Quel vecchio sentiero delle guardie rosse

In by Simone

Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso milioni di giovani studenti e guardie rosse salirono sui treni che dalle città li portavano nelle campagne. Seguivano l’invito del presidente Mao Zedong: andare nelle zone rurali e imparare dai contadini. Quarant’anni dopo lo spirito che animò quei ragazzi e quelle ragazze seguaci del Grande Timoniere sembra rivivere nell’iniziativa lanciata la scorsa settimana dalla municipalità di Chongqing, nell’ovest della Cina.
 

Non si tratta di milioni, ma soltanto di 750mila studenti che, spinti dal governo locale, parteciperanno a «progetti sociali per la comunità» e partiranno per le campagne dove proveranno in prima persona l’esperienza della vita contadina. Nelle intenzioni dei sostenitori il programma servirà a «forgiare il carattere dei ragazzi e delle ragazze» e «permetterà di acquisire abilità pratiche». Il lavoro nei campi, ha spiegato Tu Jingping, vice segretario locale del Partito comunista, permetterà inoltre ai figli delle élite urbane di capire quali difficoltà dovettero affrontare in passato i loro genitori e come vivono i loro connazionali nelle zone rurali.
 

Pechino considera il giovani istruiti delle città una risorsa fondamentale per lo sviluppo delle aree interne del Paese, dove ha già inviato oltre 200mila diplomati che lavorano come funzionari nei villaggi. D’altronde tra le mura di Zhongnanhai la leadership cinese è conscia delle disuguaglianze economiche che dividono la popolazione. Un divario che emerge dai dati del Ufficio nazionale di statistica: se nelle città il salario medio è di 17mila yuan (1.700 euro), i residenti nelle campagne guadagnano poco più di 5.100 yuan. I giovani, ha scritto il Chongqing Evening News potranno «rapportarsi al mondo del lavoro e capire i processi di produzione». Nella pratica vivranno per un mese a contatto con i contadini, seguendo un addestramento militare e con l’obiettivo di piantare almeno cento alberi a testa. Alla fine del programma dovranno presentare una relazione sul lavoro svolto.

Ma a differenza dei loro genitori quarant’anni fa, che partivano spinti dall’ardore rivoluzionario, i volontari odierni riceveranno uno stipendio e saranno impiegati anche come tirocinanti in aziende o nelle istituzioni. I detrattori, tuttavia, sottolineano le analogie con le campagne lanciate durante la Rivoluzione Culturale, quando le università furono chiuse e gli «studenti lavoratori» spediti nelle aree rurali per essere rieducati con il lavoro nei campi i dove, secondo la propaganda, sarebbero diventati buoni socialisti e professionisti esperti. Una scelta che segnò un’intera generazione di giovani cinesi. Quando gli atenei riaprirono nel 1977 soltanto una scarsa percentuale di quei milioni di ragazzi e ragazze tornò agli studi. «Gli studenti di oggi sono molto più grandi di quanto lo fossimo noi», ha detto al Guardian l’antropologo Zhou Daming, professore alla Sun Yat-sen University di Guangzhou, «Trascorrere un’esperienza di vita diversa gli farà bene». I politici di Chongqing non sono tuttavia nuovi a iniziative che ricordano gli anni tra il 1966 e il 1976, un decennio tabù nella memoria collettiva cinese.

Un anno fa, su iniziativa del segretario locale del Pcc, Bo Xilai, ai 32 milioni di residenti della megalopoli furono spediti sms con citazioni tratte dal Libretto rosso del Grande Timoniere. Un gesto che comunque rientra nella campagna d’immagine lanciata da Bo, reso famoso dalla sua lotta contro la corruzione e la criminalità che portò all’arresto di diversi boss, politici e addirittura giudici. E mentre centinaia di migliaia di giovani stanno per lasciare la città alla volta delle campagne, nelle università si fa pressione sugli studenti perché cambino il proprio hukou da rurale a urbano. Introdotto da Mao Zedong nel 1958 per impedire l’eccessiva urbanizzazione, l’hukou è obbligatorio e vincola i cinesi al luogo di nascita.

Il boom economico degli ultimi trent’anni e le masse di migranti arrivati nelle città dalla campagna in cerca di lavoro hanno però messo in crisi il sistema. I mingong hanno ormai superato i 200 milioni, ma spesso privi del permesso di residenza nei grandi centri urbani non hanno accesso ai servizi pubblici. A luglio il governo di Chongqing ha lanciato una riforma del sistema che permetterebbe a oltre 10 milioni di residenti rurali di diventare cittadini entro il 2020. Una rivoluzione cui si oppongono molti ragazzi che se dovessero cambiare status acquisirebbero sì alcuni diritti nella città, ma sarebbero privati di quelli che hanno come residenti nelle zone rurali, a esempio ricevere i risarcimenti per gli espropri delle terre. Così, per rispettare gli obiettivi fissati dalla municipalità, gli atenei fanno pressione sugli studenti.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 19 novembre 2010]