Le Nuove Via della Seta – Come cambia la Geografia

In Relazioni Internazionali by Nicoletta Ferro

Che importanza ha per una disciplina come la Geografia la Nuova Via della Seta?

Non sono in molti a sapere che il primo ad aver coniato il termine ‘Via della Seta’ fu proprio un geografo von Richthofen che nel 1877 iniziò a parlare di Seidenstraße” (Via della Seta) per indicare le vie carovaniere che univano oriente e occidente. Si tratta sicuramente di uno degli argomenti più affascinanti per la geografia oggi, perché si offre a molteplici ambiti di analisi. Si può infatti fare ad esempio una discorso sulle risorse e la loro distribuzione e sfruttamento, un altro più attinente alla geografia politica che vede un est che si riappropria della dimensione geopolitica. C’è poi un enorme discorso di logistica, trasporti non solo di merci ma anche di persone, di connessioni che devono essere riattivate. E ancora la geografia culturale, la diffusione dei nuovi istituti Confucio e delle sedi delle università americane della Ivy League che aprono dislocamenti in Oriente, o i musei. Esiste poi una geografia della guerra e del crimine che uscirà trasformata da questo progetto e della rete che é una delle protagoniste della Via della Seta.

Pensa che termini come ‘glocale’, così importanti per capire la realtà di oggi, subiranno cambiamenti in conseguenza alla Nuova Via della Seta e ai nuovi equilibri che va disegnando?

Senza dubbio un progetto come la Nuova Via della Seta, sottoporrà una disciplina come la geografia a uno stress che però penso la farà crescere. E’ il classico esempio di come la globalizzazione abbia bisogno di una nuova scala di studio. Si assisterà a una nuova valenza del termine “glocale” perché la Nuova Via della Seta è un progetto con molti punti di vista, ogni partner ha il proprio che si agisce, ancor prima che su una scala globale, in tanti ambiti locali. Alla grammatica dominante della geografia che localizza e spiega la geomorfologia, si andrà ad aggiungere una geografia degli individui. Tra la realtà geografica e la narrazione della realtà geografica esiste infatti uno iato molto forte. Sta a noi far capire che ci sono delle geografie più complesse che costituiscono anche le identità degli individui e dei popoli.

Tra corridoi marittimi e quelli terrestri, quale secondo riserverà le più grandi sorprese?

Penso che la dimensione marittima sia quella che al momento funziona meglio e continuerà a farlo in futuro, con qualche variante legata al riscaldamento climatico nella via della seta dei ghiacci ad esempio, che è quella fuori dal controllo occidentale e che spaventa così tanto gli Usa. Dal punto di vista terreste abbiamo tante incognite, nei punti caldi come lo Xinjiang, Le Repubbliche Centrali ex sovietiche, India e Pakistan , Iran da cui passa il corridoio sud e si dovrà vedere il ruolo della Turchia che si avvicina all’Iran e si sta riallineando nel Caucaso. D’altra parte come diceva il geografo Mackinder riferendosi all’Heartland, l’area localizzata nella parte settentrionale dell’Eurasia e considerata strategicamente più vantaggiosa delle altre: « Who rules the Heartland commands the World“.

L’antropologo Arjun Appadura parlava, a proposito della globalizzazione, del movimento di idee, capitali, media, tecnologie (panorami o “scapes”). Nel caso della Nuova Via della Seta ci si può aspettare che almeno alcuni di questi panorami non circoleranno in maniera così libera essendo regista del progetto la Cina?

La globalizzazione di matrice occidentale era legata all’idea di libertà di movimento di tutti questi elementi, ma si è anche visto come questa idea si sia incrinata nelle mani dei poteri forti. Quella cinese è una proposta diversa, che mette al centro una visione collettivista così difficile da concepire per la tradizione occidentale che invece predilige l’individuo e le sue libertà.

Cosa secondo lei è più urgente capire di questa via della seta? Quali gli aspetti che ritiene non siano ancora stati affrontati a dovere?

Direi che la valenza Europea della Via della Seta non è stata propriamente affrontata, non c’è stata comunicazione univoca, né impegni politici concertati. Nessun paese ha la taglia per discutere alla pari con la Cina, quindi bisogna agire uniti, perché se male gestita davvero potrebbe diventare un ennesimo elemento di disgregazione per l’UE.

E cosa mi dice degli Usa?

L’’America first’ di Trump vuole dire in definitiva ‘America only’, la classica visione isolazionista americana. Ci fosse stato Obama sarebbe stato molto interessante vedere la costruzione di un nuovo ordine mondiale anche perché, ricordiamoci che fu lo stesso Obama che pensò per primo di fare una via della seta americana, per inserirsi dentro la morsa di Cina e Russia.