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La sinofobia che rafforza la Cina e il Partito Comunista Cinese

In Cina, Economia, Politica e Società by Gian Luca Atzori

Durante una lezione di Relazioni Internazionali all’Università Tsinghua, il prof. Chuang Jie mi interruppe e disse alle classe: “Quello che dice il vostro compagno sembra ragionevole, ma ricordatevi che è italiano e gli italiani sono famosi nella storia per cambiare spesso bandiera all’ultimo”. Per quanto una simile idea non rappresenti altro che uno stereotipo, allo stesso modo può esprimere la percezione di Pechino su quanto accaduto negli ultimi tempi.

Il G7 dello scorso giugno ha nuovamente affermato lo schema geopolitico che segnerà il nostro tempo: Biden persegue nella lotta di Trump alla Cina, identificata come il nemico principale dell’alleanza atlantica e dello sviluppo liberal-democratico, trascinandosi dietro le principali potenze, tra cui un’Italia che fa dietrofront e rinuncia a importanti intese internazionali. In primis, il Memorandum of Understanding (MoU) con Pechino sulla Nuova Via della Seta, un accordo dal valore più ideologico che pragmatico, dato che non ha fatto altro che ribadire accordi commerciali e di collaborazione già intrapresi.

Oggi, tuttavia, il MoU sembra quasi essere descritto come un pericoloso artifizio, un patto col diavolo che va recesso. Una grande inversione di tendenza, soprattutto se si pensa a come, a pochi mesi dall’esplosione della pandemia, ci fossero sondaggi che mostrassero l’opinione pubblica italiana sempre più attratta dalla Cina. Questo accadeva ad aprile 2020, eppure, sei mesi dopo i dati si erano già ribaltati. In meno di un anno si è passati dal celebrare la storia e il futuro delle relazioni sino-italiane, dall’elevarsi come punto di approdo dell’Antica e della Nuova via della Seta, a esserne tra i principali oppositori.

Ma cosa centra la geopolitica con l’odio nei confronti dei cinesi? Le tensioni internazionali sono sempre state alla base della polarizzazione dello scontro etnico, ne sono quasi egualmente proporzionali, in particolare negli ultimi secoli e soprattutto per quanto riguarda la storia moderna cinese.

La storia: la sinofobia tra immigrazione e geopolitica

Prima del XIX sec., i cinesi sono stati sempre un punto di riferimento per la grandezza, la ricchezza, l’innovazione, la burocrazia, la filosofia, la cultura. Iniziarono a praticare la stampa otto secoli prima di Gutenberg e durante il nostro medioevo raggiunsero livelli di modernità a cui gli europei sono giunti solo centinaia di anni dopo.

Quando le invasioni occidentali in Cina e in Giappone hanno mostrato la dirompente e incontrastabile forza della rivoluzione scientifica e industriale, anche la narrazione culturale e mediatica nei loro confronti ha iniziato a mutare in Europa. Da un popolo innovativo i cinesi iniziarano ad essere descritti come un popolo incapace di progresso, vincolato ad un’ideologia confuciana che lo condanna alla stagnazione sociale e economica. Durante le Guerre dell’Oppio (1839–1842; 1856–1860) contro l’Impero britannico, la quasi totalità delle riserve d’argento cinesi venero drenate dal mercato nero. L’impero più longevo della storia passò dall’essere il regno più ricco al mondo, a divenire gradualmente una nazione del “terzo mondo”, preda di superpotenze pronte a smembrarla. Un fatto, quest’ultimo, che ancora oggi è identificato come “umiliazione storica” all’interno della dialettica nazionalista cinese che vorrebbe “ringioavanire” la Cina riportandola alla sua antica gloria. Una narrativa definita come sinocentrica, perché mette la Cina al centro, opponendosi in maniera diretta all’ideologia eurocentrica che da secoli tende a naturalizzare il dominio, il colonialismo e l’imperialismo occidentali. (img mappa sinocentrica)

