La vita quotidiana in Cina ai tempi del coronavirus

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

In un paese dove folklore e tradizione sono parte integrante della vita quotidiana, nemmeno una crisi sanitaria di portata globale può modificare le millenarie abitudini dei cittadini. Così, alle severissime misure adottate dal governo per far fronte alla crisi, i cinesi affiancano riti, superstizioni e rimedi home-made. Contemporaneamente, non accennano a diminuire abitudini comportamentali che, almeno da un punto di vista occidentale, sembrano poco adatti alla prevenzione di un’epidemia.

A CIRCA DUE SETTIMANE dall’inizio della diffusione del virus, il governo cinese, incalzato dall’Oms e dalla comunità internazionale, ha optato per il pugno duro nella gestione della crisi: circa 15 città e quasi 60 milioni di persone sono state isolate per evitare la diffusione del contagio. All’ingresso di stazioni e aeroporti viene misurata la temperatura corporea: se supera i 37.3 si viene fermati e mandati in ospedale per accertamenti. Lo stesso accade, nelle province più colpite, in posti di blocco all’ingresso delle città stesse.

Eppure, lontano da Wuhan, la vita quotidiana procede come qualche settimana fa. Chi non è stato messo in quarantena va a lavorare, prende i mezzi pubblici e si raduna nei parchi delle città per sessioni di taichi e tornei di mahjong. Nemmeno le mascherine sono una novità, dato che i cinesi sono abituati a vestirle sia per combattere l’inquinamento che per evitare di trasmettere ad altri anche un banale raffreddore.

L’abitudine alle mascherine è tanta che non sembra stimolare una maggiore sensibilità alle precauzioni igieniche. Quella dello sputare a terra, ad esempio, è una pratica millenaria e tutta cinese, indispensabile, sostengono loro, «a liberarsi dalle scorie e dal muco in eccesso».

E, nonostante i tentativi del governo di «educare» i cittadini, nessun cinese sembra preoccupato o intenzionato a rinunciare alle proprie abitudini in nome della sanità «all’occidentale».

Può anche capitare di imbattersi nelle mascherine «corrette», alle quali è stato fatto un buco, per convenienza dei fumatori.

Non solo: frequentissimo è ancora in questi giorni l’uso dei kaidangku, i tradizionali pantaloni per bimbi, forniti di un buco all’altezza del cavallo che consente di provvedere ai bisogni anche in assenza di un bagno. Un’economica alternativa ai pannolini usa e getta, troppo costosi per le famiglie contadine delle aree rurali.

Tutto ciò non va attribuito ad una mancanza di attenzione o di preoccupazione rispetto all’epidemia, ma alla fiducia nella capacità delle istituzioni di far fronte ai problemi della collettività.

NELL’ATTESA di una soluzione, molti cinesi si affidano alla medicina tradizionale, che ha ancora un ruolo importante. Soprattutto nelle zone rurali, girano già da settimane ricette per pozioni curative secondo i dettami della medicina tradizionale cinese: bere tutti i giorni una tazza di thè rosso dello Yunnan senza dolcificanti, ad esempio, eviterebbe il contagio.

D’altra parte, anche lo scoppio dell’epidemia potrebbe essere stato in parte causato dal folklore del capodanno cinese, durante il quale è tradizione offrire agli ospiti zuppa di pipistrello, il cui nome cinese è omofono di «prosperità».

LA TEORIA non è ancora stata verificata, ma il legame tra la diffusione del virus e gli alti numeri di visitatori del mercato degli animali di Wuhan la rendono un’ipotesi quantomeno realistica. Anche in questo caso però, l’errore sarebbe di natura istituzionale e non certo culturale. «Nei mercati si vendono spesso animali selvatici e non di allevamento e poco importa che siano pipistrelli o maiali», spiega Ai Mo, scrittore e gestore di un ostello a Lijiang, una cittadina di recente isolata dopo aver registrato tre casi infetti: «il problema non sono le nostre tradizioni, ma la mancanza di controlli».

PROFONDAMENTE SBAGLIATO, quindi, cedere alla retorica del discorso anti-cinese che etichetta un intero popolo come sporco e inaffidabile, criticandone le tradizioni e le strampalate abitudini alimentari.

Incomprensioni di questa natura, che hanno già dato vita a episodi di razzismo in diverse città italiane ed europee, vanno combattute con una più approfondita conoscenza dell’universo cinese.

Un mondo in cui il diverso contratto sociale tra cittadini e stato, essenzialmente basato sulla fiducia accordata dai primi al secondo, si intreccia con un’intrinseca fiducia nelle pratiche mediche e sanitarie tradizionali. Il risultato è difficilmente digeribile per noi occidentali ma non per questo passibile di derisione e ingiurie.

[Pubblicato su il manifesto]