Marò – La sentenza del tribunale di Amburgo è stata una «vittoria»?

In by Simone

La sentenza del Tribunale del Mare di Amburgo (Itlos), emessa lo scorso 24 agosto, ha segnato un punto di svolta nella vicenda dei due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. In Italia, incredibilmente, è stata raccontata come una "prima vittoria", un successo, poiché i giudici avrebbero "tolto la giurisdizione all’India", ha "deciso che l’India non ha competenza a giudicare i due marò" e, volando altissimi, sarà finalmente il Tribunale dell’Aja a "decidere la sorte dei due marò". Eppure la sentenza dice tutt’altro, solo che in Italia – dal governo fino alla "stampa blasonata" – sembra non ci sia l’interesse di spiegare, o almeno provarci, gli sviluppi del caso. Ci proviamo qui.

La sentenza di Amburgo (pubblicata per intero in inglese sul sito dell’Itlos) è lunga 27 pagine ed è un bel malloppone da leggere, riassumendo in 141 punti le posizioni di India e Italia e annotando quelle della Corte rispetto al merito del dibattimento. E qui già occorre una precisazione: ad Amburgo non si decideva l’innocenza o la colpevolezza dei marò, non si decideva se l’India o l’Italia avessero il diritto di giudicarli; si rispondeva a due richieste specifiche inoltrate dall’Italia all’Itlos, queste:

a. Che l’India si astenga da ogni misura giuridica o amministrativa nei confronti di Girone e Latorre e che si astenga dall’esercizio della giurisdizione nel caso dell’«Incidente Enrica Lexie».

b. Che l’India sollevi ogni misura di restrizione della libertà nei confronti di Girone e Latorre, permettendo al primo di fare ritorno in Italia e al secondo di rimanerci per tutta la durata del dibattimento di fronte all’Annex VII Tribunal (cioè finché l’arbitrato internazionale, all’Aja, non deciderà chi tra India e Italia ha la giurisdizione per processare i due fucilieri).

Entrambe le richieste sono state respinte dalla Corte di Amburgo, che in modo cristallino, ai punti 126 e 127 della sentenza, spiega anche il perché:

126. Considerato che la prima e la seconda istanza presentata dall’Italia, se venissero accolte, non salvaguarderebbero in modo equo i rispettivi diritti delle parti fino al momento della formazione della tribunale arbitrale Annex VII, come prescritto dall’articolo 290 paragrafi 1 e 5 della Convenzione [del diritto del Mare dell’Onu, Unclos, nda],

127. Considerato quanto sopra, il Tribunale [di Amburgo, nda] non considera appropriate le due istanze presentate dall’Italia e, in accordo all’articolo 89 paragrafo 5 delle Regole [del Tribunale del Mare di Amburgo, nda], il Tribunale può disporre misure completamente o in parte differenti da quelle richieste,

E infatti la Corte di Amburgo decide di sospendere tutti i procedimenti legali in corso in Italia (già bloccati, di fatto, per il rifiuto dell’India di condividere documentazione e indagini con la magistratura italiana) e in India (quello della Corte speciale che dovrebbe giudicare i marò, mai partito, e della Corte suprema, che doveva decidere chi tra India e Italia avesse la giurisdizione per far partire il caso, tra le altre), per non influenzare il verdetto sulla giurisdizione che arriverà (chissà quando) dall’arbitrato dell’Aja. E qui serve un’altra precisazione: il Tribunale del’Aja a cui ci riferiamo non è la Corte penale internazionale, che si occupa di crimini internazionali e crimini di guerra ed emette sentenze nel merito dei fatti portati alla Corte, ma è la Corte di giustizia internazionale, che si occupa di dirimere questioni di interpretazione e applicazione del diritto internazionale. Hanno entrambe sede all’Aja, ma sono due cose diverse.

