ha capito della politica e società locale? Ritiene che il Paese sia pronto per una democratizzazione? Ci sono le basi e se si quanto sono solide per una democrazia?

I militari hanno tenuto per 60 anni la popolazione in uno stato di oppressione politica e di arretratezza economica e culturale. Ad esempio il sentimento ostile nei confronti dei Rohingya, su cui come abbiamo visto hanno speculato i generali, è un segno di arretratezza. Ma non ci si può fermare solo al dato negativo. Le conquiste democratiche e civili avvengono per tappe e dentro un processo. La mia esperienza mi dice che il Paese è pronto all’apertura al mondo e alla democratizzazione. E ha dato ampiamente prova di questa maturazione democratica alle ultime elezioni, quelle dell’8 novembre quando il percorso intrapreso dalla Lega Democratica di Aung San Suu Kyi è stato fortemente confermato da una grande maggioranza della popolazione e le manifestazioni di piazza di questi giorni che sfidano il regime militare dicono bene di questa maturazione e di questa consapevolezza acquisita.

Che influenza può avere l’ASEAN? Sappiamo che uno dei principi dell’ASEAN è proprio quello di non interferenza negli affari degli Stati membri, ma è una politica che potrebbe cambiare? Potrebbe l’ASEAN “suggerire” un ritorno al processo democratico? In fondo il Paese era stato criticato per l’affare Rohingya e molti Stati (Indonesia in primis) si erano spesi per la democratizzazione in passato.

Il principio della non interferenza negli affari degli altri Stati in Asia è una regola applicata da tutti i governi. Nonostante ciò, agire sui Paesi asiatici è indispensabile, puntando sia sui vicini della Birmania, sia sull’ASEAN, l’istituzione multilaterale nel Sud-Est asiatico. E l’Associazione di amicizia Italia-ASEAN può avere un ruolo importante da svolgere. La Birmania si trova a un bivio. Essere attratta nell’orbita cinese con un ruolo di sparring partner sostanzialmente subalterno, oppure tuffarsi convintamente nel partenariato dell’Indo-Pacifico, dove sarebbe un soggetto alla pari con tutti gli altri. L’ASEAN è un esempio di multilateralismo economico che vuol dire pace e apertura. Certo abbiamo visto che cooperazione economica non porta immediatamente alla democrazia e allo stato di diritto. Ma i mercati aperti, se non sono una condizione sufficiente, sono comunque una condizione necessaria e propedeutica a qualsiasi sviluppo in senso dell’ampliamento delle libertà civili e politiche delle popolazioni di tutti i Paesi del mondo. Compresa ovviamente quella del Myanmar.

Che ruolo possono giocare l’UE, gli USA con il nuovo Presidente Biden e la comunità internazionale in generale per favorire la democrazia e fare pressione sui militari?

Dobbiamo considerare che l’80 % degli scambi del Myanmar avvengono con i Paesi vicini, in gran parte con la Cina e l’ASEAN. Mentre con l’Europa e gli USA l’interscambio rappresenta meno del 20%. Ergo una classica risposta occidentale come le sanzioni avrebbe un’incidenza limitata e peraltro in Asia nessun Paese adotta misure sanzionatorie. Anche qui ritorna la distinzione weberiana tra etica della testimonianza e etica delle responsabilità. La storia ci insegna che le conseguenze di comportamenti sanzionatori da parte della comunità internazionale hanno spesso come conseguenza il consolidamento dei regimi autoritari e repressivi e non il loro indebolimento. Per questo ciò che possono fare l’Unione Europea e gli USA è intraprendere una diplomazia triangolare che agisca sia su organismi multilaterali come l’ASEAN, sia sull’influenza della Cina e di alcuni Paesi della regione. Ricordo bene che nel 2010-11 nello smuovere i militari birmani ad accettare la transizione ebbe un ruolo importante l’Indonesia.

