La Russia ha lanciato un programma per affittare ai cinesi ampie porzioni di terreni siberiani disabitati. l programma dà la precedenza ai compatrioti. Ma è soprattutto la Cina a scommettere da tempo sulla regione. Le remote regioni della Russia orientale un domani potrebbero diventare il principale esportatore di cibo organico sia per la Russia sia per la Cina.
La Russia ha lanciato un programma per affittare ai cinesi ampie porzioni di terreni siberiani disabitati. Non solo ai cinesi, a dire il vero, ma soprattutto a loro. Il progetto dovrebbe rafforzare l’amicizia tra i due Paesi e al tempo stesso riempire le casse del governo centrale e di quelli regionali russi, mentre sul lato cinese darebbe sfogo alla pressione demografica e aumenterebbe la sicurezza alimentare.
È la tipica soluzione win-win che i media corporate occidentali – ultimo il New York Times pochi giorni fa – hanno sempre dipinto come “invasione” della Siberia da parte delle cavallette cinesi, cioè potenziale fonte di tensioni tra Mosca e Pechino. Ora, è invece lo stesso Putin a tenere a battesimo il progetto.
La mente del piano è il vice Primo ministro russo, nonché responsabile per lo politiche orientali, Yuri Trutnev, secondo cui un pezzetto di Siberia orientale potrebbe essere utilizzato per “l’agricoltura, lo sviluppo degli affari, la silvicoltura o la caccia”. Il governo di Mosca possiede vaste estensioni di terreni demaniali sotto-utilizzati, soprattutto a oriente, e vorrebbe usarne 614 milioni di ettari, cioè oltre 6mila chilometri quadrati, per prendere i classici tre piccioni con una fava: rimpinguare le casse statali; sfamare la popolazione che comincia a subire gli effetti della crisi indotta dal crollo del rublo; riempire territori vuoti ed esposti a invasioni – vere o presunte – altrui. In tutta la Siberia, vivono circa 38 milioni di russi.
Il programma dà quindi precedenza ai compatrioti: ogni residente in Russia avrà diritto a un ettaro di terreno libero; ma in base al successo dell’offerta, la quantità potrebbe aumentare. Le terre non saranno invece vendute o cedute in forma definitiva a cittadini stranieri; affittate sì. Si tratta di una precisazione importante – da parte di Mosca – perché imprese cinesi, giapponesi e sudcoreane stanno da tempo investendo massicciamente e ampliando la propria sfera d’influenza proprio in Siberia orientale. A oggi, la legge russa consente agli stranieri di possedere terreni non destinati all’agricoltura a condizione che non confinino con qualche Paese limitrofo.
È soprattutto la Cina a scommettere da tempo sulla regione: nel 2014, la China Development Bank ha lanciato investimenti per 5 miliardi dollari in progetti infrastrutturali siberiani. Questo, al netto dei due grandi gasdotti in costruzione, frutto degli accordi tra Putin e Xi Jinping. C’è poi la componente umana: un giovane uiguro, cioè membro della minoranza turcofona dello Xinjiang non sempre in idilliaci rapporti con Pechino, ha detto allo scrivente: “Ecco dove finiranno per spedirci”. Un po’ scherzava, un po’ forse no.
Il confine tra i due giganti di Eurasia si estende per quasi 4.500 chilometri, lungo i quali circa 6 milioni di russi fronteggiano 90 milioni di cinesi. Oltre a commercio e investimenti transfrontalieri, i matrimoni misti sono già diffusi e, sottolinea il New York Times, per i Siberiani Pechino è decisamente più vicina di Mosca. Insomma, c’è un rischio di lenta colonizzazione, o assimilazione che dir si voglia.
Nelle intenzioni russe e contro gli auspici del corporate outlet statunitense, i cinesi dovrebbero però essere tenuti a bada grazie a uno scambio che farebbe tutti felici e contenti: i residenti locali affitteranno loro alcuni dei terreni e dal commercio trarranno beneficio pure i bilanci delle amministrazioni siberiane. Al contempo, le remote regioni orientali potrebbero diventare il principale esportatore di cibo organico sia per la Russia, sia per la Cina stessa, alle prese con il suo grande processo di urbanizzazione e a corto di terreni agricoli per riempire lo stomaco di duecento milioni di neo-inurbati.
Putin ha dato pieno supporto al piano, citando un precedente storico: “L’idea è sana ed è già stata attuata”, avrebbe detto il presidente, secondo il sito del Cremlino. Allude alla campagna delle “Terre Vergini” lanciata dall’Unione Sovietica degli anni Cinquanta, quando in una grande “avventura socialista”, centinaia di migliaia di giovani volontari si trasferirono in Siberia e in Kazakistan per coltivare la terra. I risultati furono altalenanti, ma è rimasta scolpita nell’epica del Paese più grande del mondo.
Esposta al duplice attacco della Nato e dei sauditi sul fronte delle sanzioni economiche e dell’abbattimento dei prezzi petroliferi, Mosca riscopre dunque l’epopea socialista mentre strizza l’occhio a Pechino, utilizzando la risorsa di cui ha maggiore disponibilità: la terra. Nikolai Simonov, che è ministro dell’Industria, del Commercio e dello Sviluppo Economico per la regione di Novosibirsk, ha invitato la cittadinanza a piantare patate, dato che il crollo del rublo ha già determinato un rialzo dei prezzi alimentari: “Credo che dovremmo chiedere alle persone di tornare agli orti – ha detto – che sono stati dimenticati e abbandonati da molti. Dobbiamo risolvere il problema dell’approvvigionamento di patate in modo calmo, senza panico”.
Fu Pietro il Grande a introdurre la patata in Russia 300 anni fa. All’inizio fu respinta dalla superstizione popolare come “mela del diavolo”, ma poi divenne ingrediente chiave della dieta base – vodka compresa – e ha da allora salvato milioni di vite durante le ricorrenti carestie d’epoca zarista e poi sovietica.
La Russia fu la prima produttrice mondiale di patate fino alla fine dell’Unione Sovietica nel 1990, quando è stata spodestata – indovinate un po’ – dalla Cina (India al secondo posto). Dati recenti mostrano circa 30 milioni di tonnellate di patate sono prodotte in Russia ogni anno, anche se il numero è in calo. Al culmine dell’era sovietica, più di un terzo delle patate erano coltivate in aziende agricole specializzate, statali o collettive; ora solo il 13 per cento è prodotto dalle imprese, mentre il 79 per cento cresce nei giardini e negli orti della gente comune.
Forse, i prossimi piantatori di patate siberiane saranno soprattutto cinesi.