L’ultima defezione alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace 2010 è arrivata con un sms: mi controllano, non posso concedere interviste e devo soltanto stare zitto. La firma è quella di Liu Xiaoxuan, uno dei tre fratelli del dissidente cinese Liu Xiaobo, insignito dal comitato di Oslo della prestigiosa onorificenza. Un riconoscimento che né l’intellettuale, condannato a 11 anni di carcere con l’accusa di incitamento alla sovversione, né un qualche membro della sua famiglia potranno ritirare.
Per la prima volta da quando il premio fu istituto 109 anni fa, nessuno potrà ritirare medaglia, diploma e assegno da 1,5 milioni di dollari (1,1 milioni di euro). Secondo fonti vicine alla famiglia Liu, i parenti più stretti del dissidente sono tutti sotto sorveglianza. Una misura attuata dal governo per impedire che qualcuno di loro possa andare a Oslo il 10 dicembre. Le vie per la Norvegia sono sbarrate.
La scorsa settimana la polizia impedì all’avvocato Mo Shaoping di salire sull’aereo che lo avrebbe dovuto portare a Londra per partecipare a una conferenza internazionale. Il legale di Liu è infatti uno tra i 140 amici e colleghi, contattati dalla moglie dell’intellettuale, Liu Xia -anche lei agli arresti domiciliari- perché ritirino il premio al posto del marito. Lo stesso destino toccato alla critica cinematografica Cui Weiping, che domenica scorsa sarebbe dovuta essere a Roma, ospite del festival Asiatica Film Mediale per parlare di cinema e propaganda ai tempi della Rivoluzione Culturale.
Un viaggio annullato a causa del suo sostegno a “fratello Liu”. Al suo posto gli organizzatori hanno letto un messaggio firmato da diversi intellettuali e dissidenti, nel quale si chiede il rilascio del Nobel e un apertura politica della Repubblica popolare. Qualcosa di simile potrebbe ripetersi tra due settimane in Norvegia, quando l’attrice Liv Ullman leggerà un messaggio di Liu Xiaobo. Già in passato regimi e governi totalitari non permisero che i dissidenti ritirassero di persona il riconoscimento, ma acconsentirono che qualcun altro lo facesse al posto loro.
Successe nel 1991 con la leader dell’opposiziona birmane Aung San Suu Kyi, allora agli arresti domiciliari, sostituita dai figli e dal marito. E ancora durante la Guerra Fredda, quando i sovietici nel 1975 e i polacchi nel 1983 permisero alle mogli di Andrei Sakharov e Lech Walesa di andare a Oslo. La Cina, che reclama un ruolo di potenza mondiale, rischia di dimostrarsi addirittura più intransigente e feroce del regime nazista che nel 1936 concesse all’avvocato di Carl von Ossietzky, pacifista internato in un campo di concentramento, di ritirare l’assegno, ma non la medaglia.
Pechino continua a definire un criminale l’estensore di ‘Charta 08’, il documento con cui, assieme a centinaia di attivisti, chiese al governo cinese riforme democratiche. E intanto non si fermano le pressioni diplomatiche affinché il maggior numero di Paesi disertino la cerimonia di consegna. Al momento sono cinque i governi che hanno accettato la richiesta della Cina: Russia, Kazakhstan, Cuba, Marocco e Iraq. Tutte nazioni, ha scritto Jason Miks su The Diplomat, al di sotto del 140esimo posto nella classifica di Freedom House sulla libertà d’espressione.
La lista di chi parteciperà all’appuntamento non è ancora completa. Secondo un diplomatico vietnamita, citato dall’agenzia Reuters, né il Vietnam né l’Indonesia né le Filippine manderanno i loro rappresentati. Manila e Giacarta perché i loro ambasciatori saranno in viaggio, mentre Hanoi per protesta contro la candidatura al Nobel del monaco dissidente Thich Quand Do. Se Unione Europea, Stati Uniti e Giappone parteciperanno compatti, sono invece in dubbio Paesi importanti come il Sud Africa, la Corea del Sud, la Turchia e il Brasile.
La minaccia di ritorsioni commerciali paventata da Pechino sembra far presa, tanto più alla luce dello studio di due economisti tedeschi dell’università Georg-August di Gottinga sul cosiddetto effetto Dalai Lama: i Paesi i cui capi di Stato o di governo ricevono il leader spirituale tibetano, nei due anni successivi all’incontro registrano un calo del loro export verso la Cina. Una tesi che potrebbe far temere in un futuro “effetto Liu Xiaobo”.
La strategia cinese segue tuttavia anche canali più raffinati della semplice clava economica. Se come sostiene la dirigenza cinese il riconoscimento al dissidente ha tradito lo spirito e i valori del Nobel, allora perché non istituire un altra onorificenza che ne prenda il posto? “Con la sua decisione il comitato norvegese ha spinto alla dissidenza 1,3 miliardi di cinesi, una dissidenza contro Oslo”, ha scritto sul quotidiano Global Times l’editorialista Liu Zhiqin Dalle colonne del giornale in inglese il direttore pechinese della Zurich Bank ha lanciato anche una proposta: istituire un premio Confucio per la Pace “così da diffondere nel mondo la visione cinese dei diritti umani”.
Un’idea, ha spiegato, per insegnare agli occidentali come capire la differenza tra le diverse culture e i valori nazionali. “Soltanto così”, ha concluso Liu, “il mondo potrà vedere la Cina con occhi diversi”.
[Pubblicato su Il Riformista il 20 novembre 2010]