Iniziarono così le prime narrazioni diffuse su larga scala nel quale gli asiatici venivano descritti come popoli inferiori, una teoria che si fece maggiore forza con l’avvento del darwinismo sociale e che veniva usata per giustificare la tratta dei neri, lo schiavismo e la superiorità dei caucasici. Un fatto ai più sconosciuto vede infatti anche i cinesi come oggetto di tratte di essere umani negli Usa nella seconda metà dell’800. Con la promessa di grandi ricchezze la Central Pacific ne deportò migliaia sulle coste del Pacifico per la costruzione di una parte della “Transcontinental Railroad”, la prima tratta ferroviaria che attraversava tutti gli Stati Uniti, unendo New York a San Francisco. Un lavoro disumano ed estremamente pericoloso nelle montagne del Sierra Nevada, che comportò lo sfruttamento e il sacrificio di un numero imprecisato di operai. Tuttavia, non solo in seguito alla costruzione iniziarono le rappresaglie sociali, ma per lungo tempo ai cinesi fu negato persino il riconoscimento della costruzione dell’opera che fu invece totalmente rivolto agli irlandesi.

Dopo essere stati impiegati come manodopera i cinesi vennero ghettizzati, perseguitati, discriminati, espulsi e, per farlo, sorse una narrativa anti-sinica feroce, la quale si inasprì agli inizi del XX secolo quando, nel 1905, i giapponesi sconfissero la Russia, mostrando al mondo la nascita della prima superpotenza orientale. Il pericolo di un’invasione o sottomissione ad un sistema di valori considerati inferiori divenne sempre più reale, culminando in ciò che oggi è definito Yellow Peril, ovvero Pericolo Giallo. Fino al 18°sec., le popolazioni dell’asia orientale venivano descritte in Europa come “bianche” o persino “bianche come noi”. Il termine giallo fu iniziato ad usare in senso dispregiativo.

Nei primi del 900 gli stereotipi alla base del Yellow Peril non erano dissimili da quelli che si sentono oggi: non si integrano, ci invaderanno, hanno strane usanze, sono dediti alla criminalità organizzata. Soprattutto, sono gli stessi che hanno alimentato le narrative anti-italiane negli Usa e nel mondo. Si tratta di stereotipi comuni legati ai fenomeni migratori, i quali si aggravano ogni qual volta si accrescono le tensioni geopolitiche tra determinati paesi. Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, negli Usa e in Gran Bretagna chi aveva origini italiane o giapponesi veniva considerato clandestino o potenziale spia fascista, e veniva posto in campi di concentramento.

Per questo al fine di scongiurare la sinofobia o l’odio nei confronti degli asiatici è oggi fondamentale comprendere bene la sottile linea che separa la propaganda politica dall’informazione, così come rimane fondamentale imparare a riconoscere le caratteristiche dominanti e contrastanti della visione eurocentrica e sinocentrica.

La sinofobia in Italia e nel mondo

La grande ondata di sinofobia che sta segnando gli ultimi anni è scoppiata negli Usa, dove sono state oltre 4 mila i casi di attacchi contro gli asiatici-americani da inizio pandemia, e nella quale il ruolo della nuove tecnologie è stato centrale. Un articolo del New York Times parla di come questa ondata di odio si sia sviluppata sui social, ricostruendo la storia di un gruppo Telegram, chiamato con un insulto in mandarino e ricco di immagini con asiatici deformati o raffiguranti soprusi della Guerra in Vietnam. Finché, lo scorso marzo, non avvenne la strage di Atalanta, in cui 6 delle 8 vittime erano donne asiatiche. In questo gruppo l’84% delle persone risposero a un sondaggio giustificando l’attacco col fatto che i cinesi avessero diffuso il virus nel mondo. Queste attività di odio online nei confronti delle comunità asiatiche sono in crescita e sono ripercussione della disinformazione e delle fake news, in particolare si sofferma l’articolo, sono conseguenza delle notizie false diffuse anche dalle autorità come Donald Trump.

