Malaysia: la guerra delle torri

In by Simone

La Malaysia ha mantenuto per alcuni anni il primato per l’edificio più alto del mondo con le torri gemelle Petronas, 452 metri di immacolata perfezione scintillante. Un edificio che ha dato onore e gloria a un paese storicamente giovanissimo e privo di architettura di rilievo nei suoi 53 anni di età.

Un paese che pare usare la modernità per esaltare il suo profilo internazionale e, potenzialmente, attrarre più turisti. Dal 1998, le torri Petronas hanno simboleggiato il sogno di grandezza di una nazione e consacrato la Vision 2020, ovvero l’anno previsto per la conversione malese allo sviluppo. Degni di entrare sul podio al fianco delle altre potenze occidentali.

Con l’arrivo del Taipei 101 nel 2004, Taiwan aveva già raffreddato gli umori malesi costruendo un grattacielo di 509 metri. Un colpo duro per l’onore di una nazione con progetti così definiti. Ma se proprio bisogna quantificare con le misure, è in questo 2010 che le cose cambiano radicalmente: se il centinaio di metri di scarto del Taipei 101 aveva fatto storcere il naso ai premier malesi, il neonato Burj Khalifa di Dubai coi suoi 828 metri è invece un colosso ben difficile da superare.

Non si capisce se sia in gioco l’onore di una nazione o se invece si tratti solo di un capriccio da soddisfare, ma ora in Malaysia si parla di imbarcarsi in un nuovo progetto edile di dimensioni mastodontiche: la nuova torre Warisan Merdeka (Eredità d’indipendenza) , un progetto di cento piani da costruirsi nella capitale Kuala Lumpur.

Con una stima di spesa di cinque miliardi di ringgit (circa un miliardo e mezzo di euro), il primo ministro Najib Razak ha recentemente annunciato il desiderio di imbarcarsi in questo progetto che incarna totalmente lo spirito «Malaysia Boleh» («la Malaysia ce la può fare») e della Vision 2020 concepita dal precedente premier Mahatir Mohamad. Che ha ovviamente incoraggiato questo nuovo babelico progetto calorosamente.

Se da una parte il governo è entusiasta, dall’altra il popolo malese pare esserlo un po’ meno. La spesa per la costruzione della Mega torre è decisamente fuori budget per un paese che, in realtà, nel 2020 potrebbe rischiare di entrare tra i potenti in bancarotta. Nessuna manifestazione in piazza o protesta perché, ricordiamolo, in questo paese musulmano qualsiasi forma di opposizione al governo, pacifica o meno, rappresenta un crimine punibile con la detenzione. Il dissenso ha comunque trovato una via di espressione molto potente: internet.

Il famoso portale di social network Facebook ha una pagina-petizione chiamata semplicemente «No Mega Tower» (http://www.facebook.com/NoMegaTower) che ha raccolto ben duecentoquarantamila iscritti che quotidianamente postano commenti, notizie e video per tentare di risollevare l’opinione pubblica e informare la gente. Il problema principale dei malesi è lo spreco economico che Najib è disposto a investire nella skyline di Kuala Lumpur, quando nel resto del paese le strutture pubbliche come scuole, ospedali e case cadono a pezzi.

Di fronte a episodi drammatici che sono costati la vita a giovanissimi studenti e insegnanti schiacciati da pezzi di muratura decadente nelle scuole, il problema degli sfollati nella provincia di Sabah, nel Borneo malese, e più in generale la recessione che ha colpito anche questo paese. I malesi non riescono a tacere. Internet è un mezzo potente, ma virtuale e non da piazza, adatto per poter esprimere la propria opinione ed evitare l’arresto in Malaysia.

«Non ne sapevo granché, ma la cosa mi stupisce… perché dovrebbero costruire una nuova super torre quando la strada davanti a casa mia è ancora da asfaltare?» mi dice un ragazzo indiano a Penang. La gente di Kuala Lumpur preferisce invece sorridere e parlare del tempo, quando faccio qualche domanda; ma qualcuno si sbilancia dicendo che sarà un nuovo incubo per il traffico cittadino.

