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La Cina tra visibile e invisibile

In Cina, Cultura by Redazione

Un tempo in Cina per una Cina senza tempo. Quella che racconta il fotoreporter, Danilo De Marco, nell’omonimo volume pubblicato da Forum Edizioni (pp. 280, euro 45): una raccolta di circa 200 immagini catturate durante il viaggio compiuto da De Marco in Cina, tra il 1991 e il 1992. Un viaggio che attraversa l’ex Celeste Impero, dal suo centro politico, Pechino, fino all’estrema periferia. Da Jiayuguan, snodo occidentale dell’antica via della seta, ai confini meridionali con il Vietnam.

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Oltre agli scatti cinesi, il libro comprende appunti e riflessioni personali di De Marco. Il De Marco fotografo, ma anche esploratore, reporter, giornalista e scrittore. Capace di mischiarsi tra la folla, in sella a una bicicletta, a piedi, o infilato tra i vagoni di un treno trainato da una locomotiva a carbone. «Friulano di nascita e cittadino del mondo per adozione», come lo definisce l’architetto, Alvise Rampini, in uno dei contributi a più mani che impreziosiscono l’album.

L’ESPERIENZA CINESE di De Marco conserva alcuni elementi di continuità con il resto della produzione fotografica. In oltre cinquant’anni di professione De Marco ha raccontato popoli, dal Messico alla Turchia, dalla Colombia allo Sri Lanka. Lo ha fatto in punta di piedi mosso dalla ricerca della verità. Ha riportato al centro della comunicazione globale culture emarginate dalla narrazione occidentale. All’orientalismo, al feticismo della subalternità, dell’estraniamento, delle diseguaglianze, De Marco contrappone il realismo. La spontaneità.

La fotografia è per De Marco un mezzo di studio e ricerca sociale. L’obiettivo scava nel suo rapporto con i soggetti ritratti, il tempo e lo spazio. L’architettura narrativa della sua fotografia si impernia sull’alternanza tra incontri con soggetti in dialogo e paesaggi dilatati. Che siano le praterie tibetane o le miniere di carbone, il fotografo riesce a trascendere il particolare per indagare il rapporto tra l’individuo e la natura che lo circonda.

La Cina di De Marco è la Cina post-maoista, la Cina delle riforme. Ma in realtà è una Cina sospesa, sempre attuale. Con l’uso del bianco e nero De Marco riscopre la dimensione epica del tempo. La sua fotografia diventa uno strumento per meditare sul significato del lavoro come realizzazione dell’uomo nella storia. Lo scatto restituisce la dignità a ciascuna figura. E il tempo perde linearità. A catturare De Marco non è la consequenzialità dell’evento, ma l’immortalità dell’incontro, dei sentimenti: la lontananza, l’amicizia o l’amore.

IL FOTOGRAFO scompare dietro all’obiettivo. Osserva l’ex Celeste Impero e i suoi vorticosi mutamenti con rispetto e partecipazione. Distanziandosi dal lavoro di Henri Cartier-Bresson e dalle sue stesse esperienze passate, in Un tempo in Cina il fotografo friulano non punta alla critica sociale.

[Pubblicato su il manifesto]

Piuttosto documenta con discrezione un dialogo tra civiltà, mettendo a nudo diversità culturali, stralci di un’esistenza dura ma non vessata da situazioni o condizionamenti esterni. Le sue non sono immagini sottratte a tradimento. Facendosi uomo tra gli uomini, De Marco precede la fase dello scatto con il contatto: dialoga con i soggetti che ritrae per immortalare un gesto, un’espressione, l’essenza cristallizzata in un istante.

 

È questo approccio che gli permette di catturare le tante Cine, le sue tante anime senza pregiudizi né vincoli ideologici, tra visibile e invisibile, tra presenza e assenza, tra passato e presente. Sempre con uno sguardo al futuro per restituire una Cina senza tempo.

Di Alessandra Colarizi