Where China meets India: quanto pesa la geopolitica nei destini del Myanmar?

Come si evince da questa sua citazione, che è il titolo di una importante pubblicazione del politologo Thant Myint-U uscita proprio 10 anni fa, la Birmania è l’unico Stato del Sud-Est asiatico che confina e per un lungo tratto, sia con la Cina che con l’India. Questo conferisce al Paese un’importanza geopolitica e geoeconomica fondamentale. Se pensiamo alle tensioni geopolitiche che attraversano il Mar Cinese Meridionale e che contrappongono la Cina ora a Taiwan, ora alle Filippine, ora all’Indonesia, è facile vedere come la Birmania abbia per la Cina un interesse strategico essendo la via più diretta per accedere all’Oceano Indiano, senza dover passare attraverso il Mar Cinese Meridionale e soprattutto lo stretto di Malacca. Non solo, ma la Cina è il principale partner commerciale della Birmania e ha programmato grandi investimenti infrastrutturali nel Paese. E la Birmania è inserita nei percorsi della nuova Via della Seta. Del resto non è certo passata inosservata la visita del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi in Birmania pochi giorni prima del golpe, segno di un’attenzione speciale che Pechino ha dimostrato e continua a dimostrare per i destini del Myanmar. È proprio perché la Cina ha interesse a una Birmania stabile, bisogna convincere Pechino che una Birmania sotto il tallone dei generali rischia di essere assai meno stabile di una Birmania democratica. Così come in questi anni di apertura è cresciuta la presenza dell’India. Non va mai dimenticato che la Birmania è ricca di risorse naturali: è seduta su una gigantesca nuvola di gas; gode di consistenti risorse idriche che gli consentirebbero un’agricoltura fiorente; è leader nelle gemme preziose; beneficia del miglior tek per le costruzioni navali; è ricco di molte materie prime. È importante che anche l’Occidente mostri un’attenzione all’altezza della situazione e usi la leva degli investimenti per impedire una involuzione autoritaria della Birmania.

Intervista a cura di Niccolò Camponi

Continuano le tensioni nel Mar Cinese Meridionale

La Marina degli Stati Uniti ha condotto la sua prima “Operazione di libertà di navigazione” (FONOP) sotto la nuova Amministrazione Biden il 5 febbraio. Secondo un comunicato della Settima Flotta degli Stati Uniti per gli affari pubblici, il cacciatorpediniere USS John S. McCain, ha effettuato una FONOP vicino alle isole Paracel, terre contese nel Mar Cinese Meridionale, al fine di sostenere il diritto di libero passaggio secondo la legge internazionale, anche per le navi militari, di fronte alle restrizioni imposte da Cina, Taiwan e Vietnam, i tre Paesi che rivendicano sovranità territoriale sulle isole. L’esercito cinese ha condannato duramente la mossa di Washington, affermando di aver inviato unità navali e aeree per seguire e monitorare la nave americana. Pechino ha infatti varato pochi giorni fa una nuova legge in materia di sicurezza marittima che autorizza la propria guardia costiera ad intervenire duramente contro le imbarcazioni straniere che si avventurano in zone territoriali rivendicate dalla Cina e abbattere strutture straniere costruite su zone contese, legge che ha scatenato molti dubbi e polemiche a livello internazionale. Durante il quarto vertice online “2 + 2” Giappone-Regno Unito, ad esempio, i Ministri degli Esteri e della Difesa nipponici, Motegi Toshimitsu e Kishi Nobuo, hanno espresso forti preoccupazioni ai loro omologhi britannici Dominic Raab e Ben Wallace sulla nuova legge marittima cinese. Il Giappone ha intensificato la cooperazione in materia di difesa con gli Stati Uniti, l’Australia, i Paesi ASEAN e, naturalmente, il Regno Unito, vedendo la crescente influenza e l’attività militare della Cina nella regione come una seria minaccia alla sicurezza internazionale. Per il momento, quindi, l’Amministrazione Biden sembra mantenere una certa linea di continuità politica con la Presidenza Trump nei confronti della Cina e non accenna a frenare le operazioni militari nel Mar Cinese Meridionale e mantenere una presenza stabile per rassicurare gli alleati della regione.

