La forza e l’unicità del Khālistān movement

In Asia Meridionale, Economia, Politica e Società by Redazione

Il Khālistān movement è un movimento politico separatista sikh, una minoranza religiosa dell’India, che mira ad ottenere l’indipendenza del Khālistan, letteralmente “la terra dei Khālsa”, corrispondente all’odierno Punjab.

Il sentimento nazionalista che ha contributo alla nascita di questo movimento politico traccia le sue origini ben prima dell’Indipendenza dell’India e del delineamento dei confini tra India e Pakistan. Negli anni ’20, i Sikh costituivano una minoranza poco unita e frammentata all’interno del Punjab. Analogamente all’inspiegabile evoluzione politica che portò alla Partition del 1947, anche i Sikh inizialmente non erano interessati a creare uno stato indipendente dall’India, la loro richiesta si trattava piuttosto di una questione di rappresentazione all’interno del paese. Questo si poneva al centro dell’agenda politica dell’Akali Dal Party (oggi riconosciuto come Shiromani Dal, ancora molto influente e presente in Punjab), nato nel 1919 con l’obiettivo di far riconoscere dall’India la comunità Sikh come un gruppo che godeva di uno status teo-politico, all’interno del quale religione e interessi politici erano inseparabili.

La fantasia riguardo la creazione di una terra dei Khālsa in Punjab assunse per la prima volta dei toni realistici con i discorsi di Muhammad Ali Jinnah, che premeva per fondare uno stato per i musulmani d’India, ciò che in seguito venne chiamato Pakistan. Se da un lato vi erano i nazionalisti hindu e dall’altro i musulmani con il sogno di una terra promessa, i Sikh, nel mezzo, facevano comunque sentire la loro voce, Azad Punjab (lett: Punjab libero). Avanzarono dunque la loro proposta agli inglesi (che si stavano ormai preparando a lasciare l’India), nella quale ancora non si domandava la creazione di uno stato indipendente ma piuttosto l’istituzione di una provincia dallo statuto speciale, dove nessuna comunità specifica, religiosa o etnica, governava il territorio. Un Punjab libero, dove i Sikh avrebbe potuto proteggere meglio i loro interessi, cultura, lingua e tradizioni. La proposta venne giudicata poco attuabile e rigettata dalla maggioranza hindu che si occupava del piano per unificare l’India e della stesura della sua costituzione.

In un territorio così vasto, abitato da una moltitudine e varietà di lingue e dialetti locali, la questione della lingua rappresentava una delle maggiori sfide per l’élite indiana che aveva il compito di creare la futura Unione degli Stati federali indiani. Per ovviare il problema, i leader hindu che si occuparono della stesura della costituzione inserirono tutte le lingue indiane all’interno del documento, ad eccezione del sindhi, del punjabi e dell’urdu (oggi lingua ufficiale del Pakistan). Questa omissione fu il trampolino di lancio della ribellione avvenuta nell’Agosto del 1950, incoraggiata dall’Akali Dal.

Durante tutto il periodo post-coloniale, in seguito alla salita al potere di Indira Gandhi nel 1966, i rapporti tra la maggioranza hindu e la comunità sikh si inasprirono ulteriormente. Le azioni politiche del governo centrale di quegli anni, volte per lo più all’industrializzazione e alla crescita economica, non si occupavano dello sviluppo agricolo, settore dove era impiegata la maggior parte dei lavoratori sikh e che necessitava di riforme che avessero a cuore le condizioni di vita degli agricoltori.

Gli effetti gravosi della rivoluzione agricola degli anni ’60 (conosciuta come green revolution) e la sempre più accentuata natura nazionalista hindu del governo centrale portò il movimento del Khālistan ad un’evoluzione critica. Ne seguirono numerosi episodi di guerriglia e di repressione sikh da parte delle forze armate statali. Tra queste, la più conosciuta rimane l’Operazione Bluestar del 1984, dove morirono circa 5,000 civili e 700 ufficiali di polizia. Quest’evento di violenza brutale e repressione dei militanti sikh da parte del governo centrale fu il risultato di una campagna di non cooperazione lanciata dall’Akali Dal che prevedeva, per esempio, il blocco del versamento delle tasse.

I mesi successivi all’attacco al Golden Temple di Amritsar, quartier generale del movimento sikh, sono ricordati come momenti molti buii per il paese, in cui migliaia di sikh vennero torturati, uccisi e perseguitati. “Non è contro i Sikh, né contro la loro religione, ma contro il terrorismo e l’insurrezione” sosteneva Indira Gandhi, che venne brutalmente assassinata da due sikh punjabi, nonché le sue guardie del corpo personali, il 31 ottobre 1984.

Il Khālistan movement oggi viene supportato soprattutto dai Sikh residenti all’estero, ovvero dai 2 milioni di espatriati in Inghilterra, Canada e Stati Uniti. Dagli anni ’60, i Khālsa della diaspora ricoprono infatti un ruolo chiave nel sostenere ed incitare, anche economicamente, la mobilitazione dei sikh separatisti in India. Anche se a partire dagli anni ’90 la credibilità ideologia dietro al movimento ha perso gran parte della sua coerenza, Khālistan Azad riappare spesso in maniera discontinua sulla scena politica indiana. Tuttavia, una grande parte della popolazione sikh che vive in India continua a non condividere il credo del movimento, giudicando gli atti di guerriglia nei confronti dello Stato molto severamente.

A luglio 2020, il governo indiano ha bloccato una campagna elettorale globale sui social media che incitava a partecipare ad un referendum per richiedere l’indipendenza del Punjab (Sikh Referendum 2020). Sikh for Justice, un’organizzazione secessionista fondata nel 2017 negli Stati Uniti, ha fatto circolare tra la comunità internazionale sikh un’app da scaricare su Google Play per partecipare al Referendum. L’associazione, bandita dal Governo Indiano dal 2019, è accusata di istigazione al terrorismo ed il suo fondatore, Gurpatwant Singh Pannunera, è stato ufficialmente dichiarato un “terrorista” dalla Corte Suprema indiana.

Il Khālistan movement è una forza latente che nei momenti di instabilità politica del paese tenta sempre di rivendicare l’unicità etnica, religiosa e politica della religione sikh. Come ogni minoranza, anch’essa desidera essere riconosciuta e rispettata dal governo centrale ma soprattutto chiede di svolgere una funzione politica all’interno del paese al fianco della maggioranza hindu, condividendo un pò del suo potere.

Di Maria Casadei

**Laureata magistrale in Lingue e Culture Orientali con specializzazione in hindi e urdu. Attualmente lavora come Content Manager per Myindia.it (https://myindia.it/), un portale che riporta news e articoli di cultura riguardo il sub-continente indiano. Scrive per il Faro di Roma e VeNews, per il quale si occupa delle recensioni di film indiani in concorso alla Biennale di Venezia.