Si tratta ora di continuare a vedere come si svilupperà la situazione: se i lavori cominceranno o no. La difesa da parte del ministro del turismo malese Ng Yen Yen suona come il capriccio di una bambina: «Non ci sarà mai una fine perché tutti vogliono avere la torre più alta. Shanghai e Taiwan ne vogliono costruire ancora, quindi perché proprio noi dovremmo rifiutarci di farlo? ».
Secondo la stessa, questa torre di 100 piani sarà un nuovo incentivo al turismo in Malaysia e rimetterà il paese nella lista delle destinazioni turistiche più attraenti del mondo, nonché rappresenterà il continuo progresso e la determinazione malese. «La cosa più importante è che possiamo farcela.

Perché tirarci indietro?». Appunto, «Malaysia Boleh!».
I motivi per dire no, come evidenziati dal gruppo di protesta creatosi su Facebook, sarebbero moltissimi: innanzitutto, ai malesi un tale investimento edile sembra improponibile quando nel paese le scuole e gli ospedali del settore pubblico sono ridotti a condizioni a rischio della sicurezza dei propri occupanti. Inoltre, una buona fetta della popolazione vive ancora sotto il livello di povertà ed è costretta a rifugiarsi in traballanti case di legno e lamiera, simbolo delle baraccopoli tropicali.

Il livello di urbanizzazione nelle campagne, che costituiscono circa il 70% del paese, è totalmente sproporzionato rispetto a Kuala Lumpur, Penang e le altre zone della costa est; forse sarebbe meglio investire quel miliardo di euro in strutture pubbliche, case di accoglienza e nuove strade per migliorare la rete di trasporti del paese, sproporzionata solo sulla costa est, l’arteria che unisce Singapore al resto del mondo.

Riguardo Kuala Lumpur e la possibile spesa di abbellimento, sono ben cinque i PM appartenenti alla giurisdizione cittadina (e non casualmente anche aderenti al partito di opposizione) che hanno sollevato dei grossi dubbi verso il progetto Mega torre. Tan Kok Wai (Cheras), Fong Kui Loon (Bukit Bintang), Teresa Kok (Seputeh), Dr Tan Seng Giaw (Kepong) e Lim Lip Eng (Segambut) sono principalmente preoccupati dal fatto che la costruzione del colosso, prevista nella zona a ridosso tra i due stadi cittadini Merdeka Stadium e Stadium Negara, risulterà in un aumento incredibile della congestione del traffico, invece che aiutare la città a risolvere i suoi problemi di immagine internazionale.

Sarebbero inoltre ben quattro le storiche scuole (MBS, Victoria Institution, Davidson School e Confucian School) che rimarrebbero intrappolate nel conurbio edile e rischierebbero di scomparire, probabilmente spazzate via per far posto ad altri asettici uffici.

«Nessuna grande città è stata costruita solo con grattacieli. Sarebbe molto meglio se avessimo la cognizione di creare una buona città, una che sia sicura e abbia una rete di trasporti efficente» conclude Tan Kok Wai.
Si tratta ora di capire se il 2020 sorprenderà un paese che ha fatto i conti coi propri problemi: dedicarsi a una sola sfarzosa città ricca di edifici stravaganti e uffici dedicati al business, o a un intero paese che ha solo dieci anni per colmare un divario tra urbanismo e realtà rurali ai margini della giungla dal bilancio sconcertante. Forse in questa decisione l’opinione di un popolo espresso tramite una pagina web giocherà un ruolo fondamentale.  

*Marco Ferrarese vive, scrive e lavora a Penang, Malesia. Per il momento. Inesauribile viaggiatore e musicista, cerca di catturare le impressioni dei paesi in cui vive. Il suo sito è www.monkeyrockworld.com