Già da prima di essere eletto, l’ex-Presidente americano iniziò a dare la colpa ai cinesi dei principali mali del mondo, dal cambiamento climatico che apostrofò come “complotto cinese” al Covid-19 che definì “piaga cinese”, paragonandolo all’attacco giapponese di Pearl Harbor e fomentando teorie del complotto vicine al movimento QAnon, per la quale lo stesso Biden sarebbe sotto il controllo del Partito Comunista Cinese. Ora, pur non sposando le stesse cospirazioni, questo sentimento è condiviso anche da buona parte dell’elettorato democratico, che considera la Cina come principale minaccia.

Un fenomeno che tocca da vicino anche l’Italia, dove secondo le stime Odhir (Istituto per i diritti umani dell’Ocse) tra il 2013-2019, i reati di odio e discriminazione razziale sono cresciuti del 154%. Lo stesso vale per le notizie false legate al fenomeno e volte ad accrescere la xenofobia. Di certo, la notizia che più ancora oggi diffonde dissenso è l’accusa -ancora oggi non dimostrata da nessuna evidenza– che il virus sia stato creato artificialmente dai cinesi o sia stato diffuso per via di un incidente in laboratorio a Wuhan, ipotesi per la quale lo stesso Biden ha riaperto le indagini.

Dello stesso parere sembra essere l’ultimo report di Amnesty International: “Flussi incontrollati di affermazioni scientificamente infondate o del tutto false, dichiarazioni irresponsabili di esponenti politici, provvedimenti incomprensibili di enti locali e un’informazione ossessivamente concentrata sul coronavirus hanno dato luogo a una vergognosa ondata di sinofobia“.

Ultima dimostrazione il recente attacco avvenuto ad Anghiari, in provincia di Arezzo, ad opera di 5 giovani, i quali avrebbero aggredito e malmenato un ingegnere 60enne di origini sudcoreane appena trasferitosi, al grido di “sei cinese, ci porti il Covid”. E’ accaduto anche a Venezia, dove sempre dei giovanissimi hanno insultato e sputato su dei turisti cinesi in vacanza. Lo ha denunciato Lala Hu, docente di marketing alla Cattolica di Milano, parlando di due fratellini dell’Alto Polesine a cui è stato impedito di andare a scuola nonostante fossero sani, solo perché i genitori dei compagni “non vogliono bambini cinesi”.

Inoltre, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno cinese con una mostra online, l’Istituto Confucio di Torino ha subito un attacco hacker da parte di sconosciuti che hanno portato alla sospensione dell’evento dopo aver urlato insulti razzisti e inviato svastiche e immagini offensive in chat. Un fenomeno che, come spiega a China Files e Lorenzo Lamperti la direttrice dell’Istituto Stefania Stafutti, è legato alla sinofobia in crescita ma riguarda anche un “razzismo generalizzato. Nei messaggi e nei video se la sono presa coi cinesi, con le persone di colore, con i meridionali. Il tutto con un tono molto sessista.”

 

Sinofobia nei media e nella politica italiana: dall’invasione alla colonizzazione

Oltre alla cronaca, alcune frange della politica italiana negli ultimi anni hanno fatto del loro meglio per contribuire alla narrativa anti-asiatica. Lo dimostra la carta che il capolista di Fratelli d’Italia, Francesco Torselli, ha deciso di giocarsi per la corsa al Consiglio Regionale, chiedendosi “siamo a Firenze o a Pechino?”, e facendo un collage di Lorenzo de Medici che indossava un douli (cappello tradizionale a cono di paglia o bambù), mentre accusava i cinesi con il cognome Hu di averli invasi e di essere più numerosi dei cognomi toscani.

