Lo sguardo di Kim Young-ha sulla società sudcorena

In by Simone

Negli ultimi sedici anni i sudcoreani si sono scoperti soli. La crisi finanziaria del 1997 ha portato insicurezza e individualismo. Sono cadute certezze. China Files ne ha parlato con Kim Young-ha, unico autore dell’estremo oriente al Festival della letteratura di Mantova. “Volevo guardare la società sudcoreana con gli occhi degli altri. Un europeo o uno statunitense lo possono fare. Ciò che volevo era guardarla dal punto di vista di un nordcoreano, perché i coreani del Nord e del Sud si assomigliano, almeno nell’aspetto fisico. Il protagonista del mio romanzo è come un fantasma. È li ma nessuno lo riconosce come uno straniero”, spiega Kim Young-ha a China Files, seduto in un bar di Trastevere a Roma.

Il fantasma di cui parla è Kim Ki-yong, spia del regime di Pyongyang dimenticata nel Sud dove fu mandato appena 21enne e dove ha trascorso metà della sua vita, protagonista del romanzo L’impero delle luci (edito da Metropoli d’Asia, 16,30 €). Classe 1968, Kim Young-ha è oggi il più importante scrittore della sua generazione in Corea del Sud, i cui lavori, come l’altro pubblicato in Italia, la raccolta di racconti Che cosa ci fa un morto in ascensore? (edizioni ObarraO, 2008), scavano nella società e nell’identità sudcoreana. Quell’identità doppia che si manifesta nella divisione a metà della penisola coreana, nella dicotomia comunismo-capitalismo e nel personaggio di Kim Ki-yong, in una vita divisa perfettamente tra 21 passati a Nord e altrettanti passati a Sud, con la necessità di imparare a essere coreano ma in un modo diverso.

Parlando di identità, un coreano del Sud si sente coreano o sudcoreano?

Nord e Sud parlano la stessa lingua, il coreano. Quindi ritengono di essere coreani. Tuttavia penso che a un sudcoreano non piaccia che qualcuno pensi sia del Nord o gli chieda se sia nordcoreano. Nord e Sud hanno pregiudizi reciproci. I nordcoreani guardano a quelli del Sud come a capitalisti cui interessano i soldi. Mentre per i sudcoreani gli altri sono troppo nazionalisti e lenti nel lavoro. Ci sono rifugiati che lavorano per i sudcoreani. Considerati i carichi di lavoro al Nord, hanno problemi ad adattarsi ai ritmi del sistema capitalistico. Per questo sia le aziende sia i sudcoreani stessi li considerano pigri. È un po’ quello che successe con la riunificazione della Germania. Anche allora c’erano pregiudizi reciproci tra l’Est e l’Ovest.

In passato ha detto che l’individualismo è arrivato troppo presto in Corea del Sud. Come ha contribuito a formarne l’identità?

Prima degli anni Ottanta del secolo scorso ciò che Nord e Sud avevano in comune era il “collettivismo”. Vedevano sé stessi come parte di un gruppo più grande: la nazione, un’azienda o una famiglia. Negli anni Novanta i coreani e la Corea del Sud stessa sono diventati sempre più capitalistici, sul modello statunitense e o di altri paesi occidentali o di Singapore. I sudcoreani hanno iniziato a ritenere di non essere più protetti dal gruppo. Le loro famiglie, i loro risparmi, le loro vite erano senza difesa. Hanno realizzato di essere da soli, individui singoli. È stata la crisi economica del 1997 a influenzare il modo in cui le persone hanno realizzato chi sono: individualità capitaliste.

Come si riflette questo nella vita di tutti i giorni?

Nel 1997 è crollato il mito del lavoro a tempo indeterminato. Ci sono stati licenziamenti che hanno fatto capire ai sudcoreani la fragilità delle proprie esistenze. La risposta alla crisi fu adottare il modello statunitense, incentrato sulla libertà di assunzione e di licenziamento. Questo fu il punto chiave di quanto il Fondo monetario internazionale chiese al governo sudcoreano. Per il sistema economico e per la mentalità sudcoreana fu un punto di svolta.

È per questo che anche durante le tensioni con il Nord nella scorsa primavera, secondo i sondaggi, i sudcoreani avevano come prima preoccupazione la situazione economica e non le minacce di Pyongyang?

Le minacce nordcoreane fatte di test e ordigni nucleari non hanno un impatto sulla vita di tutti i giorni. La crisi e la debolezza economica sono il mondo reale. L’economia sudcoreana cresce, ma cresce più lentamente. Quand’ero studente la crescita economica era al ritmo del 7 per cento o del 9 per cento l’anno. Oggi è tra il 2 e il 3 per cento. È più alta di quella dell’Europa, ma per i sudcoreani è lenta. Questo dà loro un senso di instabilità.

[Foto credit: npr.org]