La crescita e la bolla

In by Simone

Fare ripartire la crescita, senza creare una nuova bolla. La Cina si interroga sul suo cambiamento e si prepara ad un nuovo pacchetto, tra investimenti più mirati e la necessità di rendere più efficiente il meccanismo del credito. Problema numero uno: come far ripartire la crescita. Problema numero due: come non creare un’altra bolla. Dopo il recente appello del premier Wen Jiabao per il rilancio dell’economia, la Cina si interroga sul modo per farlo. Impara da se stessa. Il pacchetto di stimoli da 4mila miliardi di yuan (586 miliardi di dollari) del 2008, varato ai tempi della crisi finanziaria globale, oggi non sarebbe più sostenibile.

Quella massa di denaro finì soprattutto in costruzioni e infrastrutture, cioè prese la strada più facile. Se il Paese aveva infatti bisogno di collegamenti degni del suo nuovo status economico e il suo ceto medio in espansione cercava una qualità della vita ben rappresentato dalla casa, il mattone, l’asfalto e i binari davano anche lavoro alle moltitudini di migranti rurali non specializzati. In soli quattro anni, la Cina è cambiata.

È soprattutto andata incontro a una crisi di bad loans, credito facile, ingenerata proprio dalla massa di denaro messa in circolazione e finita soprattutto in prestiti immobiliari, che a loro volta hanno provocato una bolla difficile da gestire. Oggi Pechino deve fare investimenti più mirati. E soprattutto, rendere più efficiente il meccanismo stesso del credito.

Il punto è che gli indicatori macroeconomici di inizio anno non sono andati per niente bene. Come riconosce la stessa Xinhua, “nel primo trimestre, l’economia cinese è cresciuta al suo ritmo più lento da quasi tre anni, con il suo prodotto interno lordo che in questo periodo è cresciuto solo dell’8,1 per cento”. Inoltre, “nel mese di aprile, una serie di indicatori economici hanno lasciato intravedere ulteriori segnali di debolezza”. Tra questi indicatori, aggiungiamo noi, c’è quello del consumo energetico, fermo allo 0,7 per cento anno su anno. Vuol dire che le imprese non producono più. Sono ferme.

Si è fatta così strada l’idea di un minipacchetto governativo di stimoli a cui affiancare strumenti per facilitare gli investimenti dei privati. Secondo gli analisti, la parte a carico dello Stato dovrebbe corrispondere a circa mille miliardi di yuan (un quarto del vecchio pacchetto) e il denaro sarà destinato in parte agli stessi capitoli di spesa di quattro anni fa: ferrovie, sussidi per i generi di consumo, sviluppo delle regioni occidentali, sistema sanitario, istruzione.

In questo senso, si segnala già un viavai di funzionari negli uffici della Commissione Nazionale di Sviluppo e Riforma a Pechino, il luogo deputato all’approvazione dei progetti. Xinhua riporta però che il Consiglio di Stato (il governo), presieduto dallo stesso Wen, ha dato il via libera a investimenti soprattutto in sette settori strategici: efficienza energetica e protezione ambientale, information technology, biologia, produzione di apparecchiature avanzate, nuove fonti energetiche, nuovi materiali, veicoli a energia alternativa. È questo spostamento di tiro l’elemento più qualitativo rispetto a quattro anni fa. Continuerà in qualche forma la stretta sul mattone. Si vocifera addirittura che, per evitare la nefasta triangolazione tra interessi immobiliari, banchieri di Stato e funzionari locali, il ministero delle Finanze gestirà in prima persona parte del pacchetto di stimoli, senza delegare agli istituti finanziari.

Questo non significa che si interromperanno i prestiti alle famiglie in cerca di casa. Diciamo però che il settore è sorvegliato speciale ed è intenzione del governo aprire e chiudere con molta cautela il rubinetto del credito che prende quella direzione. La parte più innovativa e interessante promette però di essere quella tecnico-finanziaria: la maggiore apertura agli investimenti privati.

L’intento è duplice. Da un lato, le casse di Stato potrebbero così rifiatare. Tuttavia, non sembra esattamente questa l’urgenza che spinge il governo cinese. Più importante sembra essere l’esigenza di rendere finalmente efficienti interi settori dell’economia, in base alla convinzione che gli investimenti del privato, a differenza di quelli politicamente eterodiretti, non corrispondano a meccanismi clientelari (leggi “inefficienti”) Non sono ancora noti i dettagli, ma secondo indiscrezioni si tratterà di aprire ai privati settori tradizionalmente controllati dallo Stato, come quelli energetici: elettricità, petrolio e gas naturale.

Da tenere d’occhio sono anche le utility. Da tempo è ad esempio in corso una campagna, sui principali media, per rendere digeribile una parziale privatizzazione del settore idrico. Il pacchetto sarà probabilmente approvato tra agosto e settembre. Il governo ha già fatto appello alle “parti interessate” – una nebulosa non ben identificabile ma enorme, a cavallo tra politica ed economia – affinché presentino progetti entro la fine di giugno. Il tempo corre e ci sono indicatori macroeconomici da correggere.

* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.