In realtà, in Cina ci sono circa 5000 cognomi per 1,3 miliardi di persone. Per essere precisi, si stima che bastino appena 100 caratteri per nominare più di un miliardo di abitanti. Li, Wang, Zhang: con queste tre sole sillabe ci si rivolge a circa 275 milioni di cinesi, ovvero a circa quattro volte la popolazione italiana. Questo significa che per 60 milioni di loro basterebbe anche un solo cognome, per lo stesso numero di italiani ne impieghiamo invece 350 mila. Il meccanismo è semplicemente invertito, da una parte del mondo ci si differenzia con i cognomi, dall’altra con i nomi. L’Italia è uno dei paesi con la più alta densità di nomi di famiglia al mondo (ne utilizziamo 200 mila in più degli Stati Uniti), mentre la Cina è tra quelle con minore densità. Quindi anche in questo caso l’invasione era immaginaria. Il vero problema che si evidenzia è il profondo gap tra percezione e realtà dell’opinione pubblica nostrana, un trend confermato anche dall’indagine Ipsos (ottobre 2019) che mostra come gli italiani siano convinti che gli immigrati stranieri presenti nel paese siano il 31% della popolazione, quando in realtà sono circa il 9%, di cui solo una minima parte irregolari (tendenza confermata anche dall’indagine di China Files svolta a Prato ed oggetto di questo numero).

Salvini, leader della Lega, ha anch’esso seguito la strategia trumpiana fin da subito, parlando di “fottutissimo virus cinese” e portando avanti un interrogazione parlamentare su un servizio del Tgr Leonardo RAI del 2015 in cui si affermava che il nei laboratori di Wuhan fosse stato creato un “supervirus polmonare da pipistelli e topi” per “motivi di studio”. A fargli sponda, il governatore leghista del Veneto, Zaia, il quale ha affermato che: «In fondo li abbiamo visti tutti mangiare topi vivi e altre robe del genere».

Dal canto suo, il quotidiano Libero, rincara la dose infrangendo nuovamente la deontologia professionale, aprendo la prima pagina con il titolo “Mangiano i serpenti e poi crepano”. Su Striscia la Notizia, Gerry Scotti e Michelle Hunziker si divertono a tirarsi gli occhi per farli diventare “a mandorla”, chiedono scusa ma lamentano un eccesso di “politically correct”, uno scherzo, non una mancanza di rispetto reale. Nel mentre però la sinofobia cresce sui social e sui media per davvero. Pensiamo al panico generato nell’opinione pubblica italiana per il Razzo Lunga Marcia 5B in caduta libera sulla Terra. Nonostante le possibilità di uno schianto in Italia fossero infinitesimali -a tal punto che la gran parte delle testate internazionali non ci nominavano- ogni giorno per una settimana la notizia era presente sui tg e nei quotidiani, con un countdown allarmistico alimentato tanto dal click-baiting quanto da irrazionali tensioni sociali.

“I cinesi ci vogliono colonizzare”, “chi celebra la Cina è un traditore”, “sono il cancro del pianeta”, “i cinesi devono risarcire il pianeta per il virus” sono invece le parole di  Maurizio Gasparri (senatore di Forza Italia e promotore di iniziative in Senato dal titolo “Cinavirus”), espresse su La7 durante la trasmissione Coffee Break, la mattina del 16 giugno 2021. Nella stessa trasmissione di qualche giorno prima, Luca Barbareschi, attore e ex-onorevole del Pdl e FLI, sottolineava come la Cina andrebbe sanzionata per i suoi interventi in Africa, un continente che starebbe distruggendo mentre “l’Italia, con l’Eni, costruisce asili in Libia”. Lo appoggia Beatrice Lorenzin, ex-ministro alla sanità e onorevole Pd, che condanna “l’aggressività dei cinesi”. Una posizione apparentemente legittima se ignorassimo come questi due esponenti abbiano militato a lungo nelle formazioni promotrici del bombardamento in Libia nel 2011 per poi stipulare un’intesa con Tripoli sulla gestioni dei migranti definita “disumana” dall’Onu.

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