 

La Malesia prepara il rilancio nel post pandemia

All’inizio di gennaio, la Malesia ha lanciato il Malaysian Economic and Rakyat’s Protection Assistance Package (PERMAI) l’ultimo di una lunga serie di interventi economici, sgravi fiscali e sovvenzioni salariali che Kuala Lumpur, dall’esplosione della pandemia di coronavirus, ha varato per sostenere cittadini e imprese. Il pacchetto di stimoli PERMAI ha un valore complessivo di circa 4 miliardi di dollari e si aggiunge ai 60 miliardi già stanziati dal governo malese da marzo 2020 ad oggi. Nel piano sono previste sovvenzioni speciali a circa 500.000 piccole e medie imprese che hanno sofferto più delle grandi aziende i duri colpi della pandemia e le restrizioni. Per sostenere le microimprese, invece, il governo malese accelererà l’attuazione di un programma di microcredito valutato complessivamente a circa 245 milioni di dollari, quasi il doppio di quanto fosse nei piani iniziali. PERMAI ha infine esteso fino alla fine del 2021 gli sgravi fiscali previsti già dal precedente pacchetto di stimoli all’economia varato il 9 giugno 2020, denominato PENJANA, che prevedeva un abbassamento della tassazione sia sulle vendite dei veicoli assemblati nel Paese, sia sul materiale elettronico, oltre a fornire formazione gratuita agli imprenditori per la digitalizzazione del loro business. In generale, il Paese è pronto ad allentare ulteriormente le sue restrizioni ai movimenti e agli spostamenti, dopo che un prolungato periodo di lockdown e chiusure mirate per contenere un nuovo aumento dei contagi è costato al Paese milioni di dollari. Secondo gli economisti, infatti, l’economia malese ha sofferto i blocchi imposti dalle autorità già dagli ultimi mesi del 2020 e nel trimestre ottobre-dicembre ha registrato un meno 3,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Campagna vaccinale, ritorno graduale alla normalità e costante monitoraggio dei contagi saranno la chiave del successo, come è avvenuto e avverrà in altri Stati del Sud-Est asiatico. Per ora, affermano gli scienziati del Malaysian Genome Institute, al Paese servirà un anno per raggiungere l’immunità di gregge.

 

Economia
L’ASEAN rilancia il turismo
Il Ministero del turismo cambogiano ha presieduto la settimana scorsa il 53° vertice delle organizzazioni nazionali del turismo ASEAN, per discutere i piani di recupero e rilancio del settore nella regione dopo i durissimi colpi della pandemia.

The Phnom Penh Post: https://www.phnompenhpost.com/national/asean-discuss-way-revitalise-tourism

Geopolitica
Il futuro della Cina per le partnership strategiche
Pechino dovrebbe guardare maggiormente a come, ad esempio Tokyo, ha saputo costruire partnership regionali durature e ha la possibilità di incidere su questioni vitali come tutela dell’ambiente, della salute pubblica e diritti dei lavoratori.

Nikkei Asian Review: https://asia.nikkei.com/Opinion/China-should-consider-how-Japan-built-lasting-regional-partnerships

Energia
Il Vietnam e la transizione sostenibile
Con la crescita della domanda di energia nel Paese prevista al 10% annuo, il Vietnam ha intrapreso enormi passi per accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili e ABB vi ha realizzato il più grande impianto fotovoltaico galleggiante del Sud-Est asiatico.

