La Cina è in crisi?

In by Simone

La domanda rimbalza da Oriente a Occidente mentre il Partito comunista si prepara al congresso che sancirà il cambio della guardia ai vertici. Il punto è che diversi indicatori confermano ormai da tempo le difficoltà del “modello Cina”. Ecco le nove sfide per l’economia del Dragone.
Tra il 2010 e il 2012 i prestiti bancari sono sono stati erogati sempre più a breve termine. Questo significa che le imprese cinesi non hanno cash flow, liquidità, e necessitano perciò di denaro “brutto, sporco e subito” per finire progetti già iniziati o per tirare semplicemente avanti, perché hanno magazzini pieni di merce invenduta.

È forse la fine del modello export-oriented se è vero, come molti analisti sostengono, che questa crisi di liquidità dipende in parte dalla riduzione degli ordini e dai ritardi nei pagamenti dall’estero, che sono passati da 60 a 90 giorni in media.

Al contempo, molti governi locali hanno aumentato il livello di tassazione delle imprese. Niente più sgravi anche per le compagnie high-tech e innovative, le amministrazioni devono recuperare il denaro perso a causa delle restrizioni imposte da Pechino alla speculazione immobiliare.

Così la spina dorsale dell’imprenditoria cinese resta stritolata: secondo l’ufficio nazionale di statistica, i profitti industriali sono scesi del 5,4 per cento a luglio rispetto a un anno prima. È il quinto mese consecutivo di calo.

L’indice Pmi (Purchasing managers’ index, indice dei direttori agli acquisti) diffuso la scorsa settimana da HSBC è sceso a 47,6, il più basso dal marzo 2009. Un indice inferiore a 50 punti significa contrazione; sopra, espansione. A luglio si era attestato a 50,1.

L’ufficio nazionale di statistica ha successivamente corretto l’indice di agosto a 49,1, ma poco conta: banche e agenzie finanziarie stanno già rivedendo al ribasso le prospettive di crescita della Cina per il 2012 che, a questo punto, potrebbe attestarsi ben al di sotto dell’8 per cento previsto a inizio anno.

Le autorità di Pechino rispondono pompando nuova benzina nel motore – a fine agosto, la banca centrale ha riversato 278 miliardi di rmb nel sistema finanziario – ma, a differenza del 2009, quasi con il freno a mano tirato, perché l’impressione è che sia proprio il sistema che tanto ha dato alla Cina a fare acqua.

Nel 2009, quando a causa della crisi globale i dati economici cinesi erano simili a quelli odierni, il pacchetto di stimoli varato dal governo puntò forte su costruzioni e infrastrutture e il Dragone si rimise in carreggiata. Oggi non è più possibile: a chi gli chiedeva di rilassare i meccanismi del credito, il premier Wen Jiabao ha risposto anche di recente che la bolla immobiliare va scongiurata.

La vede così anche l’Economist, che legge con favore le titubanze del governo cinese: ogni intervento troppo marcato non farebbe che riprodurre le insostenibili anomalie del sistema cinese – si legge in un’analisi del 1 settembre – meglio attendere che il mercato faccia pulizia.

Il problema, in definitiva, è quello di far finire il denaro nelle mani giuste: quelle delle aziende  innovative e non degli speculatori. Ma qui la Cina sconta ancora dei ritardi.

Le “sfide” (e i pericoli) per l’economia cinese sono state ben riassunte da Li Zuojun, vicedirettore di un istituto di ricerca che fa capo allo stesso governo di Pechino, in un articolo per Shanghai Security News Online

Sono nove. Dato che le ha formulate un economista vicino alla stanza dei bottoni, rappresentano probabilmente una visione condivisa a livello ufficiale e indicatori che tutti possono tenere d’occhio nei mesi a venire.

Le nove sfide sono:

– il “rallentamento della crescita economica”, che pone il problema della disoccupazione; “l’inflazione a lungo termine”, che diminuisce il potere d’acquisto dei meno abbienti e aumenta così la disparità sociale;

“l’accumulo di bolle speculative” che, oltre a quella immobiliare, sono quelle prodotte dal mercato finanziario e dall’eccesso di capacità delle imprese manifatturiere;

“il cambiamento dei motori della crescita economica”, con la necessità di passare dal traino della domanda estera a quello della domanda interna, di transitare da un’economia guidata dagli investimenti a una basata sui consumi, di spostarsi dagli investimenti pubblici a quelli privati e dalle vecchie forme di produzione a quelle avanzate;

“la regolazione delle industrie e delle strutture regionali d’impresa”, cioè la necessità di eliminare i rami secchi e concentrarsi sui settori più produttivi, sfidando così gruppi di interesse e piccoli feudi locali;

“la progressiva diminuzione delle risorse e i problemi ambientali”, cioè i dilemmi posti dall’aumento dei costi delle materie prime e dal riscaldamento globale;

– “i crescenti costi sociali dello sviluppo economico”
, perché se “soddisfare i bisogni umani è l’obiettivo” bisogna capire come coprire i costi di un welfare diffuso;

“il deterioramento del contesto internazionale per lo sviluppo economico”, perché le merci cinesi hanno meno mercato nel mondo e anche gli investimenti esteri del Dragone incontrano opposizione;

“una sempre maggiore resistenza alle riforme” ad opera degli interessi costituiti e anche di coloro che ormai sono convinti che le riforme di mercato generino corruzione e disparità.

In questo scenario che, se non di crisi, è quanto meno di insicurezza, è evidente che l’economico si fa immediatamente politico. La scrittrice Liu Liu, autrice di alcuni best-seller incentrati sulla vita della gente comune, sintetizza perché sul suo account Weibo: “Amo questo Paese perché amo la gente di qui, e questo non ha niente a che fare con il territorio o con il governo del giorno. Qualsiasi governo che vuole ottenere l’amore e il rispetto delle persone non deve in primo luogo avere uffici più lussuosi delle scuole. In secondo luogo, non deve lasciare che le auto che trasportano i suoi funzionari rallentino il trasporto pubblico. In terzo luogo, non deve permettere che i funzionari corrotti in fuga esportino da questo Paese l’equivalente di oltre 600rmb per abitante. Infine, alla gente comune non dovrebbe essere chiesto denaro per ottenere di farsi visitare dai medici, quando ha già spese mediche praticamente illimitate”.

* Gabriele Battaglia e’ stato corrispondente da Pechino per "PeaceReporter" ed "E-il mensile". Ha cominciato come web-giornalista e si e’ misurato poi con diversi media e piattaforme. In una vita   precedente, e’ stato redattore di Virgilio.it e collaboratore di un certo numero di testate sui piu’ disparati temi: dalla cultura alla divulgazione scientifica, passando dai trattori e dalle fotogallery su Britney Spears. E’ autore, con Claudia Pozzoli, del webdocumentario "Inside Beijing". Oltre che la Cina e l’Oriente in genere, gli piace l’Artico, sia per interesse giornalistico sia per il clima. Non ha ne’ l’automobile ne’ la Tv e ogni tanto si fa male cadendo in bicicletta. Vive tra Pechino e Milano.

[La foto di copertina è di Tania Di Muzio]