La notizia che ha scosso la mattinata di ieri in Cina è risaputa: a seguito di attacchi informatici per acquisire le caselle elettroniche di alcuni attivisti cinesi per i diritti umani, Google ha deciso due cose: ha eliminato i filtri pattuiti tempo fa con il governo cinese, per armonizzare i risultati delle ricerche del proprio google.cn e ha minacciato di andarsene dalla Cina. Non si tratta di una svolta totale perché i filtri, ad ora, sono stati rimossi soltanto all’edizione inglese: scrivendo Tienanmen su google.cn nella ricerca immagini si ottiene il festival dei carri armati. Ripetendo l’operazione inserendo i caratteri cinesi, vengono mostrate foto turistiche della piazza, sede dell’azione repressiva dei militari cinesi contro gli studenti nel giugno 1989.
Da un punto di vista degli immaginari e delle strade che potrebbe aprire, però, la decisione di Google è storica. Per entrare nel mercato cinese Google, come Yahoo e Microsoft e tanti altri, ha dovuto accettare le imposizioni del governo di Pechino, su tutte la totale disponibilità a sottostare ai controlli della censura su temi sensibili. Il mercato cinese e le sue infinite potenzialità posero i manager di Mountain View nella situazione di rinunciare a una parte del proprio buonismo illuminato: in ballo c’erano un sacco di soldi. Qualcuno potrebbe malignare: la risposta di Google alla Cina è giunta quando Baidu, motore di ricerca cinese, è leader con il 63% del mercato. Baidu, allineato e armonizzato, ha giovato nel corso del tempo dei tanti problemi avuti da Google in Cina: innanzitutto un funzionamento parziale dei servizi, come documents, la ricerca per immagini e la stessa gmail, poi l’accusa di produrre risultati delle ricerche contenenti materiale pornografico, le lamentele ufficiali da parte de Il Quotidiano del Popolo, secondo il quale Google lo censurava nelle sue ricerche, infine la protesta degli scrittori cinesi, giunta in tribunale con una causa per violazione delle leggi sul copyright, per il servizio Google Books in cinese.
C’è da chiedersi inoltre come potrebbero reagire altri colossi allo strappo di Google. Yahoo, non troppo tempo fa, era finito nell’occhio del ciclone per avere consegnato a Pechino le caselle email di alcuni attivisti. La delazione sembrò un passo azzardato, molto più dell’accettazione di regole di un paese ospite. La novità di Google, forse, eviterà prossime brutte figure per le multinazionali del web. Per ora, economicamente parlando, resta il botto fatto ieri in borsa dal titolo di Baidu. A riprova del silenzio ufficiale cinese: la Cina può rinunciare a Google. Le reazioni del governo di Pechino infatti non sono ancora arrivate: è stata solo chiesta attenzione ai propri media locali nel trattare l’argomento.
Il web cinese invece, molto vitale, nonostante le censure e proprio per questo particolarmente creativo e frizzante nello scovare scappatoie, si è interrogato nel corso di tutta la giornata, utilizzando soprattutto il sistema di messaggistica di Twitter, mentre molti siti cinesi in lingua inglese stanno proponendo traduzioni continue delle discussioni sull’internet cinese. Alcuni hanno salutato con grande enfasi lo strappo giunto da Mountain View, a testimoniare come Google abbia presente il polso del web cinese, molto di più di tanti osservatori: in Cina sulle reti qualcosa si muove, seppure si tratti di gruppi ultra minoritari. Sono proprio queste espressioni di opinione pubblica ad aver raccolto il messaggio di Google. Mazzi di fiori sono stati portati nelle sedi del motore di ricerca in Cina e tanti si sono espressi mostrando entusiasmo per la decisione del motore di ricerca Usa. «Google è un vero uomo», hanno anche scritto.
Mentre quasi tutte le organizzazioni umanitarie hanno salutato e appoggiato il comunicato di Google, alcuni dissidenti cinesi hanno detta la propria: uno di loro su chinahush.com, ha postato un articolo nel quale spiega passaggio per passaggio la scoperta di stranezze nel funzionamento del proprio account su gmail. Qualcuno gli eliminava la firma digitale che chiedeva ai destinatari di firmare Charta08, il documento firmato da molti cittadini e intellettuali cinesi in cui si chiedeva una democratizzazione dei processi politici in Cina.
[Publicat su ll Manifesto del 14 gennaio 2010 – foto di Matteo Lanetta]