Energia plus: http://energia-plus.it/abb-realizza-il-piu-grande-impianto-fotovoltaico-galleggiante-del-sud-est-asiatico_92956/

Economia
La rivoluzione digitale imposta dalla pandemia
Tra i tanti cambiamenti che l’epidemia da Covid-19 ha imposto al mondo del business e al network internazionale, in Asia possiamo senza dubbio annoverare lo scambio virtuale dei biglietti da visita prima di una riunione.

The Economist: https://www.economist.com/asia/2021/02/06/business-cards-are-going-online-in-asia

Geopolitica
La diplomazia dei vaccini cinese
L’acquisto di massa di vaccini cinesi da parte dell’Indonesia suggerisce che Pechino e Jakarta possano utilizzare le esigenze di salute pubblica e la lotta al coronavirus per rafforzare i propri legami.

East Asia Forum: https://www.eastasiaforum.org/2021/02/06/indonesias-sinovac-rollout-sets-high-stakes-for-chinas-vaccine-diplomacy/

Business
Porsche punta sul Sud-Est asiatico
La casa automobilistica tedesca aprirà un impianto di assemblaggio in Malesia. La mossa assicurerà a Kuala Lumpur ingenti investimenti e farà della Malesia l’hub di Porsche nell’area ASEAN.

Bloomberg: https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-02-06/porsche-is-said-to-plan-assembly-plant-in-malaysia-edge-reports

Ambiente
L’ASEAN contro il cambiamento climatico
Si stima che nei prossimi anni in tutto il Sud-Est asiatico circa 90 milioni di persone si sposteranno dalle aree rurali e periferiche verso le aree urbane e sviluppate, sottoponendo le città dell’ASEAN a nuove sfide.

The ASEAN Post: https://theaseanpost.com/article/asean-cities-threatened-climate-change

Politica
Ancora scontri sull’olio di palma
Indonesia e Malesia riforniscono di olio l’85% dei mercati globali e si oppongono alle restrizioni europee. Secondo Bruxelles, infatti, il mercato contribuisce a deforestazione e inquinamento ma rimane fonte di sostentamento per molti cittadini della regione.

La Republica: https://www.repubblica.it/green-and-blue/2021/02/08/news/olio_di_palma_nel_mirino_dell_ue_braccio_di_ferro_con_indonesia_e_malesia-286149436/

Business
La spinta verso la mobilità elettrica in Asia
L’Unione Europea sta promuovendo incentivi fiscali e campagne di sensibilizzazione per promuovere i veicoli elettrici e l’abbandono della combustione interna, politiche che l’Asia dovrebbe cercare di emulare e incoraggiare.

East Asia Forum: https://www.eastasiaforum.org/2021/02/09/the-drive-for-electric-vehicles-in-asia/

Geopolitica
L’ASEAN tra Cina e Stati Uniti
Da mesi ormai il Sud-Est asiatico è uno dei terreni di scontro sia geopolitico che commerciale privilegiati per Pechino e Washington. Quale delle due potenze riuscirà ad attrarre maggiormente i Paesi dell’ASEAN?

Today: https://www.todayonline.com/singapore/majority-asean-will-choose-us-over-china-if-forced-decide-survey-shows

Economia
Lo sviluppo del mercato monetario indonesiano
Nel dicembre 2020, Bank Indonesia ha presentato un piano per lo sviluppo del mercato monetario nazionale nei prossimi anni, con l’obiettivo di renderlo più attrattivo e di sostegno all’economia indonesiana.

The Diplomat: https://thediplomat.com/2021/02/indonesia-has-plans-to-expand-its-money-market-is-that-a-good-idea/

Politica
I diversivi dei golpisti birmani
L’élite militare che ha imposto il colpo di Stato in Mynamar, dopo le dure condanne a livello internazionale, cerca

di distogliere l’attenzione dalle proprie colpe promettendo che permetterà ai rifugiati Rohingya di tornare al sicuro nel Paese.

Asia Times: https://asiatimes.com/2021/02/myanmar-military-implausibly-plays-the-rohingya-card/

 

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