La Corte arbitrale dell’Aja, quindi, ha esclusivamente il potere di decidere chi tra India e Italia avrà il diritto di processare i marò (come ricordato al punto 128 della sentenza di Amburgo), pronunciandosi rispetto alle due interpretazioni divergenti che India e Italia danno della Unclos. Cioè, riprendendo il pezzo sulla sentenza di Amburgo scritto per Il Manifesto:

Le tesi espo­ste finora da Roma e New Delhi riman­gono sostan­zial­mente immu­tate e si svi­lup­pano su due inter­pre­ta­zioni dif­fe­renti della Unclos: l’Italia con­si­dera il caso una que­stione «mili­tare», un pos­si­bile reato com­messo da due mili­tari in ser­vi­zio anti­pi­ra­te­ria per conto dello Stato giu­di­ca­bile solo da una Corte mar­ziale ita­liana, in virtù dell’immunità fun­zio­nale che copri­rebbe Girone e Latorre.

L’India, per con­tro, ritiene che i fuci­lieri in ser­vi­zio a bordo della Enrica Lexie (petro­liera pri­vata degli arma­tori D’Amato) non svol­ge­vano fun­zioni di «mili­tari» a difesa dello Stato, ma di «con­trac­tor» a difesa della pro­prietà pri­vata dei D’Amato all’interno della Zona eco­no­mica esclu­siva indiana: atti­vità che, rati­fi­cando la Unclos, l’India per­mette solo pre­vio accordo bila­te­rale (che India e Ita­lia non ave­vano e non hanno) o per­messo espli­cito di New Delhi (che l’Italia non aveva e non ha).

Le novità della sentenza di Amburgo è  l’aver deciso che il caso Enrica Lexie rientra nella Unclos e quindi bisogna passare dall’Aja per decidere dove sarà tenuto il processo, decidendo quale interpretazione della Unclos è più appropriata (quella indiana, quella italiana o addirittura una terza, chi lo sa…); di fatto, il passaggio della giurisdizione viene tolto all’India (che aveva tenuto aperta la possibilità di auto-ricusarsi in Corte suprema, come detto sopra) e messo interamente nelle mani della Corte arbitrale dell’Aja. L’India si era già formalmente rimessa al giudizio futuro dell’Aja, accettando di difendere le proprie posizioni davanti alla Corte arbitrale e nominando già il proprio giudice di parte. E lo aveva fatto ben prima della sentenza di Amburgo.

L’effetto della sentenza di Amburgo è quello, in sostanza, di bloccare tutto fino a quando non arriverà un verdetto dall’Aja: Latorre, in Italia dal settembre del 2014, potrà continuare a godere della licenza accordata dalla Corte suprema indiana (e rinnovata per quattro volte) fino al prossimo gennaio; Girone continuerà a rimanere qui a New Delhi, alloggiato nelle strutture dell’Ambasciata d’Italia.

Significa che i marò sono entrambi bloccati fino alla sentenza dell’Aja? Non è chiaro.  La sospensione dei procedimenti non si capisce se comprende anche lo stallo completo delle misure cautelari nei confronti dei marò: secondo un’interpretazione, potrebbe essere che l’India abbia perso il diritto di reclamare Latorre a New Delhi e, ugualmente, l’Italia abbia perso quello di chiedere il ritorno di Girone. Su questo di certo ci saranno chiarimenti in futuro e richieste, da parte italiana, non appena la Corte arbitrale dell’Aja sarà formata.

Se siete arrivati fin qui – in tal caso, complimenti! – potrete valutare da voi la distanza tra la sentenza di Amburgo e la medesima sentenza raccontata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che parla di «risultato utile», dicendo che ad Amburgo si è deciso che «non sarà la giustizia indiana a gestire la vicenda dei fucilieri di Marina»: una dichiarazione volutamente vaga, per buttarla un po’ in caciara, lasciando intendere che il giudizio finale di tutto il caso non sarà dato da un tribunale indiano ma da quello dell’Aja, rivendicandosi la vittoria italiana.

L’obiettivo ad Amburgo era riportare in Italia Girone e Latorre a tempo indeterminato.
Se questa è una vittoria.

P.S. Tra i commenti trovati in rete sulla sentenza ritengo particolarmente chiari e interesanti quelli del Prof. Nicola Ronzitti, su Rainews, e del Prof. Carlo Curti Gialdino, su Il Sussidiario.

[Scritto per East online]