La condanna di due influenti politici conservatori per gli scontri in Gujarat del 2002 è un raro esempio di giustizia. Ma non basta, le violenze tra caste e religioni sono all’ordine del giorno e spesso, come recentemente in Orissa, i risarcimenti accordati alle vittime non bastano per rifarsi una vita.
Alcuni giorni fa si è diffuso un certo sollievo alla notizia che Ajmal Kasab, l’uomo della carneficina di innocenti a Mumbai, alla fine verrà impiccato. L’ha deciso la Corte Suprema.
Non c’era alcun dubbio sulla sua colpevolezza, ovviamente. Era solo questione di tempo. E anche se gli ingranaggi della giustizia girano piuttosto lentamente, avevamo bisogno di sapere che sì, almeno girano.
Per questo il sollievo è stato ancora maggiore apprendendo della condanna di deputati del Bjp Maya Kodnani e Babu Bajrangi, precedentemente noto come Bajrang Dal, per aver incitato gli omicidi di massa durante gli scontri in Gujarat del 2002 (una serie di violenti scontri tra musulmani e hindu che causarono quasi mille vittime, il 70 per cento delle quali tra i musulmani, ndt). Altre 29 persone sono state condannate, ma Bajrangi e Kodnani ci hanno particolarmente sorpreso.
Questi due non verranno impiccati, ma se il verdetto della Corte Speciale sarà confermato, passeranno la loro vita in carcere, specialmente Bajrangi. E’ una cosa talmente rara in un caso di incidenti in India che anche se noi – o meglio, molti di noi – eravamo convinti della loro colpevolezza, rimanevamo comunque scettici su un’eventuale punizione.
Abbiamo un pessimo curriculum di provvedimenti contro i violenti, anche contro chi ha commesso dei crimini orribili, ma soprattutto riusciamo raramente a punire i leader politici o chi ha rapporti col governo. Il giudice Jyotsna Yagnik certamente non è il primo a condannare un facinoroso, ma la sua sentenza arriva in un tempo in cui i cittadini hanno pochissima fiducia nelle istituzioni.
I rappresentanti eletti, i funzionari dell’amministrazione, addirittura i giudici e i pubblici ministeri sono tutti considerati o corrotti o vigliacchi. E niente danneggia il tessuto della democrazia come la sfiducia nella legge.
Il percorso della giustizia è molto lungo. Ci sono appelli e contro-appelli, specialmente quando gli imputati hanno più soldi delle loro vittime. Sono passati già dieci anni da Gujarat 2002. La carriera di Kodnani, in effetti, è stata un successo, mentre la carriera delle vittime possiamo immaginarcela.
Veramente io non me la immagino neanche. Ma ho letto reportage di vittime di scontri locali, recentemente. Non si trattava di Gujarat 2002, era Kandhamal 2008.
Un’ondata di violenza si è scatenata dopo che Laxamananda Saraswati, legato alla Sangh Parivar (la costellazione di organizzazioni estremiste hindu che fa capo alle Rss, ndt), è stato ucciso, dicono, dal Partito comunista indiano (maoista).
Morirono 38 persone. Ci furono casi di stupro di gruppo e tortura. Circa 5600 case furono ridotte in cenere e 55mila appartenenti a “minoranze” in 415 villaggi furono spostati altrove.
Il mese scorso una commissione d’inchiesta ha visitato 16 di questi villaggi. La maggioranza delle vittime degli scontri era solita lavorare in campi o abitazioni di proprietà di “altre comunità”. Ora nessuno dà più loro un lavoro e sono troppo spaventati per andarsene.
Non possono nemmeno accedere ai lavori temporanei offerti dai programmi di assunzione rurale, siccome questi sono controllati dai leader locali, decisamente più forti – politicamente – delle minoranze.
Il team ha scoperto che diecimila persone che scapparono durante gli scontri non sono più tornate a casa. Alcuni ci hanno provato, ma gli fu detto che dovevano convertirsi all’induismo. La maggioranza delle vittime di Kandhamal erano infatti o dalit cristiani o tribali.
Sempre secondo la commissione, non possono nemmeno ricevere i certificati di casta (un documento che indica l’appartenenza a gruppi castali indigenti e garantisce l’accesso a cibo e beni di consumo a prezzi calmierati, ndt) siccome l’amministrazione li rilascia dietro “raccomandazione” dei leader locali, in questo caso affiliati a gruppi di destra come la Vishwa Hindu Parishad.
Molti sono stati condannati per gli incidenti di Kandhamal in un processo per direttissima, altri casi sono ancora in attesa di giudizio. E il governo dell’Orissa ha offerto dei risarcimenti – 50mila rupie (708 euro) per le case completamente rase al suolo e 20mila (283 euro) per quelle parzialmente danneggiate.
Ma la gente ha perso molto più che le propria casa. Ha perso pentole, aratri, raccolto, documenti (come i certificati di sopra e gli attestati di proprietà della terra), scuole, ospedali, ong, chiese.
Come si risarcisce la perdita di tutto ciò che la gente chiama “casa”? Quanto ci vuole per raccogliere i cocci della propria vita e ricominciare da capo?
*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]