Era il più luminoso esempio di democrazia, l’esperimento sotto i riflettori, il primo granello di sabbia nell’ingranaggio del potere cinese. Ora, il villaggio di Wukan sembra essere stufo della libertà che si era conquistato e con ogni probabilità tornerà sotto il controllo dei funzionari nominati dal Partito. I fatti. All’inizio del 2012, gli abitanti della cittadina (20mila anime) del Guangdong orientale elessero il comitato di villaggio in una storica votazione democratica, dopo una lotta durata oltre un anno contro le autorità locali che intendevano sequestrare i terreni agricoli per darli a un’immobiliare di Hong Kong.
La lotta ebbe il suo culmine nel settembre del 2011, quando la cittadinanza cacciò via letteralmente i funzionari di Partito e diede il via a un’esperienza di autorganizzazione. La polizia circondò il villaggio e la situazione di stallo durò per circa dieci giorni, nei quali alcuni giornalisti stranieri riuscirono a oltrepassare il blocco e cominciarono a raccontare l’esperienza di Wukan in presa diretta, facendola conoscere al mondo attraverso i social network.
In quel frangente, ancora più importante fu il ruolo di alcuni giovani migranti originari di Wukan che, tornati al villaggio durante le lotte, misero al servizio della causa alcune competenze acquisite nelle metropoli. Costituirono un gruppo chiamato “Corpo dei Giovani dal Sangue Caldo di Wukan”, animarono la discussione sulle requisizioni illegali, accusarono il comitato di villaggio di non avere tenuto elezioni per quarantuno anni, condannarono esplicitamente la mancanza di trasparenza negli affari locali, costituirono il servizio d’ordine e finirono con l’organizzare una petizione per far conoscere le proprie rimostranze alle autorità di livello superiore. Fu così che Wukan divenne un modello di organizzazione possibile per eventuali movimenti sociali dal basso.
I “ Giovani dal Sangue Caldo” trovarono in quei giorni un alleato nella persona di Lin Zuluan, l’allora 65enne membro del Partito comunista ed ex soldato divenuto businessman dopo avere servito come funzionario a Wukan e nella vicina cittadina di Donghai. Si trattò di un’alleanza abbastanza inedita tra energia ed esperienza, tra nuove forme di attivismo politico e guanxi, cioè la sempre imprescindibile rete relazionale.
Fu così che l’ex segretario del partito nel Guangdong, Wang Yang, finì per ammettere le ragioni dei contadini e sostenne l’esperimento, promettendo elezioni democratiche. Wang incassò i complimenti di Pechino per essere riuscito a gestire la situazione “armoniosamente” e fu in seguito nominato vicepremier (gennaio 2013). Le elezioni di Wukan si svolsero all’inizio di quel 2012 che si sarebbe concluso con la grande transizione politica dall’accoppiata Hu Jintao-Wen Jiabao a Xi Jinping-Li Keqiang e, in quella fase, era prioritario che il Paese non fosse scosso da conflitti e tensioni destabilizzanti. Wang ci riuscì. Il suo grande trionfo arrivò proprio contemporaneamente al crollo fragoroso dell’altro “cavallo di razza” della politica cinese: Bo Xilai, che proprio a inizio 2012 uscì rovinosamente di scena dopo la fuga del suo ex braccio destro Wang Lijun nel consolato Usa di Chengdu.
Va precisato che le elezioni a livello di villaggio sono ampiamente diffuse in Cina. Secondo dati ufficiali risalenti all’anno scorso, il 98 per cento dei 589mila villaggi cinesi hanno comitati locali eletti democraticamente. Ma il punto è la trasparenza del voto, con il Partito che di solito impone i propri candidati. E sta proprio qui l’unicità di Wukan, perché il nuovo comitato uscito dai seggi aveva in Lin Zuluan, nominato capo villaggio, l’unico iscritto al Partito; gli altri erano semplici cittadini.
Dopo alcuni mesi, le cose cominciarono però a girare per il verso sbagliato. Il comitato si rese conto che l’accordo sulla vendita dei terreni era già stato firmato ed era ora difficilissimo tornare indietro. L’inchiesta sulla malagestione della cosa pubblica stentava a decollare. A inizio 2013 – un anno dopo le elezioni – erano stati restituiti solo 236 dei 443 ettari di terreni requisiti irregolarmente e i contadini cominciarono ad accusare i neoeletti di scarsa trasparenza e di inefficacia. Nemesi degli ex rivoltosi divenuti funzionari e tribolazioni della democrazia elettiva.
Oggi, Zhuang Liehong, uno dei leader della protesta nel 2011 e poi membro del comitato di villaggio, annuncia che non si ricandiderà alle prossime elezioni (la data è ancora da destinarsi), così come Yang Semao and Hong Ruichao, due vice capi villaggio. Il vecchio Ling Zuluan tiene duro, ma è bersagliato da critiche incrociate.
Secondo Xiong Wei, un giurista dell’Università di Pechino che ha fatto da consigliere agli abitanti di Wukan durante la prima votazione, è molto probabile che le prossime elezioni non soddisferanno l’affluenza minima del 50 per cento. La popolazione – secondo cui i funzionari eletti non hanno mantenuto la promessa di restituire la terra – vede pochi motivi per partecipare al voto. E se questo accade, il segretario del Partito comunista locale diventerà automaticamente capo del comitato di villaggio.
È probabilmente questo l’esito sperato anche da Hu Chunhua, il nuovo governatore del Guangdong succeduto a Wang Yang. In diverse occasioni ha ribadito che sarebbe meglio se i candidati ai comitati di villaggio fossero anche membri del Partito.
Il “giovane Hu” (classe 1963, “giovane” per distinguerlo dall’ex presidente Hu Jintao) è un astro nascente della politica cinese, probabile candidato ai vertici della leadership nazionale quando nel 2022 la generazione di Xi Jinping lascerà il timone. Riportare l’esperienza eretica di Wukan nell’alveo del Partito, in maniera soft, è il miglior biglietto da visita per continuare l’ascesa.